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Nella sezione Scrittori di aforismi su Twitter l’articolo di oggi è dedicato a @flarin (Luca Turci).
Nella breve nota biografica che mi ha inviato, l’autore scrive di sé: “Mi drogo di parole e immagini. Libri, fumetti, film, serie tv, internet. A volte provo a fabbricarmene anche da solo sotto forma di racconti, post o tweet. Ma è come se fosse metadone. Nel 2011 ho finito di scrivere un romanzo, il sogno di una vita, ma mi sembra sempre che manchi qualcosa e passo il tempo a riscriverlo. Credo che quel qualcosa si chiami coraggio. Mi guadagno pane e libri lavorando come web designer freelance”.
@flarin è stato uno dei primi a iscriversi su Twitter, nel dicembre 2007. “Scrivo su twitter per una sorta di abitudine nata per inerzia. Tanto per cominciare lavoro nel web e appena esce una novità, mi iscrivo per testarla e… la verità è che andò così… una ragazza mi disse: – iscriviti a twitter! – Ma che rob’è? – È figo. – Non mi pare mica. Poi lei sbattè le ciglia e lo feci. Ed eccomi qua” mi scrive l’autore. Che poi aggiunge: “Scrivere su twitter, mi permette di dare un senso – forse inutile, come tutti i sensi – a quello che mi rimbalza nella testa. Io invio e mi tolgo il dubbio che il tweet possa essere interessante in base a cosa succede. Già solo inviando mi sento meglio. Non importa che risulti interessante o meno, ma che mi sia tolto il dubbio e mi sia liberato dal pensiero. Ho un cervello un po’ così, che vogliamo farci? Produce tanti rifiuti e mi serve sempre più spazio. Scusate se ve li lancio addosso”.
A proposito del suo nick l’autore spiega così la scelta: “Flarin è il mio nick per sbaglio. Lo avevo inventato per una storia, quando ero bambino e l’ho usato all’iscrizione perché pensavo non sarebbe durata. Ma tanto le cose che durano fanno sempre così: come gli pare. Volevo un nickname che sembrasse dolce – non mi perdonerò mai per aver scritto questo aggettivo -, ma nascondesse una componente forte e distruttiva (flar, flare, flaring). E mi è tornato in mente flarin, che poi mi piace scrivere con la minuscola, un po’ perché è più bella la effe minuscola (…) e un po’ per una sorta di strana umiltà, o, semplicemente, per il fatto che non riesco a prendermi sul serio. (E non riesco nemmeno a prendermi. Sul serio. Io ci provo, ma è come quei cani che inseguono la propria coda.)”
Anche se @flarin afferma di “sentirsi fuori luogo in quasi tutti gli stati d’animo”, c’è nella sua scrittura una delicatezza inconfondibile, come quella dell’acqua che scorre lieve in discesa (“verso alcune persone si scivola come l’acqua in discesa”) e la delicatezza dell’animo è proprio uno degli aspetti ricorrenti nella sua timeline.
Nei suoi tweet – così leggeri e aerei e morbidi (“Pensieri così morbidi che ci faresti il nido”) -, @flarin modella i “sentimenti come pongo in un mondo di bambini” estraendone forme e immagini piene di stupore, di estasi e anche di malinconia. Sono immagini in bianco e nero, che a volte si colorano come un mattino “che sa di possibilità”. A volte dietro queste immagini si intravede la luce di un fuoco, quel sacro fuoco interno – il fuoco dell’anima, il fuoco dell’inquietudine – che corrode e brucia e che ci rende così puri (del resto in greco purezza e fuoco hanno la stessa etimologia).
@flarin ci parla di emozioni e persone (“Ci sono un sacco di belle persone, ma le hanno distribuite male”), di assenze e presenze (“Si chiama mancanza ed è spesso presente”), di illusioni (“Contromano sulla strada delle illusioni”) e di realtà (“La vera fuga è nella realtà”), di nuvole (“Quando cado dalle nuvole, per un attimo spero sempre sia verso l’alto”) e di naufragi (“Alle volte ci si aggrappa alla scialuppa e si dimentica di controllare se si tocca”), di ragione e cuore e anima (“Un cervello pesa all’incirca un chilo e mezzo. Un cuore trecento grammi. Un’anima, 21. Più ci si allontana dalla ragione e meno pesa”). E ci parla anche di quello strano meccanismo fatto di pudore e di autodifesa che ci porta a rifiutare la felicità “- Lo vuoi un assaggio di felicità? – Non è che poi mi fa male?”. E quando è davanti a una persona, @flarin ha questa sensibilità fatta di piccoli gesti, gesti delicati, fragili, sensibili. Sembra quasi di vederlo mentre esclama: “Scusa ma ho visto un No nei tuoi occhi. Ferma così che te lo tolgo”.
Presento una selezione di tweet di @flarin
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@flarin, Tweet scelti
Un cervello pesa all’incirca un chilo e mezzo.
Un cuore trecento grammi.
Un’anima, 21.
Più ci si allontana dalla ragione e meno pesa.
Alle volte ci si aggrappa alla scialuppa e si dimentica di controllare se si tocca.
Giochiamo? Io mi nascondo dietro un vorrei e tu dietro un potresti.
– È solo un filo. – Ti dici.
Lo tiri e vengono via: la maglietta, Arianna, Teseo, il Minotauro e mezzo labirinto.
Nel corpo umano c’è una funzione per posporre i sentimenti. Si chiama paura.
È meglio non cercare scorciatoie nei percorsi obbligati. A volte arrivi troppo presto e non è il momento giusto.
Attenti che girano pietre durissime rivestite di persona intorno.
Pensate che frustrazione le nostre ombre. Ci vedono sbagliare e devono seguirci sempre, e in silenzio.
Chi s’accontenta esplode.
– Sono veramente stanco.
– Hai lavorato tanto?
– Ho amato a vuoto.
Occupano il tuo cuore e non pagano l’affetto.
So perfettamente cosa vorrei. Deve essere per questo che riesco a evitarlo così bene.
La frase che ti apre gli occhi, potresti trovarla scritta sul muro di un vicolo cieco.
Si ritrovarono e non dissero nulla. Fu un discorso indimenticabile.
Si chiama mancanza ed è spesso presente
Centimetri e centimetri di chilometri di lenzuola vuote.
Se invece dei film ci facessimo i libri mentali, forse voltare pagina sarebbe più facile.
Una cosa che non ti aspetteresti mai è di ritrovare un sorriso nell’ultimo posto dove hai pianto.
(Eppure.)
– Ma non lo vedi che ti amo!?
– Ecco, ma come funziona? Lampeggia qualcosa? Arriva una notifica?
Ho messo il cuore in vibrazione, ma disturba uguale.
Certe persone riesci a leggerle come un libro, e poi hai paura di finire le pagine.
Chissà dove vanno a finire le chiamate perse.
– Dormiamo?
– Cinque minuti. Finisco di guardarti e arrivo.
Cuori distrutti da attimi vandalici.
Se tu sei a casa tua e io sono a casa mia, nessuno dei due è a casa.
Ti fissi su una chiave di lettura, poi un’altra persona ti fa capire che puoi girarla anche nell’altro verso. E si apre un mondo.
Mezzanotte.
(Con te sarebbe intera.)
Se le braccia sono perfette per contenere una persona ci sarà qualche motivo.
C’è un nome per le orme che non puoi più seguire: ormai.
Ci sono un sacco di belle persone, ma le hanno distribuite male.
Fori di proiettili calibro “mi manchi” su tutto il corpo.
– Vuoi salire a vedere la mia collezione di due di picche?
– No.
– Grazie, questo mi mancava.
Volevo dirti tante cose, poi mi hai preso la mano.
Tu sei la soluzione.
Io non avevo problemi.
Ma quando stai bene da solo, ma ti senti solo, che malattia hai?
– Mi mancavi. – Anche tu. – Però ormai è tardi. – Già. – È andato tutto in fummo.
Verso alcune persone si scivola come l’acqua in discesa.
Tutto quello che conta va da uno a te.
La felicità è quando chiudendo gli occhi vedi le stesse cose.
Non vai più avanti perché le cose non dette aumentano la gravità.
Esistono voci che possono aprire i barattoli dove chiudi le emozioni.
La vera fuga è nella realtà.
Se non la noti non è musica.
C’è un messaggio per te negli occhi di qualcuno. Osserva bene.
Per me la differenza la fa ciò che mi viene voglia di proteggere. Ma non credo sia sano. Forse la felicità non è sana.
Che belle quelle storie che continuano quando giri l’ultima pagina.
Giornate da prendere la bicicletta e mandare tutto a quel paese. O andarci, pedalando fortissimo.
Contromano sulla strada delle illusioni.
Il freddo fa male già fuori, pensa quando ce l’hai dentro.
Non vestirti, andiamo a vivere per un po’ dentro un maglione largo.
Il futuro lo spostano sempre più avanti.
Mi sento fuori luogo in quasi tutti gli stati d’animo.
Sentimenti come pongo in un mondo di bambini.
Mi chiedo dove si nascondano i barattoli vuoti quando senti il bisogno di calciarne uno.
I periodi migliori credo siano quelli in cui, se togli le cuffie, continua la musica.
– Dove vuoi andar a parare?
– Tu dove pensavi di tirare?
Quanti chissà che mi faccio.
Estasi quando ti perdi nei pensieri.
Stasi, quando ci rimani dentro.
Scusa ma ho visto un No nei tuoi occhi. Ferma così che te lo tolgo.
Sai che faccio? Mi arrampico sul pensiero più grande. Così gli altri non mi trovano.
Pensi di averci piantato la bandiera sulla vetta più alta della delusione, e poi tra la nebbia sbuca una nuova montagna.
E adesso hai l’anima nera di lividi, e se qualcuno te la tocca fa male.
– Mi fa un gelato?
– Certo, coppa o cono?
– Colpa.
– …
– …
– E sentiamo, che ci metto?
– Amarezza. E coccolata.
– Iscritto a twitter eh?
– Lo vuoi un assaggio di felicità?
– Non è che poi mi fa male?
L’equivalente di quello che ti dà una serata estiva, al fresco in veranda, con libro e bottiglia di tè, lo fanno anche in formato persona?
Il nonsense di voler evadere da una prigione di cui si possiede la chiave. Spesso la vera trappola non è la trappola.
I periodi neri passano. Uno dietro l’altro.
Un tweet è come un messaggio in bottiglia lanciato nel mare. Dove arriva, arriva. Non stare tutto il tempo a fissare l’orizzonte.
In che sesso penso troppo alle donne?
Lo vedi tutto questo vuoto?
Un giorno sarà tuo.
Meglio raccogliere cocci che rimpianti.
Alla fine la scelta è quasi sempre fra un salto nel vuoto e un salto nel buio.
Sotto un velo di malinconia trovi degli occhi ancor più luminosi.
Una volta scappavo su internet per scappare dalla realtà. Ora servirebbe un’altra internet per scappare da questa.
I sogni veramente cazzuti se ne escono da soli dal cassetto.
Vorrei restare per un po’ in quell’intercapedine tra il tempo perso e quello che non passa.
Io scrivo, tu sogni. Domani vediamo se le cose combaciano.
Mi ricordi qualcuno che non ho mai conosciuto e che avrei sempre voluto incontrare.
Due rette parallele che tendono a infinito, a un certo punto esplodono in polvere e continuano insieme come nuvole.
Ora fermiamoci un attimo, posiamo la testa sul cuscino e sentiamo che deve dirci.
Che fastidio quando ti sfreghi con forza sotto l’acqua e l’odore è nel cervello.
Forse basterebbe mettere meglio il segno sulle pagine belle. E sottolineare con meno forza i periodi brutti.
Quando cado dalle nuvole, per un attimo spero sempre sia verso l’alto.
Siamo così piccoli mentre il futuro ci avvolge.
No, non ho niente. Niente che la giusta canzone non possa cambiare.
Somatizzo anche il bello. Non si sa mai.
– Che hai, mi sembri a terra.
– È che mi sento suolo.
Lei chiese la luna.
Lui la prese.
Lei si spaventò.
Lui, rimasto solo, si addormentò guardando la luna.
Lei, sotto un cielo nero.
Ho bisogno di luce per la fotosintesi del buon umore.
Quando qualcosa ti incanta, è proprio perché ti canta dentro. Ti raggiunge in fondo e ti fermi ad ascoltare.