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Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977) è è considerato uno dei poeti più importanti del Novecento.

I suoi capolavori sono brevi, fulminanti versi «di sapienza oracolare, di lenta impronta epica» diceva Cesare Garboli. Pier Paolo Pasolini lo chiamava “ribelle assoluto” e lo paragonava a Rimbaud. Parlando di sé, Sandro Penna diceva di essere intriso da “una strana gioia di vivere anche nel dolore”.

Presento una raccolta delle poesie più belle di Sandro Penna. Tra i temi correlati si veda Le poesie più belle e celebri di Giuseppe UngarettiLe poesie più belle di Eugenio Montale, Le poesie più belle e celebri di Salvatore Quasimodo e Le più belle poesie brevi

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Le poesie più belle di Sandro Penna

Felice chi è diverso
essendo egli diverso.
Ma guai a chi è diverso
essendo egli comune.

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Io vivere vorrei addormentato
entro il dolce rumore della vita.

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Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.

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Ora la voce tua disparirà.
E domani cadrà anche il tuo fiore.
E nulla più verrà. Forse la vita
si spegne in un falò d’astri in amore.

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E poi son solo. Resta
la dolce compagnia
di luminose ingenue bugie.

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Il giorno ha gli occhi di un fanciullo. Chiara
la sera pare una ragazza altera.
Ma la notte ha il mio buio colore,
il colore di un cupo splendore.

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La vita è… ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.

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Amico, sei lontano. E la tua vita
ha intorno a sé colori ch’io non vedo.
Ha la mia vita intorno a sé colori
che io non vedo.

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Al pari di un profilo conosciuto,
o meglio sconosciuto, senza pari
Fra gli altri animali, unica terra
La tua forma casuale quanto amai.

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Nel chiuso lago, solo, senza vento
La mia nave trascorre, ad ora ad ora.
Fremono i fiori sotto i ponti. Sento
La mia tristezza accendersi ancora.

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Nel sonno incerto dormo ancora un poco.
È forse giorno. Dalla strada il fischio
di un pescatore e la sua voce calda.
A lui risponde una voce assonnata.

Trasalire dei sensi – con le vele,
fuori, nel vento? – Io sogno ancora un poco.

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Come è forte il rumore dell’alba!
Fatto di cose più che di persone.
Lo precede talvolta un fischio breve,
una voce che lieta sfida il giorno.
Ma poi nella città tutto è sommerso.
E la mia stella è quella stella scialba
mia lenta morte senza disperazione.

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Era l’alba sugli umidi colli
e la luna danzava ancora assorta
colle lepri del sogno. La lattaia
discendeva il suo colle. Ognuno amava
la propria casa come una scoperta.

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Le porte del mondo non sanno
che fuori la pioggia le cerca.
Le cerca. Le cerca. Paziente
si perde, ritorna. La luce
non sa della pioggia. La pioggia
non sa della luce. Le porte,
le porte del mondo son chiuse:
serrate alla pioggia,
serrate alla luce.

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Era la mia città, la città vuota
all’alba, piena di un mio desiderio.
Ma il mio canto d’amore, il mio più vero
era per gli altri una canzone ignota.

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Mi adagio nel mattino di primavera.
Sento
nascere in me scomposte
aurore. Io non so più
se muoio oppure nasco.