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Le frasi più belle di Thomas Mann

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Presento una raccolta delle frasi più belle di Thomas Mann tratte dalle sue opere principali. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Johann Wolfgang von Goethe, Frasi, citazioni e aforismi di Arthur Schopenhauer e Le frasi più belle di Friedrich Nietzsche.

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Le frasi più belle di Thomas Mann

Opere varie

Questo era amore a prima vista, amore duraturo: un sentimento sconosciuto, insperato, inaspettato per quanto concerneva una questione di consapevolezza cosciente. Prese interamente possesso di lui ed egli comprese, con gioiosa sorpresa, che era per tutta la vita.

La solitudine dà alla luce l’originale che c’è in noi.

La musica è calcolo elevato a mistero.

Infuriarsi ed eccitarsi nel combattere qualche idea è facile soprattutto quando non siamo del tutto sicuri della nostra posizione e ci sentiamo interiormente tentati di passare dalla parte dell’avversario.

Le cause di ogni avvenimento assomigliano alle dune del mare: una è preposta sempre all’altra, e l’ultimo ‘perché’, presso il quale si potrebbe riposare, sta nell’infinito.

Essere artista ha sempre significato possedere ragione e sogni.

L’artista è l’ultimo a farsi illusioni a proposito della sua influenza sul destino degli uomini. L’arte non è una forza, è soltanto una consolazione.

La giustizia non è ardore giovanile e decisione energica e impetuosa: giustizia è malinconia

Il blocco non parteggia per lo scultore, è contro di lui.

Il tempo è un dono prezioso, datoci affinché in esso diventiamo migliori, più saggi, più maturi, più perfetti.

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La morte a Venezia (Der Tod in Venedig, 1912)

La sua bellezza era inesprimibile e, come altre volte, Aschenbach sentì con dolore che la parola può, sì, celebrare la bellezza, ma non è capace di esprimerla.

Qualcosa come una irrequietezza vagabonda, una giovanile frenesia di lontananze, insomma un sentimento così vivo l’afferrò, così nuovo, o da così lungo tempo represso e dimenticato, che dovette fermarsi di botto, con le mani dietro la schiena e gli occhi a terra, per decifrare la natura e l’obietto di quel turbamento.
Era desiderio di viaggiare: null’altro.

Giorno dopo giorno, ormai, il dio dalle guance infocate correva ignudo con la fiammea quadriga attraverso gli spazi celesti e la sua chioma d’oro fluttuava al vento di levante mutatosi in subita brezza. Un lucido biancore di seta posava sulle pigre ondeggianti distese del ponto; la sabbia ardeva, l’etere azzurro sfavillava d’argento.

E si sentiva allora come trasportato nel suolo elisio, ai confini della terra, dove agli uomini è più facile vivere, dove non c’è neve né inverno, né tempeste e piogge a diluvio, ma spira costante il soffio del dio Oceano, mite e refrigerante, e i giorni scorrono in ozio beato, senza fatiche, senza lotte, interamente sacri al sole e ai suoi tripudi.

Così la natura straniera del ragazzo innalzava la parola a musica, il sole accecante effondeva su lui fiumi di luce, e a risalto e sfondo della sua figura era sempre la maestosa prospettiva del mare.

Riposare nella perfezione è il sogno di chi tende all’eccelso, e non è forse il nulla una forma di perfezione?

Questa era Venezia, bellezza adescatrice ed equivoca: città fiabesca e trappola per forestieri, aura viziata che un tempo aveva permesso all’arte di fiorire opulenta e che ai musicisti ispirava morbide melodie di voluttuosa ninnananna

La solitudine genera l’originalità, la strana e inquietante bellezza, la poesia, ma anche il contrario: l’abnorme, l’assurdo, l’illecito.

È certamente un bene che il mondo conosca soltanto la bella opera e non le sue origini, non le condizioni e le circostanze del suo sviluppo; giacché la conoscenza delle fonti onde scaturisce l’ispirazione dell’artista potrebbe turbare, spaventare, e così annullare gli effetti della perfezione.

Fermezza di fronte al destino, grazia nella sofferenza, non vuol dire semplicemente subire: è un’azione attiva, un trionfo positivo.

Niente è più singolare, più imbarazzante che il rapporto tra due persone che si conoscono solo attraverso gli occhi, che si vedono tutti i giorni a tutte le ore, si osservano e nello stesso tempo sono costretti dall’educazione o dalla bizzarria a fingere indifferenza e a passarsi accanto come estranei, senza saluto né parola. Fra di loro c’è inquietudine ed esasperata curiosità, l’isteria di un bisogno insoddisfatto, innaturale e represso di conoscersi e di comunicare e soprattutto una sorta di ansiosa attenzione. Infatti l’uomo ama e onora l’uomo fino a che non è in grado di giudicarlo, e il desiderio è il frutto di una conoscenza incompleta.

Passarono alcuni minuti; finalmente qualcuno accorse in aiuto dell’uomo abbattutosi sul fianco della poltrona. Lo portarono in camera sua. E quello stesso giorno un mondo trepido e riverente ebbe l’annunzio della sua morte.

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Tonio Kröger (1903)

Oh, se Inge fosse venuta! Avrebbe dovuto accorgersi che lui era sparito, intuire il suo dolore, seguirlo di nascosto, anche soltanto per pietà, posandogli la mano sulla spalla e dirgli: Vieni dentro con noi, sii contento, io ti amo. E Tonio tendeva l’orecchio dietro di sé, attendeva con impazienza assurda che ella venisse. Ma non venne. Simili cose non accadono sulla terra.

Quando un pensiero ti domina lo ritrovi espresso dappertutto, lo annusi perfino nel vento.

Le assicuro che a volte sono mortalmente stanco di raffigurare l’umano senza prenderne parte. C’è da chiedersi se l’artista sia un uomo!

Non parli di vocazione, Lisaveta Ivànovna ! La Letteratura non è affatto una vocazione, bensì una maledizione… tanto perché lei lo sappia. Quand’è che questa maledizione comincia a farsi sentire ?
Presto, terribilmente presto. A un’età in cui si dovrebbe vivere d’amore e d’accordo con Dio e con il mondo. Incominciamo a sentirci segnati, a riconoscerci prigionieri di un misterioso contrasto con gli altri, con la gente comune, ordinata ; l’abisso d’ironia, d’incredulità, di opposizione, di conoscenza, di sentimento che ci separa dal resto degli uomini si fa sempre più profondo. Siamo soli e da allora in poi non c’è più modo di intendersi.

Un artista, un’artista vero, non uno che faccia dell’arte per mestiere ma per predestinazione e condanna, lo si riconosce, anche con poca perspicacia, in mezzo a una folla. Il senso dell’isolamento, della diversità, di essere riconosciuto e osservato gli imprime sul viso un’espressione di regalità e di imbarazzo insieme. Nei tratti di un principe che passi in abiti borghesi attraverso una moltitudine si può cogliere qualcosa di simile

Ma cos’è l’artista ? La pigrizia mentale dell’uomo non si è mai dimostrata più tenace che di fronte a questa domanda

Seguì la via che doveva seguire, con passo un po’ pigro e ineguale, fischiettando e guardando lontano innanzi a sè col capo reclinato da un lato; e se gli accadeva di sbagliar strada, ciò era perché per alcuni uomini non esiste una strada giusta. A chi gli chiedeva che cosa intendesse fare nel mondo, dava risposte contraddittorie, perché, come soleva dire (ed anche questo l’aveva già annotato), egli portava in sè possibilità per mille modi di esistenza, insieme alla segreta consapevolezza che, in fondo, si trattava di altrettante impossibilità.

Così abbandonò la sua tortuosa città e i tetti a cuspide su cui fischiava il vento umido, abbandonò lo zampillo e il vecchio noce del giardino, compagni fedeli della sua giovinezza; abbandonò anche il mare, che amava tanto, e tutto ciò senza risentirne alcun dolore. Perché s’era fatto grande e giudizioso, aveva riconosciuto la sua strada ed era pieno di disprezzo per l’esistenza banale e goffa che aveva condotto così a lungo. Si dedicò unicamente a quel potere che gli appariva come il più sublime sulla terra, quello al cui servizio si sentiva chiamare e che gli prometteva altezze e onori: il potere dello spirito e della parola, che troneggia sorridente sopra il mondo muto e inconsapevole.

Ciò che vedeva era soltanto questo: comicità e miseria, comicità e miseria. E allora, insieme con la pena e l’orgoglio della conoscenza, venne la solitudine, perché gli riusciva intollerabile la vicinanza degli inetti con lo spirito gaiamente ottenebrato, e il marchio che lui recava sulla fronte li respingeva.

E rapidamente il suo nome, lo stesso con cui un tempo l’avevano chiamato gli insegnanti per redarguirlo, lo stesso con cui aveva firmato le prime rime dedicate al noce, alla fontana e al mare, in cui risuonavano uniti meridione e settentrione, quel nome borghese soffuso d’esotismo, diventò una formula per designare l’eccellenza; perché alla compiutezza dolorosa delle sue esperienze s’univa uno zelo singolare, perseverante e ambizioso che, attraverso la lotta con la suscettibile raffinatezza del suo gusto, faceva nascere, tra torture violente, opere eccezionali.

Non lavorava come chi lavora per vivere, ma come qualcuno che non abbia altro scopo che lavorare, giudicandosi zero come uomo vivente e desiderando essere considerato solo in quanto artefice, che per il resto se ne va in giro modesto e insignificante, come un attore senza trucco, che non è nulla finchè non ha nulla da interpretare. Lavorava silenzioso, appartato, invisibile e pieno di disprezzo per quei mediocri che consideravano il genio un ornamento mondano e, poveri o ricchi che fossero, andavano in giro arruffati e cenciosi, o ricercavano il lusso con eccentriche cravatte, e insomma erano convinti di menare una vita insuperabilmente felice, affascinante e artistica; senza sapere che le opere di valore nascono solo sotto il premere di una vita cattiva, che colui che vive non lavora e che, per essere perfetti creatori, bisogna essere morti

I bravi scolari, i tipi solidamente mediocri.

Se quello che avete da dire vi preme troppo, se il vostro cuore palpita con troppo slancio a suo riguardo, allora potete esser certa di un fiasco completo.
Cadrete nel patetico, ne sentimentale; qualcosa di pesante, di goffamente serio, di non dominato, non ironico, scipito, noioso, banale uscirà dalle vostre mani, e per concludere non otterrete che indifferenza tra il pubblico e delusione e desolazione in voi stessa..

La felicità non sta nell’essere amati: questa non è che una soddisfazione di vanità mista a disgusto. La felicità sta nell’amare, e nel carpire tutt’al più qualche illusorio istante di vicinanza all’oggetto amato

Un artista, nel suo intimo, è sempre un avventuriero.

Mentre scrivo, mi giunge il mormorìo del mare, e chiudo gli occhi. E vedo un mondo non ancora nato, solamente abbozzato, che vuol essere ordinato ed espresso; vedo brulicare ombre di figure umane, che fan cenni a me perché le esorcizzi e le redima; ombre tragiche, ombre ridicole, e alcune sono l’uno e l’altro allo stesso tempo… e a queste sono molto affezionato. Ma il mio amore più profondo e più segreto è per i biondi, per quelli con gli occhi azzurri, per i felici, per i puri, per i fortunati, per gli amabili e i mediocri.

Non biasimi questo amore, Lisaveta; è buono e fecondo. E’ fatto di desiderio, d’invidia malinconica, di una punta di disprezzo e d’una beatudine veramente casta.

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La montagna incantata (Der Zauberberg, 1924)

Senza temere il discredito in cui versa la meticolosità siamo anzi propensi a credere che soltanto ciò che va in profondità riesca a divertire.

Due giornate di viaggio allontanano l’uomo (specie l’uomo giovane le cui radici sono ancora poco abbarbicate alla vita) dal mondo di tutti i giorni, da quelli che egli considerava doveri, interessi, affanni, previsioni. Lo spazio che roteando e fuggendo si dipana tra lui e la sua residenza sviluppa forze che di solito si credono riservate al tempo… Come quest’ultimo, esso genera oblio, ma lo fa staccando la persona dai suoi rapporti e trasportando l’uomo in uno stato di libertà originaria… anzi trasforma in un baleno persino il pedante borghese in una specie di vagabondo… Tale fu anche l’esperienza di Castorp.

Non era più una nevicata, era una bianca tenebra caotica, uno scompiglio, era un eccesso fenomenico travalicante le zone moderate (…) A Castorp però piaceva vivere in mezzo alla neve.

Il tempo non ha nessuna divisione visibile che ne segni il passaggio, non una tempesta con tuoni, né squilli di tromba che annuncino l’inizio di un nuovo mese o un nuovo anno. Persino quando inizia un nuovo secolo siamo solo noi mortali che suoniamo le campane e spariamo in aria con le pistole.

L’apoliticità non esiste. Tutto è politica.

L’esperienza insegna che anche il fatto più modesto si svolge diversamente da come si è tentato di immaginarlo in precedenza.

La malignità caro signore, è lo spirito della critica, e la critica è l’origine del progresso e della civiltà.

La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive.

La tolleranza diventa un crimine quando si applica al male.

Scrivere bene significa quasi pensare bene, e di qui ci vuole poco per arrivare ad agire bene.

Quella che chiamiamo noia è piuttosto un morboso accorciamento del tempo in seguito a monotonia: lunghi periodi di tempo, se non si interrompe l’uniformità, si restringono in modo da far paura; se un giorno è come tutti, tutti sono come uno solo; e nell’uniformità perfetta la più lunga vita sarebbe rivissuta come fosse brevissima e svanirebbe all’improvviso.

Che cosa aleggiava nell’aria? – smania di risse. Irritazione con minaccia di crisi. Indicibile impazienza. Tendenza generale a battibecchi velenosi, a scoppi di collera, perfino alla zuffa. Litigi accaniti, incontrollabili diverbi sbottavano ogni giorno tra individui o interi gruppi.

Parlò dei viaggi invernali nel vasto impero, viaggi durati notti intere con freddi tremendi, coricato nella slitta, sotto pelli di pecora, e raccontò di aver visto, svegliandosi, gli occhi dei lupi, fiammeggianti come stelle sopra la neve.

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I Buddenbrook: decadenza di una famiglia (Buddenbrooks – Verfall einer Familie, 1901)

Figliuol mio, attendi con zelo ai tuoi negozi durante il giorno, ma concludi soltanto quegli affari che ti consentano di riposare tranquillo la notte.

Esiste uno stato di depressione in cui tutto ciò che in circostanze normali ci irrita e provoca in noi una sana reazione di scontento, ora invece ci schiaccia con un’angoscia opaca, cupa e silenziosa…

Il tempo raffredda, il tempo chiarifica; nessuno stato d’animo si può mantenere del tutto inalterato nello scorrere delle ore.

Ma gli ideali esistono per essere raggiunti e realizzati? Assolutamente no! Non si desiderano le stelle, ma la speranza… oh, la speranza, non il compimento, la speranza è il meglio della vita

Infatti, sebbene la parola parlata possa agire in modo più vivo e immediato, la parola scritta ha il privilegio di venir scelta e pesata con calma, di rimaner fissata sulla carta, e, in quella forma ben calcolata e ponderata dallo scrivente, può esser letta e riletta ed esercitare un’azione costante.

Uomo non educato dal dolore riman sempre bambino!

La vita rende così tremendamente difficile credere nell’innocenza di qualcuno.

Aveva sentito quanto male ci possa fare la bellezza, come possa gettarci nella vergogna e nella struggente disperazione, e annientare tuttavia in noi anche il coraggio e la capacità di vivere la vita comune.

Oh Dio! – esclamò a un tratto, e ricadde sul suo sedile. Solo in quel momento aveva afferrato tutto ciò che la parola «bancarotta» implicava, il senso vago e terribile che fin dall’infanzia le aveva inspirato. «Bancarotta»… era una cosa più atroce della morte, era disordine, crollo, rovina, vergogna, scandalo, disperazione e miseria.

Che cos’è il successo? Una forza segreta, indescrivibile, una sagacia, una prontezza… la coscienza di poter imprimere una spinta alla vita che si muove intorno a me grazie alla mia sola presenza… La fiducia di poter piegare la vita a mio favore… fortuna e successo sono dentro di noi. Dobbiamo trattenerli con fermezza, nel profondo.

La morte era una felicità così grande che solo nei momenti di grazia, come quello, la si poteva misurare. Era il ritorno da uno sviamento indicibilmente penoso, la correzione di un gravissimo errore, la liberazione dai più spregevoli legami, dalle più odiose barriere… il risarcimento di una lacrimevole sciagura.

Amo il mare sempre di più… forse una volta preferivo la montagna perché era tanto lontana. Adesso non vorrei più andarci. Credo che proverei vergogna e paura. È troppo capricciosa, troppo irregolare, troppo varia… certo mi sentirei in condizioni d’inferiorità. Quali sono gli uomini che preferiscono la monotonia del mare? Sono quelli, mi sembra, che hanno scrutato troppo a lungo, troppo profondamente nel groviglio delle cose interiori per non chiedere almeno a quelle esteriori una cosa soprattutto: la semplicità..

E’ davvero molto triste che si viva una volta sola, signor Permaneder, e non si possa ricominciare una nuova vita; si affronterebbero tante cose con maggiore saggezza…

Si pensa a questa o quella persona, ci si domanda come starà, e all’improvviso si rammenta che essa non va più a passeggio per le strade, che la sua voce non risuona più nel coro generale, ma semplicemente è scomparsa per sempre dalla scena e giace sotto terra laggiù, fuori della città.

Non è ogni uomo un errore, un passo falso? Non cade in una prigionia tormentosa appena nasce? Prigione! Prigione! Barriere e legami dappertutto!

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Giuseppe il nutritore (Joseph der Ernährer, 1943)

L’inferno è per i puri; questa è la legge del mondo morale. Esso è infatti per i peccatori, e peccare si può soltanto contro la propria purezza. Se si è una bestia, non si può peccare e non si sente nulla di un inferno. Così è stabilito, e certamente l’inferno è tutto popolato soltanto da gente per bene, il che non è giusto; ma che cos’è mai la nostra giustizia!