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Pubblichiamo una raccolta inedita di aforismi di Roberto Morpurgo. La raccolta di aforismi inediti di Morpurgo si intitola “L’orizzonte, n incursioni“, ” e – come mi spiega lo stesso autore – “è una scelta da un volumetto che avevo in animo di trarre, così come altri tematici, dai Pregiudizi della libertà

In L’orizzonte ci sono aforismi brevi, secondo un modello che Roberto Morpurgo persegue nel suo libro Pregiudizi della libertà, ma anche aforismi lunghi. A tal proposito Morpurgo scrive: “sono quasi brevissimi saggi, con i quali anni fa pensavo di fare un volumetto ‘à la Leopardi’ (si pardo licet…), fatto di mezze pagine o poco più”.

Il tema della raccolta è l’orizzonte visto come lo sfondo, l’oltre, l’azzurro, il limite, il punto di fuga, il fascinoso al di là, l’ignoto. Esso metaforicamente è ciglio e visiera di un cappello, unico fiume arginato da un’unica sponda, Lembo di terra, trasparenza che paradossalmente allontana la visione e lontananza che ancor più paradossalmente la appropinqua, lunghissima ombra di una lapide, oceanico azzurro del puro segno.

In un genere come quello aforistico dove è facile trovare aforismi di seconda mano (e talora anche di terza mano), gli aforismi di L’orizzonte sono davvero originali, in oscillazione continua tra la verità e la sorpresa, tra il reale e l’inatteso.

Presento qui di seguito al lettore del blog l’intera silloge L’orizzonte:

***

Roberto Morpurgo, L’orizzonte, n incursioni

Il pensatore siede sugli antipodi, il corridore sull’orizzonte. L’estraneità che li affratella…non la chiamano entrambi Terra?

La poesia è sola, la filosofia solitaria…sola nello spazio quella, codesta nel tempo solitaria…quella…erta come un’edera alla parete avvinta e sino al cielo…codesta…distesa sulla sabbia del tempo di qui all’orizzonte senza
dimora

Dalla sua cella poteva vedere il comignolo sul tetto della prigione, un olmo che cresceva poco oltre il muro di recinzione e – nei giorni di cielo terso – uno riga di neve all’orizzonte. La sua reclusione ebbe infatti termine in inverno, come la sua vita: nè gli fu inflitta la crudele Variazione del Disgelo.

Il fascino…tramonto traguardato dall’angolino più orientale dell’orizzonte.

Così come la Terra è sempre metà in ombra e metà in luce, l’occhio ha sempre metà orizzonte: e la metà nascosta, è nascosta nel nervo – nel pensante cerebrum…di Entrambi?

Una profonda arte è quella che scruta nel brevissimo tratto di mare su cui naviga il vento che viene da lontano e da dietro l’orizzonte.

Dicendo ‘oltre’ pare che ci muoviamo nella direzione di ciò che ci sfugge: pare quasi che sospettiamo l’ombra, di essersi rintanata sin ‘dietro’ l’orizzonte.

Il vento, è l’orizzonte che non vedi.

Il mare…, la notte: ombra senza luce; orizzonte che di un passo ti si fa più accosto.

Primo Piano. Raramente ci si è soffermati con l’attenzione che avrebbe meritato sulla profonda analogia che sussiste fra il corpo e lo sfondo: al punto che si potrebbe addirittura suggerire la proporzione Il volto sta al corpo come il soggetto intero sta allo sfondo. Il corpo è lo sfondo – la fedele ma in fondo superflua ancella – del volto: è il paesaggio, il bianco, il nero, l’azzurro, l’orizzonte, l’ornamento, il fregio, il trompe-l’oeil, la montatura, il trucco, la prospettiva, il punto di fuga, l’infinito…dal quale e contro il quale si staglia – nella sua ridicola e spesso arrogante pretesa al primissimo piano – il volto dell’uomo. Immaginare un corpo senza volto è un incubo – anzi è l’incubo per antonomasia. Ma un volto senza corpo? Non è che un illustrissimo, degnissimo, intensissimo – Primo Piano.

Esistere è il gesto con cui si indica l’Utopia.

“Le virgolette stanno alla citazione come ‘l’orizzonte sta al mondo’ ”.

La scrittura evoca la mancanza di un limite in modo sottilmente diverso dall’orizzonte: che allude sempre a un fascinoso al di là. Quella pare invece insistere in una sorta di miracolo: il miracolo di quell’al di là
il quale, cercando disperatamente di ricambiare il nostro anelito a raggiungerlo, precipitando dal cornicione dell’orizzonte venisse a morire proprio nel nostro – Giardino.

Ciò che le bestie sanno dell’Uomo: ero tentato di indicarlo come un Assoluto (benché ora intenda più chiaramente: quella sapienza è forse ciò che – mirando verso il cotè cisalpino dell’orizzonte – forse frettolosamente apparve come silenzio).

Ogni figura ha il suo sfondo e il suo orizzonte, ogni pensiero il suo corso e le sue sponde, ogni attività il suo scopo e i suoi imprevisti…Puoi vedere una figura alla volta e svolgere un compito alla volta. Una è la vita, uno il mondo. Tutto si corrisponde e combacia alla perfezione. Ma allora perché questa formicolante sensazione di stridore? Perché in questi semplicissimi paragoni qualcosa suona stonato – senza che noi si possa indovinare cosa? Forse che qui si potrebbe davvero rispondere con il celebre Chi troppo vuole, nulla stringe?

Fai spazio all’orizzonte! lo esortò un giorno un ciglio insolitamente spettinato…e lui obbedì! E l’orizzonte fu. E fu l’acromatico, acroamatico mistero di una voce a lui solo rivolta…

L’orizzonte è il punto che pone termine al discorso della realtà. Fermo, per gli uni, malfermo: dubitabondo, per gli altri.

La strategia è al di là del tempo, la tattica al di qua dell’istante. L’una ha di mira quel che l’orizzonte regala ai ladri, l’altra quel che ruba ai bisognosi.

Cosa diremmo di un locutore che si esprimesse così: ‘…, ! : (…); ?…, + = -, ) – ( ‘ ? Che ha capito tutto lui? Che ha finalmente salpato le ancore dal finto-abissale basso-fondo del linguaggio, per guadagnare infine l’oceanico azzurro del puro Segno – del vuoto Orizzonte e del ‘Vestito-Nudo’?

Il tempo ha il suo orizzonte, e come lo spazio addita l’inveduto Oltralpe dell’Azzurro, lui emulo allude all’inaudito Coro dei Silenzi.

Aveva gli occhi annebbiati dalle lacrime, l’orizzonte annebbiato dalla pioggia e il paradiso annebbiato dalla duplice folla dei venditori di fazzoletti (di carta) e di ombrelli (di carta!).

L’orizzonte è la visiera di un cappello che il più spavaldo dei Teddy-Boys porta come Dio Stesso comanda: alla rovescia.

L’ultima volta che vidi una stella cadente espressi il desiderio che la mia facesse la stessa fine e – a giudicare dal sinistro bagliore sulfureo che intravedo a filo d’orizzonte – sembra proprio che si sia decisa…

Antiritratto. Prendere confidenza con l’immagine, non con l’idea – di un mondo che seguirà il suo corso anche senza di noi. Rivedere i prati dove giocammo da bambini abitati da altri bambini. Estranei. Lo stesso orizzonte marino che un tempo lo svettante albero della nostra Star tagliava a perpendicolo, oggi vuoto e deserto (anzi peggio: forse screziato da altre vele). Il nostro passaporto, così affollato di timbri e visti: cenere nel camino del nostro successore. Le nostre pantofole in bocca a un altro cane. Persino la nostra penna e il nostro quaderno: accatastati alla rinfusa fra gli oggetti in sospeso. Pattumiera? Cimeli da soffitta? Regalo per i nipoti? No, che senso avrebbe: robivecchi, robivecchi! Abituarsi. Lentamente amare quel dipinto: il perfetto contrario del nostro ritratto. Il dipinto che contiene tutto fuorché la nostra persona. Ma tutto è effimero! – protesteremo. Sì – ma non al punto da non sopravviverti. Voilà l’obstacle. Tutto è effimero : ma il tuo stesso ritratto – ricordi, lo commissionasti per pietà a quel povero pittore fallito…ma lasciamo perdere. Il tuo stesso ritratto giace ora fra muffe e polveri in quella grande ragnatela biancastra che è la tua cantina. Anche lui, ti sopravviverà. Ma anche tu – se può consolarti – andrai ben presto in cantina – e anzi, a dire il vero, guadagnerai un posticino molto più intimo, per un vecchio bevitore. Nel cimitero che ti hanno destinato cresce infatti una vite selvatica. Comincia sin da ora a familiarizzare un po’ con lei! Abituati. Anzi, ama: ama il pensiero che questa volta – quest’ultima volta – non sarai tu a mescere il suo vino…e anziché da bevitore ben piazzato nel bel mezzo della foto ricordo, ci sarai – sì – ci sari ancora – ma come tannino. Come polvere di stelle…

Davvero non mi intendete. La mia passione per i cimiteri non ha nulla a che vedere con la necrofilia! E’ che Thanatos costruisce Città di gran lunga più mirabili e accoglienti di quelle edificate dal suo diuturno antagonista (Eros…). E’ che la morte proietta Babele non più verso il Cielo (chi ci casca, ormai…) bensì verso l’Orizzonte – e così la sottrae alla furia di un Dio tanto ottuso da scagliarsi soltanto – stolido fulmine – contro le Vette più vistose e le Prede più facili e ovvie…(Davvero non mi intendevate, ma ben però mi avvedo, it was my fault. Non siete abituati alla mia occasionale prolissità. Dunque per amor vostro mi compendierò: L’orizzonte è la vendetta di Babele).

Misura estrema della vita, la sigaretta non dovrebbe finire mai (e io conosco, a proposito, un fumatore davvero eccentrico: che si è fatto fabbricare una Sigaretta infinita – o almeno, quasi infinita: lunga dalla sua bocca sino all’orizzonte compreso…).

L’orizzonte, lunghissima ombra di una lapide.

E’ probabile che il più celebre anche se forse non il più godibile dei nostri dilemmi vada risolto così: Dio sente con un unico organo senziente che non è un occhio né un orecchio né un naso né un’arcata palatale né poi una polimorfa estensione dermica – e sente tutto simultaneamente. L’infinito sarebbe allora il Numero delle funzioni sensoriali attribuibili a quel super-sensorio – ma, a differenza da quanto opinava Newton, non sarebbe identico allo spazio – né tanto meno al tempo. Sarebbe l’organo che non conosce limiti sensibili: e che vede – pur non essendo occhio – al di là di ogni orizzonte, e che, pur non essendo orecchio, sente al di là di ogni barriera acustica ogni preghiera: ogni lode: e ogni invocante petitio explicationis. Quanto a dire: ogni pur velato insulto…

Vorrei indicare un nuovo problema pittorico: un’inedita difficoltà della prospettiva. E’ la rassegnazione a monte o a valle della disperazione? Quale delle due grazie è più vicina al punto di fuga dell’esistere? Lo so, lo so. Si è tentati di rispondere: che l’una e l’altra danno luogo a un circolo, lungo il quale com’è noto non si può mai dire quale punto costituisca l’origine e quale la fine. Ma è un gioco di parole, anzi di immagini. Io insisto: quale delle due grazie munificamente concesse dal Cielo è più simile cioè più prossima alla Morte: la rassegnazione, o la disperazione? Ben si vede che, formulato nella sua nuova e più secca alternativa, l’idea del circolo svanisce, e torna in auge la prospettiva. Quel puntino all’orizzonte verso il quale sembrano convergere i due binari della vita, è quel puntino il simbolo di un uomo rassegnato o invece di un uomo disperato? Venite, pittori, e dategli finalmente un volto! Fatemelo accosto: sì che io possa scrutare in viso colui che mi attende…

C’è chi cammina all’indietro: ma c’è addirittura chi, irremovibile, sposta in avanti l’orizzonte.

Raramente ci si è soffermati sul risvolto della trascendenza. Cos’è? Ebbene, si consideri la visione: non può andare più in là dell’orizzonte, ma nemmeno più in qua dell’occhio. Oltre l’orizzonte: trascendenza popolare. Al di qua dell’occhio: trascendenza filosofico-aristocratica. Che non vi sia accesso a ciò che sta oltre, lo ammetterebbe anche un fornaio; che non vi sia accesso a ciò che sta prima, non lo capirebbe nemmeno un filosofo – a meno che non sia abbastanza umile da rivedersi. Sostengo che il primo tipo di trascendenza dà luogo ai miti, alle religioni, ai sistemi: e che il secondo genera invece i sogni, i pregiudizi, i limiti. Non vede al di là del suo naso! si suole dire della persona di corte vedute. Ma si pensi di dover esclamare: non vede al di qua del suo occhio! Come se fosse una pecca facilmente emendabile

C’è la profondità del nero e insondabile pozzo, e la trasparente e prossima profondità del mare. E c’è anche o forse soprattutto la profondità orizzontale dell’orizzonte: che quasi pare coniugare le prime due in una trasparenza che paradossalmente allontana la visione, e in una lontananza che ancor più paradossalmente la appropinqua.

L’orizzonte è l’unico fiume arginato da un’unica sponda.

Quel giorno il sole non si levò oltre le mistiche dune dell’orizzonte, e rimase a dormire sino al giorno successivo. Lo posso dire perché anch’io quel giorno non conobbi risveglio: e sognai invece gli Antipodi, e il prolungato soggiorno che l’Astro vi aveva polemicamente trascorso.

Oggi Sisifo ha ben altre ambizioni. Sposta trincee sempre più in avanti: sempre più verso l’orizzonte. Ha fatto progressi: non riporta più indietro il suo pietroso osso, mansueto cagnetto agli ordini di Giove. Oggi è lui anzi a dare ordini: avanti, march! Ma l’orizzonte non si sposta di un millimetro dal suo ubiquo trono: né le trincee si giustificano con il loro ubiquo deserto…

Anche a me fu dato un giorno di assistere a un miracolo. Un povero cieco tese le sue cieche mani verso l’orizzonte, e questo gli venne incontro, per mostrargli le stigmate di un’identica sventura.

La scienza muove verso l’ignoto come il naufrago verso il mare aperto: dove l’orizzonte – appena al di là della cresta dei cavalloni – ben può apparire come il tremulo, ghignante profilo di un Lembo di Terra.

L’orizzonte non è soltanto l’unico luogo in cui il cielo tocchi la terra, ma forse principalmente l’unico nel quale la terra si levi al cielo: liberandosi del tuo stesso (o forse vorresti che dicessimo: dal tuo altro?) Peso.

In trincea ogni zolla è un preciso orizzonte. L’ecumene, al riguardo, è di gran lunga più arraffazzonato.

La vita è come l’orizzonte: qualcosa più del nulla, un nulla – un soffio meno di qualcosa. (A causa di ciò ad alcuni piace definirla inafferrabile: sebbene forse si tratti di un equivoco. Se tento di afferrare un’idea con le mani, non passerò forse per un insensato? Né più né meno che se tentassi, con la mente, di afferrare e sollevare una tazza) (Eppure, in un certo senso, la vita non è altro che il mistico prodotto delle due ‘violazioni’).

Tutti le idee che non sono io a intuire gravano sulla mia esistenza come tutte le giornate che non sarò io a vivere: è quel che ignoro a rendere immortale l’orizzonte – e fedele come un cane di cui non io fui il padrone.