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Le frasi più belle di Italo Svevo

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Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz (Trieste, 19 dicembre 1861 – Motta di Livenza, 13 settembre 1928), è considerato uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento. Di cultura mitteleuropea, ebbe in Italia riconoscimenti tardivi e fama postuma.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Italo Svevo tratte dai suoi libri. Secondo una speciale classifica di Amazon, la frase “è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente” è una delle frasi più sottolineate negli ebook (Amazon, classifica 2014). Tra i temi correlati si veda Le frasi più belle di Cesare Pavese, Frasi, citazioni e aforismi di Sigmund Freud e Frasi, citazioni e aforismi sulla psicoanalisi.

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Le frasi più belle di Italo Svevo

Italo Svevo

La coscienza di Zeno (1923)

Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente.

È una delle grandi difficoltà della vita d’indovinare ciò che una donna vuole.

Uno dei primi effetti della bellezza femminile su di un uomo è quello di levargli l’avarizia.

Scegli quegli scalini, che non contai più, domandandomi:
“Chissà se l’amo?”
È un dubbio che m’accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l’amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore.

Mi accorsi per la prima volta che la parte più importante e decisiva della mia vita giaceva dietro di me, irrimediabilmente.

La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati.

E’ certo ch’io oscuramente sentii subito che per esser gradito da Ada avrei dovuto essere un po’ differente di quanto ero; pensai che mi sarebbe stato facile di divenire quale essa mi voleva. Si continuò a parlare della morte di mio padre e a me parve che rivelando il grande dolore che tuttavia mi pesava, la seria Ada avrebbe potuto sentirlo con me. Ma subito, nello sforzo di somigliarle, perdetti la mia naturalezza e perciò da lei – come si vide subito – m’allontanai.

La mia vita non sapeva fornire che una nota sola senz’alcuna variazione, abbastanza alta e che taluni m’invidiano, ma orribilmente tediosa. I miei amici mi conservarono durante tutta la mia vita la stessa stima e credo che neppur io, dacché son giunto all’età della ragione, abbia mutato di molto il concetto che feci di me stesso.
Può perciò essere che l’idea di sposarmi mi sia venuta per la stanchezza di emettere e sentire quell’unica nota. Chi non l’ha ancora sperimentato crede il matrimonio più importante di quanto non sia.

Compresi finalmente che cosa fosse la perfetta salute umana quando indovinai che il presente per lei era una verità tangibile in cui si poteva segregarsi e starci caldi.

Guardandola negli occhi le avrei domandato: «Mi ami tu?». E se essa m’avesse detto di sì, io l’avrei serrata fra le mie braccia per sentirne vibrare la sincerità.

Essa [Augusta] sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano natura. Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare! Tutt’altro! La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto. E queste cose immobili avevano un’importanza enorme: l’anello di matrimonio, tutte le gemme e i vestiti, il verde, il nero, quello da passeggio che andava in armadio quando si arrivava a casa e quello di sera che in nessun caso si avrebbe potuto indossare di giorno, né quando io non m’adattavo di mettermi in marsina. E le ore dei pasti erano tenute rigidamente e anche quelle del sonno. Esistevano, quelle ore, e si trovavano sempre al loro posto.

Di domenica essa [Augusta] andava a Messa ed io ve l’accompagnai talvolta per vedere come sopportasse l’immagine del dolore e della morte. Per lei non c’era, e quella visita le infondeva serenità per tutta la settimana. Vi andava anche in certi giorni festivi ch’essa sapeva a mente. Niente di più, mentre se io fossi stato religioso mi sarei garantita la beatitudine stando in chiesa tutto il giorno

La religione di cui Augusta abbisognava non esigeva del tempo per acquisirsi o per praticarsi. Un inchino e l’immediato ritorno alla vita! Nulla di più. Da me la religione acquistava tutt’altro aspetto. Se avessi avuto la fede vera, io a questo mondo non avrei avuto che quella.

Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m’accorgo che, analizzandola, la converto in malattia. E, scrivendone, comincio a dubitare se quella salute non avesse mai avuto bisogno di cura o d’istruzione per guarire. Ma vivendole accanto per tanti anni, mai ebbi tale dubbio

La salute non analizza se stessa e neppur si guarda nello specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi.

Ogni mattina ritrovavo in lei [Augusta] lo stesso commosso affetto e in me la stessa riconoscenza che, se non era amore, vi assomigliava molto.

Una volta, allorché da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza perché le avevo coperte di date. Probabilmente lasciai quella stanza proprio perché essa era divenuta il cimitero dei miei buoni propositi e non credevo più possibile di formarne in quel luogo degli altri.

Ora io sono sicuro di aver viste delle fanciulle altrettanto belle di Carmen, ma non di una bellezza tanto aggressiva cioè tanto evidente alla prima occhiata. Di solito le donne prima si creano per il proprio desiderio mentre questa non aveva il bisogno di tale prima fase.

Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute.

Curioso come a questo mondo vi sia poca gente che si rassegni a perdite piccole; sono le grandi che inducono immediatamente alla grande rassegnazione.

È libertà completa quella di poter fare ciò che si vuole a patto di fare anche qualche cosa che piaccia meno. La vera schiavitù è la condanna all’astensione: Tantalo e non Ercole.

Io credo che da molti come da me vi sieno dei periodi di tempo in cui certe idee occupino e ingombrino tutto il cervello chiudendolo a tutte le altre. Ma se anche alla collettività succede la stessa cosa! Vive di Darwin dopo di essere vissuta di Robespierre e di Napoleone eppoi di Liebig o magari di Leopardi quando su tutto il cosmo non troneggi Bismark.

L’ho finita con la psico-analisi. Dopo averla praticata assiduamente per sei mesi interi sto peggio di prima. […] Tanto fiduciosamente m’ero abbandonato al dottore che quando egli mi disse ch’ero guarito, gli credetti con fede intera e invece non credetti ai miei dolori che tuttavia m’assalivano. Dicevo loro: “Non siete mica voi!”. Ma adesso non v’è dubbio! Son proprio loro!

Quando non avevo pensato alla mia donna, vi avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l’illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti.

Ricordai allora che una volta in Inghilterra la condanna ai lavori forzati veniva applicata appendendo il condannato al disopra di una ruota azionata a forza d’acqua, obbligando così la vittima a muovere in un certo ritmo le gambe che altrimenti gli sarebbero state sfracellate. Quando si lavora si ha sempre il senso di una costrizione di quel genere.

Uccidere e sia pure a tradimento, è cosa più virile che danneggiare un amico riferendo una sua confidenza.

Del senno di poi si può sempre ridere e anche di quello di prima, perché non serve.

È proprio la religione vera quella che non occorre professare ad alta voce per averne il conforto di cui qualche volta – raramente – non si può fare a meno.

Il mentitore dovrebbe tener presente che, per essere creduto, non bisogna dire che le menzogne necessarie.

L’amore sano è quello che abbraccia una donna sola e intera, compreso il suo carattere e la sua intelligenza.

Penso che il rimorso non nasca dal rimpianto di una mala azione già commessa, ma dalla visione della propria colpevole disposizione. La parte superiore del corpo si china a guardare e giudicare l’altra parte e la trova deforme. Ne sente ribrezzo e questo si chiama rimorso.

La vita non è né brutta né bella, ma è originale!

Il pianto offusca le proprie colpe e permette di accusare, senza obbiezioni, il destino. Piangevo perché perdevo il padre per cui ero sempre vissuto. Non importava che gli avessi tenuto poca compagnia. I miei sforzi per diventare migliore non erano stati fatti per dare una soddisfazione a lui?

Quando si muore si ha ben altro da fare che di pensare alla morte.

La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza… nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà della mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco!

L’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto

Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.

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Senilità (1898 e 1927 ultima edizione rivista dall’autore)

C’eravamo trovati tanto bene insieme! Io, la persona più intelligente della città e lui la quinta, perché dopo di me vi sono tre posti vuoti e subito al prossimo c’è lui.

Le donne oneste erano quelle che sapevano trovare l’acquirente al prezzo più alto, erano quelle che non consentivano all’amore che quando ci trovavano il loro tornaconto. Dicendo queste parole egli si sentì l’uomo immorale superiore che vede e vuole le cose come sono.

Traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la felicità.

Per la chiarissima coscienza ch’egli aveva della nullità della propria opera, egli non si gloriava del passato, però, come nella vita così anche nell’arte, egli credeva di trovarsi ancora nel periodo di preparazione, riguardandosi nel suo più segreto interno come una potente macchina geniale in costruzione, non ancora in attività. Viveva sempre in un’aspettativa, non paziente, di qualche cosa che doveva venirgli di fuori, la fortuna, il successo, come se l’età delle belle energie per lui non fosse tramontata.

Parlò cioè a un dipresso così: – T’amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d’accordo di andare molto cauti. – La parola era tanto prudente ch’era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po’ più franca avrebbe dovuto suonare così: – Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia.

Quando una ragazza permette ad un giovine di dirle d’amarla, ella è già sua e non più libera.

Il possesso non dava la verità, ma esso stesso, non abbellito da sogni e neppure da parole, era la verità propria e pura e bestiale.

Non esiste un’unanimità più perfetta di quella del silenzio.

Anni dopo egli s’incantò ad ammirare quel periodo della sua vita, il più importante, il più luminoso. Ne visse come un vecchio del ricordo della gioventù.

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Una vita (1892)

Chi non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono mai più. Chi non sa per natura piombare a tempo debito sulla preda non lo imparerà giammai e inutilmente starà a guardare come fanno gli altri, non li saprà imitare. Si muore precisamente nello stato in cui si nasce, le mani organi per afferrare o anche inabili a tenere.

Certi giovani per amore all’accuratezza diventano pedanti prima del tempo, preferiscono la lima alla penna e finiscono col non far niente. […] Per adoperare la lima occorre, oltre che molto ingegno, molto senno critico. Quando si fa si è artisti, ma quando si lima bisogna essere artisti e scienziati.

Specialmente quando è passato, il dolore ha delle attrattive seducenti, e alle deboli ambizioni è soddisfazione di potersene vestire.

Quando si grida è indifferente quale parola si vesta del grido, lo sfogo si trova nell’emissione di voce.

E’ la gente triste che fa tristi i luoghi.

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Corto viaggio sentimentale (Incompiuto e pubblicato postumo nel 1949)

In sogno una parola e il suo suono dipinge intera la persona che la emette.

Quando ci si desta da una sogno, subito interviene la mente analizzatrice per connetterlo e completarlo. E’ come se volesse fare una lettera da un dispaccio. Il sogno è come una sequela di lampi e per farne un’avventura bisogna che il lampo divenga luce permanente e sia ricostruito anche quando non si vede perché non è illuminato. Insomma il ricordo del sogno non è mai il sogno stesso. E’ come una polvere che si scioglie.

Ed ora, che guardava indietro, era immobile come una fotografia. Pare che ricordare non sia una vera azione. Il ricordo lo si subisce immobile. Chi ricorda e chi è ricordato s’immobilizzano.

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Argo e il suo padrone (postumo nel 1934)

Le donne son fatte così. Ogni giorno che sorge porta loro una nuova interpretazione del passato. Dev’essere una vita poco monotona la loro.

Fra il cane e l’uomo c’è un’altra grande differenza. L’uomo cambia d’umore ad ogni istante come una lepre furba di direzione. Invece ce ne vuol altro per far cambiare d’umore al cane. Talvolta Argo è lieto e vuol bene a tutti. Taglia l’aria con la coda perché in lui manca ogni sospetto e sa che non c’è nessuno che voglia pigliarlo per quella parte inerme. Poi è assalito da un dubbio: Forse qualcuno non gli vuol bene. Ma il dubbio è domato dalla sua coda che grida al vento: Tutto va bene e sono tutti amici. È difficile frenarla se non si presenta l’evidente necessità di celarla fra le gambe. Ma l’uomo è un animale disgraziato perché non ha la coda.

La grande differenza che c’è fra l’uomo e il cane è che il primo non sa il piacere delle busse che cessano.

Esistono tre odori a questo mondo: L’odore del padrone, l’odore degli altri uomini, l’odore di Titì, l’odore di diverse razze di bestie (lepri che sono talvolta ma raramente cornute e grandi, e uccelli e gatti) e infine l’odore delle cose. L’odore del padrone, quello degli uomini, di Titì e di tutte le bestie è vivo e lucente, mentre quello delle cose è noioso e nero. Le cose hanno talvolta l’odore delle bestie che vi passarono su, specialmente se qualche cosa vi lasciarono, ma altrimenti le cose sono mute.

Quando si esce col padrone, specialmente se in quell’istante mi tolsero alla catena, il mio corpo diventa tutto gioia. So che il padrone quando vuol ridere chiude un poco gli occhi ed apre la bocca. Ma la gioia da me è altra cosa. Mi getta di qua, mi getta di là, e faccio senza sforzo dei balzi enormi. Talvolta neppure la nerbata più dolorosa basta ad arrestare la gioia della libertà in compagnia del mio padrone.

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Una burla riuscita, 1926

Mario Samigli era un letterato quasi sessantenne. Un romanzo ch’egli aveva pubblicato quarant’anni prima, si sarebbe potuto considerare morto se a questo mondo sapessero morire anche le cose che non furono mai vive. Scolorito e un po’ indebolito, Mario, invece, continuò a vivere per tanti anni di certa vita lemme lemme com’era consentita da un impieguccio che gli dava non molti fastidi e un piccolissimo reddito. Una tale vita è igienica e si fa ancora più sana se, come avveniva da Mario, è condita da qualche bel sogno.

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Un individualista, 1896

Ad una data età nessuno di noi è quello a cui madre natura lo destinava; ci si ritrova con un carattere curvo come la pianta che avrebbe voluto seguire la direzione che segnalava la radice, ma che deviò per farsi strada attraverso pietre che le chiudevano il passaggio.

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Il mio ozio (pubblicato postumo nel 1949)

Le cose che si muovono potrebbero muoversi etenamente. Perché no? Non è questa la legge in cielo dove è certo vige la stessa legge che in terra? Ma io so che dalla nascita in poi anche la malattia è prevista e preparata. Da bel principio qualche organo è più debole e lavora con qualche sforzo e costringe a qualche sforzo qualche organo fraterno e dove c’è lo sforzo s’ingenera la fatica e perciò, infine, viene la morte.

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Umbertino (pubblicato postumo nel 1949)

Le donne sono sempre povere di parole precise.

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Epistolario

Ecco in poche parole la mia biografia: nato nel 1861 a Trieste. Mio nonno era un impiegato tedesco dello stato a Treviso, mia nonna e mia madre italiane. A dodici anni fui inviato in Germania in una scuola commerciale dove studiai meno anche di quello che m’era offerto. Tuttavia mi appassionai in quegli anni alla letteratura tedesca. A diciassette anni entrai nella Scuola Commerciale Superiore “Revoltella” di Trieste dove ritrovai la mia italianità.
(Epistolario, lettera di settembre-ottobre 1927)

A trentasei anni ebbi la fortuna di entrare in una impresa industriale della quale faccio parte tuttora. Fino allo scoppio della guerra lavorai molto, precipuamente dirigendo degli operai a Trieste, Murano (Venezia) e Londra. A trenta pubblicai “Una Vita‟ e a trentasette “Senilità‟. Poi risolsi di rinunziare alla letteratura ch’evidentemente attenuava la mia capacità commerciale e le poche ore libere dedicai al violino, pur d’impedirmi il sogno letterario. La guerra mi tolse dagli affari e probabilmente fu causa il lungo riposo che, nel 1919, mi misi a scrivere La coscienza di Zeno che pubblicai nel 1923.
(Epistolario, lettera di settembre-ottobre 1927)