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Antonio Castronuovo appartiene a quella ristretta cerchia di scrittori che a me piace definire “ingegni multiformi”. E’ sufficiente citare la nota bibliografica che Castronuovo mi ha gentilmente inviato via email per accorgersi della vastità dei suoi interessi, che spaziano dalla scrittura aforistica al saggio storico sulla ghigliottina, da Emil Cioran alla pittura di Picasso e Matisse, dal futurismo (è considerato il massimo esperto di futurismo regionale romagnolo) alla patafisica, da Rimbaud a Pinocchio.

Ecco la nota bibliografica: Antonio Castronuovo (1954) collabora con vari editori. Ha da ultimo curato Miguel de Unamuno, Nebbia (Rizzoli bur, 2008), Stendhal, Il rosso e il nero (Barbèra, 2009), Simone Weil, “A un giorno” e altre poesie (Via del Vento, 2009), Isabelle Rimbaud, L’ultimo viaggio di mio fratello Arthur (Via del Vento, 2009), Albert Camus, La commedia dei filosofi (Via del Vento, in corso di stampa). Ha tradotto scritti di Jarry, Apollinaire, Eluard, Picasso, Matisse, Irène Némirovsky. Ha pubblicato vari saggi, tra cui, presso Stampa Alternativa, Suicidi d’autore (2003), Libri da ridere: la vita i libri e il suicidio di A.F. Formiggini (2005), Macchine fantastiche: manuale di stramberie e astuzie elettro-meccaniche (2007), Ladro di biciclette: cent’anni di Alfred Jarry (2008), La vedova allegra: storia della ghigliottina (2009).  Il suo ultimo saggio si intitola Emil Michel Cioran (Liguori, 2009).

In ambito aforistico ha pubblicato Palingenesi del frammento (Antonio Pellicani editore, 1995), Rovi (con pseudonimo Roberto Asnicar, Stampa Alternativa, 2000), Quilismi per un bambino ucciso (con pseudonimo Roberto Asnicar, Via Herákleia, 2001), Il mito di Atene (La Mandragora, 2001), Tutto il mondo è palese (Mobydick, 2006), Se mi guardo fuori: diari e aforismi 1995-2007 (La Mandragora, 2008).

Collabora con parecchie riviste, tra cui “Il Caffè illustrato”, “Belfagor”, “Il Lettore di provincia”, “Cortocircuito”, “Il Ponte” “Technè”, “Stilos”, “Platypus” ecc. È considerato il massimo esperto di futurismo regionale romagnolo: ha pubblicato studi sul futurismo a Imola, Lugo, Ravenna e Rimini. Ha co-organizzato la mostra Romagna futurista (San Marino e Riccione, 2006), ha organizzato Futurismi a Ravenna (Ravenna, Biblioteca Classense, 2009) e sta organizzando a Lugo la mostra sul futurista Pratella (ottobre 2010). Dirige “La Piè”, la più antica rivista di cultura romagnola (fondata da Aldo Spallicci nel 1920). Presiede la sezione imolese del “Movimento Federalista Europeo”. È presidente onorario della società di ispirazione olivettiana “Città dell’uomo”. Sta attualmente lavorando al saggio Cornogiduglia! Storia della patafisica e a una nuova edizione di Pinocchio presso Rusconi-Barbèra.

Nel suo “ingegno multiforme”, Antonio Castronuovo ha dedicato particolare attenzione al genere aforistico, tentando anche delle ardite sperimentazioni stilistiche e contenutistiche rispetto al modello classico della massima tradizionale.

In Palingenesi del frammento (1995, Antonio Pellicani editore) Castronuovo elabora una poetica della brevità e del frammentario attraverso lo strumento della scrittura aforistica. Non dei veri e propri aforismi sull’aforisma, quanto piuttosto dei frammenti riflessivi e filosofici sulla brevità.  Ecco un esempio: “La cultura occidentale nasce a schegge: tali sono i primi cenni di verità, le laminette orfiche, il balbettìo dei sapienti. Il caso ha poi agito in loro favore poiché non ha fatto reperire che frammenti, sparsi ma ricomponibili in un disegno eccelso, in una struttura filosofica la cui statuaria esemplarità non ha pari: il presocratismo, Davanti a Eraclito, Parmenide, Empedocle, al cospetto di quei pochi cocci che ancora rilucono, chi avrà l’audacia di paragonarli a vieti e timidi accenni della conoscenza? Chi se la sentirà di affermare che si tratta di una rudimentale organizzazione del logos“.

In Rovi (Millelire Stampa alternativa, 2000) Castronuovo usa la “definizione”, una delle forme basilari dell’aforisma, nonché elemento costitutivo di enciclopedie e dizionari. Come scrive Friedemann Spicker, studioso tedesco dell’aforisma, “la definizione aforistica si prefigge con giocosa serietà l’isolamento – talvolta arguto, esagerato, sorprendente – di un aspetto per arrivare alla pointe satirica. Là dove la definizione del dizionario chiarisce rapidamente, la sua variante giocosa, l’aforisma, illumina all’improvviso come un lampo. La definizione aforistica è eccentrica, nella misura in cui quella del dizionario è scolastica o noiosa”. Ecco alcuni esempi illuminanti in Rovi: “Handicap: sono muto solo per i sordi“, “Anticoncezionali. Se penso alla quantità di idiozia diffusa sulla terra devo concludere che il peggior preservativo è l’uomo“, “Ni: il compromesso elimina il tragico“, “L’indifferente: un eccessivo orgoglio può spegnere anche la più legittima gelosia”, “Affabilità: il bon-ton è inscindibile da un opulento conto in banca”

In Quilismi per un bambino ucciso (Via Herákleia, 2001) Castronuovo con il pseudonimo di Roberto Asnicar scrive un poema aforistico (con 20 commenti visivi di Gian Ruggero Manzoni) su un bambino ucciso (“una foto ritrae un bambino. Avrà dieci anni, forse qualcosa di meno… steso al suolo, a faccia in giù, e dalla bocca un rivolo di sangue esce dall’asfalto e va ad allargarsi in un pozza, verso il centro della strada…”). I quilismi del libro (quilisma è il gioco della voce compiuto su una nota, che viene così trasformata in un ghirigoro vocale. Sulla notazione gregoriana – la “partitura ante litteram – è indicato con una bisciolina sopra la nota) non sono altro che evanescenze, frammenti, “cocci di un pensiero che vorrebbe farsi lucido… ma inutilmente” in un mondo in cui “la morte sibila come una pallottola alla gola, cela un colpo di bastone alla testa“.

In Il mito di Atene (La mandragora, 2001) Castronuovo ripercorre il sostrato mitico che fu alla base della invenzione della democrazia di Atene, dopo la caduta della tirannide nel 510 e la riforma di Clistene di pochi anni dopo. “Per cent’anni i cittadini di Atene non furono soggetti a nessuno, privarli della libertà, con l’avventura oligarchica del 411, non fu cosa da poco” è scritto nella premessa del libro. La particolarità del libro è lo stile aforistico (272 frammenti) combinato con la scrupolosità e la ricchezza di documentazioni tipiche di uno storiografo (alla fine del libro c’è addirittura un capillare indice analitico come nei migliori testi storiografici).

Gli ultimi due libri di aforismi pubblicati da Antonio Castronuovo sono Tutto il mondo è palese (Mobydick, 2006) e Se mi guardo fuori. Diari e aforismi 1995-2007 (La Mandragora, 2008)”.

Se mi guardo fuori. Diari e aforismi 1995-2007” è, insieme a “Un milione di giorni” di Francesco Burdin, uno dei più bei diari della letteratura italiana contemporanea. “Una scelta di frammenti e riflessioni di uno che, quando si riposa dalla scrittura, continua a scrivere, su diari e taccuini. Cose futili ed effimere. Tredici anni di un cervello che ha imparato a guardarsi fuori” scrive Antonio Castronuovo nell’ultima di copertina. Più che di diario, io parlerei di diario-aforisma in cui introspezione autobiografica e aforisma, annotazione e riflessione si combinano sapientemente come scrive anche Werner Hemlich, nella raccolta di contributi sull’aforisma intitolato La scrittura aforistica: “La recente simbiosi di due generi letterari (il diario di introspezione e l’aforisma) hanno aiutato entrambi a liberarsi a vicenda dai pericoli che li minacciavano. Il diario intimo, a contatto con la intellettualità delle riflessioni che prende a incorporare, si salva dagli eccessi della introspezione autobiografica e diventa diario di riflessione, mentre d’altra parte l’aforisma perde la rigidità della massima e acquista per converso, dalla cornice della scrittura intima nella quale nasce e rimane inserito, valori espressivi nuovi”. Ecco alcuni esempi di contaminazione tra autobiografismo diaristico ed aforisma, tratti da Se mi guardo fuori: Se non annoto un pensiero mi scappa» si dice sempre. Senza mai dire la verità fino in fondo. Che ci sono pensieri fatti apposta per sfuggire” e “Il grido del pavone, le scariche di martello pneumatico del picchio. L’uh-uh dell’upupa, il gu-gu del piccione. Sembrano dirmi: che te ne fai della logica?” e “Una volta si dilatavano i sentimenti, si esagerava nella loro manifestazione. Ora si dilata l’oggettività, si esagera nel voler sembrare o essere realisti” e “Si dimentica l’emozione di un bacio. Non si dimentica l’emozione di un pensiero che giunge inatteso“, e infine “Canazei, la vallata puzza di gas di scarico da mattina a sera. Un tale si riempie i polmoni profondamente e prorompe: «Qui sì che si respira». Forza della suggestione“.

Se il libro Se mi guardo fuori ha una forma aforistica/diaristica (io lo definirei un vero e proprio “edificio aforistico” di ben 424 pagine, progettato e scritto durante 13 anni di osservazioni, ricerche, curiosità e viaggi), l’altra opera di Castronuovo che ho citato sopra, Tutto il mondo è palese, propone l’aforisma minimo, lapidario che di rado supera la lunghezza di due righe (“minima” è anche la struttura testuale, 200 aforismi in tutto, in poco più di 50 paginette).

Come scrive Castronuovo in una intervista, “Ho tentato di accorciare al minimo gli aforismi, che ho ridotto a una riga. Se una volta esistevano le massime, le mie possono essere definite al contrario “minime”. Ho voluto divertirmi con le parole, creando paradossi e rovesciando proverbi. È possibile farlo, fin dal momento in cui si scopre che il mondo non è più “paese” ma è diventato oggi tutto “palese”.

In Tutto il mondo è palese Castronuovo interviene stilisticamente sull’aforisma anche dal lato dell’io. L’io aforistico, che naturalmente non è l’io privato dell’autore, bensì una istanza letteraria che conferisce a tutti gli enunciati in cui appare un carattere testimoniale, qualche volta quasi confessionale, qui è sostituito da frasi quasi narrative con soggetti non generalizzati di terza persona singolare e con forme verbali del passato. Riporto alcuni sintagmi: “Non aveva lasciato nulla al caso”, “Chiese di poter ascoltare quello che era stato relegato nell’eccetera”, “Nessuno lo amava di più quanto il parassita”, “Il nemico lo ascoltava”, “Quel giorno volle esagerare”, etc, etc. Dietro questo soggetto non generalizzato di terza persona singolare si nasconde l’autore, ma si può anche nascondere il suo opposto in un continuo rimando di significati, in un incessante gioco di specchi.

Lo stile di Tutto il mondo è palese è leggero, ironico, gaio, limpido, scintillante, ma – come scrive anche Matteo Veronesi nella sua recensione -, sotto questa scrittura si nasconde e al tempo stesso traspare “un pensiero intrinsecamente, direi geneticamente tragico, sempre a stretto contatto, fin dal suo nascere e dal suo prender forma, con le verità ultime e prime della vita e della morte, con l’enigma insolubile, e insieme palese, evidente, tangibile – quasi, direbbe Claudel, un “mistero in piena luce” –, della sofferenza”.

Sempre Matteo Veronesi citando uno degli ultimi aforismi di Tutto il mondo è palese scrive “Demotivato come un postino che sa di consegnare carta straccia»: questa può essere, in fondo, la stessa condizione odierna dello scrittore, dell’umanista in una società che alla letteratura, al tesoro millenario della parola scritta, sembra ormai non aver più nulla da chiedere”.

Credo che “carta straccia” sia anche la metafora che definisce gli aforismi che noi aforisti vanamente scriviamo ogni giorno e che nessuno legge. C’è da chiedersi perchè la cultura italiana, il demi-monde giornalistico, la critica accademica (con la sola eccezione del bravissimo Gino Ruozzi) non abbia mai parlato della grandezza aforistica di Antonio Castronuovo (penso ad esempio al diario aforistico “Se mi guardo fuori“, non inferiore per spessore e profondità e qualità al Journal di Renard o ai Diari di Canetti) e continui invece ad intestardirsi (persino la cultura universitaria, quella seria, quella non vanitosa, che studia!) su autori e romanzetti usciti dallo Strega, dal Campiello e da tutti quei premi letterari che fanno tanto felici le nostre case editrici di punta. Inizio davvero a pensare che i meccanismi di selezione per l’ingresso nell’Olimpo letterario dell’attualità (che è ben diverso da quello dell’eternità) siano basati su criteri simili a quelli di tanti altri settori del nostro paese. Si entra per cooptazione o per casualità.

Dovendo scegliere tra le tante opere aforistiche di Antonio Castronuovo, riporto qui di seguito una selezione di aforismi tratti da Tutto il mondo è palese che, per la loro forma breve e omogenea, sono quello quelli più facilmente citabili al di fuori del continuum del libro. Mi perdoni Castronuovo che nell’ultimo aforisma di Palingenesi del frammento scrive: “Dato che si è contraddetto più volte l’aforista non è citabile: dire tutto e il contrario di tutto equivale ad impedire quella citazione che si vuole stigmatizzare“.

***

Aforismi tratti da “Tutto il mondo è palese”, Mobydick 2006
 
 

Leggere diventò una competenza.

Nessuno lo amava di più quanto il parassita.

Quel giorno volle esagerare: rise al funerale e, di sera, tossì al concerto.

Sentiva che in cielo non c’era nessun dio, ma l’azzurro gli piaceva ugualmente.

Ricominciò a mentire. E il mondo diventò più bello.

Chiamavano cultura la perenne organizzazione di eventi.

Il sonno gli rubava un terzo di vita, il lavoro un altro. Decise di buttare via il terzo restante.

L’uomo cercava lo stile, l’animale lo aveva.

Al culmine della gioia si accorse che nessun altro la condivideva.

A fatica colmò le maggiori lacune. Passò il resto della vita con le minori.

Nessuno lo stava osservando: diventò furtivamente se stesso.

Dalla pancia del cavallo uscirono laureati e ideologi. La città era perduta.

Condivideva il dolore degli altri. Solo che non lo sentiva.

Praticavano l’amor platonico, ma si chiudevano a chiave.

Storia antica: essere letti senza essere stampati.

Storia moderna: essere stampati senza essere letti.

Quella notte il proletario fu concepito con gioia e il monarca con un grugnito.

Demotivato come un postino che sa di consegnare carta straccia.

Bugia non si vergognava di nulla; nemmeno di quelle sue ridicole gambe corte

Fruiva, ma non gustava.

Si trovò dalla parte del torto. Soleggiava, c’era bella gente e si mangiava anche bene.

Irritante il sole, che donava sempre gratis.

Che fare oggi? Partecipò a un premio letterario.

Sapeva trafugare frasi e idee dai libri: poteva cominciare a scrivere.

Tra le arti, fu la poesia ad espandersi a macchia d’olio, fino ad avere un poeta in ogni condominio.

Giunti a cento, gli aforismi diventavano insopportabili. Contò i suoi: erano già il doppio…

5 Comments

  • Matteo Veronesi ha detto:

    Grazie per le citazioni. In effetti, in quest’epoca logorroica e caotica, l’aforisma può davvero, con la sua essenzialità concisa e preziosa, contenere schegge di significati, fulgide come diamanti, pure e ardenti come gemme.

  • La ringrazio per i preziosi commenti. Vorrei anche sottolineare che il mio blog non è un semplice “citazionario” (in giro ce ne sono migliaia), ma uno sguardo approndito sull’aforisma contemporaneo con interviste, traduzioni inedite, commenti e analisi.
    Non è raro trovare in diversi siti web citazioni sparse tratte dai libri di Castronuovo, la particolarità del mio blog è quella di aver “analizzato” e “contestualizzato” rispetto all’aforisma contemporaneo tutta la produzione aforistica di Castronuovo dai suoi esordi fino all’ultima opera (ovviamente nei limiti di un blog)

  • Sandro Montalto ha detto:

    Antonio è uno dei più preziosi e multiformi ingegnii oggi in circolazione. La sua idea di cultura come avventuroso viaggio della mente, mai distaccata dall’esperienza quotidiana delle emozioni e delle contingenze (parlano chiaro certi paralleli possibili tra le sue opere creative e saggistiche (queste ultime tanto varie e ben condotte da essere nate certo da esigenze profonde e non da necessità curricolari!), ne fa un vero esempio da seguire.

  • Sandro Montalto ha detto:

    Dopo “saggistiche”, in luogo di “parentesi”, si legga “virgola” 🙂

  • Anonimo ha detto:

    Or ora ho terminato la piacevole ed edificante lettura di “Libri da ridere”. Mi rammarico per aver scoperto soltanto due giorni fa questo libro. Sento il bisogno di ringraziare l’autore e l’editore.
    Felice Scipioni