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Da tempo sostengo che in campo aforistico bisognerebbe far rispettare la normativa sul diritto d’autore, perché in nessun altro genere letterario come quello aforistico una cattiva selezione può danneggiare l’autore. Così capita che autori di grande rilievo (ma poco conosciuti dal pubblico) – a causa di una pessima selezione di aforismi comparsi (senza alcuna autorizzazione!) su alcuni siti internet – possano essere scambiati per autori di modesta qualità. E’ il caso di Nunzio La Fauci, a mio parere una delle voci più interessanti dell’aforistica italiana contemporanea (e sicuramente uno dei miei preferiti).
Nunzio La Fauci (Palermo, 1953) ha studiato Lettere a Palermo e Linguistica a Pisa e a Parigi. (come scrive nella sua biografia “tuttavia nessuna altra esperienza formativa ha avuto per me più valore delle innocenti passeggiate della mia infanzia nella Valle dei templi di Agrigento”). Insegna adesso Linguistica italiana all’Università di Zurigo, come professore ordinario. Con la stessa qualifica, ha insegnato Linguistica generale all’Università di Palermo, dopo avere tenuto, come associato, gli insegnamenti di Linguistica teorica, nella stessa università, e di Dialettologia, nell’Università della Calabria.
Ha pubblicato diversi testi di linguistica tra cui, cito i più recenti, Il Belpaese Antonomasie e genio linguistico della nazione, Ets, 2011, Relazioni e differenze, Questioni di linguistica razionale, Sellerio, 2011, Compendio di sintassi italiana, Il Mulino 2009. L’autore ha anche un bellissimo blog, Apollonio Discolo, in cui commenta usanze di parlanti e linguisti, in quella che definisce “una lingua non comune”.
In campo aforistico Nunzio La Fauci ha pubblicato Foglie di cactus. Settantasei aforismi, (Ets, 2000), Modi di tacere (Ets, 2002), Spume d’aria (Ets, 2004), e Questo Quasi Nulla. Aforismi (1997-2007), Ets, 2008. Quest’ultimo libro raccoglie e riorganizza gli aforismi delle precedenti raccolte aggiungendo a quelli già pubblicati un centinaio di nuovi aforismi. Alcuni aforismi inediti compaiono anche nel già citato blog Apollonio Discolo.
L’aforisma di La Fauci alterna forme brevi con forme più lunghe, ed è ironico, arguto e paradossale (talora affiora anche un disincanto in merito all’impossibilità di comprendere il senso e l’ordine nascosto del mondo, in una sorta di vanitas vanitatum che è propria anche di altri autori siciliani tra cui Bufalino, autore di importanti aforismi). Da linguista qual è Nunzio La Fauci esprime nella sua scrittura aforistica un vero amore per la lingua, nella scelta attenta dei vocaboli e nella struttura elaborata della frase. E sono molte anche le riflessioni sul rapporto tra realtà e parola e linguaggio. In un aforisma l’autore scrive: “La realtà può anche essere umana, ma la verità solo linguistica”, tuttavia – e qui cito il testo di un’intervista – “il linguaggio non è un manufatto umano” e “una conseguenza della mia posizione è certamente l’ammissione della possibilità che non ci sia proprio speranza che noi, un giorno, si riesca a capire la lingua. Il che significa che non c’è speranza che noi, un giorno, si capisca noi medesimi” (in un aforisma sintetizzando scrive anche: “E’ la mia lingua. E mi illudo, scrivendo, di sapere quello che faccio”).
A proposito del frammento Nunzio La Fauci scrive: “La cosa è così intera che se ne può parlare solo per frammenti e, del resto, la si vive forse in modo diverso?”. E in un altro aforisma, riflettendo sul processo scrittura, scrive: “Rendere misteriosamente esplicito ciò che è problematicamente implicito e nello stesso tempo implicitamente problematico ciò che è esplicitamente misterioso”. Che forse è anche la chiave di lettura per comprendere la scrittura aforistica stessa di Nunzio La Fauci.
Presento qui di seguito una selezione di aforismi tratti da Questo Quasi Nulla
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Scrivere per i contemporanei? Meschino. Per chi verrà? Vano. Scrivo per chi mi ha preceduto.
Sottovoce, suggerisco un’epigrafe: da sottotraccia a sottoterra.
La madre, una pienezza (e una condanna). Il padre, un anelito (e una frustrazione).
Forse non saprai mai perché: devi però essere grato a chiunque t’abbia detto “no”.
La felicità è puntiforme: non impararlo rende continua l’infelicità.
Il mondo? Inautentico. Ciononostante reale: vale a dire veramente inautentico.
Poi giunge improvvisamente l’età in cui si aspetta sempre meno dalla vita, ma in cui la vita dà sempre meno di quello che ci si aspetta.
Badando a procurarsi quel che ci si deve, si finisce spesso per perdere ciò che ci si merita.
L’età pesa non per le cose fatte e per quelle che si fanno. Queste, di norma, esistono di per sé e stanno in piedi da sole. Pesano invece le non fatte. Aumentano ogni giorno. Finiscono per schiantarti.
Giorno dopo giorno, che fortuna non incontrare, vivente, il me stesso di ieri: lo troverei intollerabile.
Civiltà dello sguardo: troppo da dire per non dirlo con uno sguardo.
Chi vuole tutto non sa che il tutto è in ogni parte. Gli sembra meno del tutto? Colpa della sua nullità.
Santo, a sopportar gli altri. Saggio, a tollerar se stesso.
Non c’è disperazione più grande di una speranza che non si può perdere.
Non ci si stanca degli altri, ma dell’immagine di sé che gli altri riflettono.
“La tragedia di Romeo e Giulietta”: non avere avuto il tempo per altre Giulietta, per altri Romeo.
L’indivisibilità dello zero. Ragione della fedeltà (inconsapevolmente forzata) di tante coppie.
Quante commedie e tragedie per un equivoco. Amare qualcuno non significa averlo in potere ma averlo in volere.
Il sogno non è la realtà. Proprio per questo è indispensabile chiedersi se per caso esso non sia la verità.
C’è sempre qualcuno che si alza a dirti: “Ho un’idea”, quando avresti bisogno di qualcuno che ti dicesse: “Ho un metodo”.
Interrogate uno stupido: risponderà che l’opposto di mentire è dire il vero. E’ invece la reticenza.
Favorita dai vorticosi contatti del mondo d’oggi, l’infelicità dilaga come un’epidemia, con untori consapevoli e inconsapevoli portatori sani.
Intelligenti, i Greci? Intelligenti i Greci dei quali è rimasta memoria. Se una civiltà spera di avere in sorte un giorno lo stesso giudizio, svuoti di gran fretta i suoi archivi e le sue biblioteche.
Il male che si fa agli altri: quello che non si riesce più a fare a se stessi. Basta questo per comprendere quanto è sventurato il maligno.
Creare l’indecidibile: piacere divino.
Che bella coppia. L’invidioso e il superbo: la creatura e il suo creatore.
L’impossibilità di ripetere l’esperimento fa sì che non ci sia scienza della morte.
La realtà può anche essere umana, ma la verità solo linguistica.
Un’epoca soffocata da un sapere allusivo, che dice molto meno di quanto lascia intendere e lascia intendere molto più di quanto sia in grado di argomentare.
Processo di civiltà. Dal tutto vietato e niente controllato, al niente vietato e tutto controllato. Chi è certo d’esser più libero?
Come faranno i conservatori a conservare quello che non sono mai stati? Come faranno i progressisti a progredire da quello che sono?
Né in potenza né in atto. L’ente? Latente.
Un classico è uno specchio essenziale: riflette l’anima di tutti i tempi che attraversa.
Madri quasi si nasce e, in ogni caso, lo si è senza sforzo. Non si nasce padri, invece, né mai stabilmente lo si diventa: giorno dopo giorno, una nuova prova. In madre suona così la quieta dolcezza della banalità. In padre la nobile sfida che, incurante di perdere, lanci contro un tragico destino.
Ho stima di colui nel cui sguardo balena il desiderio di uccidermi, a paragone di chi, ben educato, si concede solo il sogno di farmi da becchino.
Un inconsapevole malato di inesistenza: la peggiore e la più contagiosa delle pesti.
Così efficacemente inautentico da riuscire a convincere anche se stesso che la sua faccia è quella che vede ogni mattino allo specchio.
Affinché, perché, giacché rendono abiette le loro reggenti. Sebbene, quantunque, benché le nobilitano.
Esprimere un pensiero, con la consapevolezza che la maggior parte non capirà e la minore, capendolo in parte, lo sconcerà.
Chi crede che la verità di un aforisma sia sempre per eccesso o per difetto non ha capito l’aforisma.
L’espressione migliore: la chiarezza del non detto.