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Nata a Mosca nel 1894 e morta suicida a Kazan nel 1941, Marina Cvetaeva (pronunciato Zvetàieva), è una delle voci più alte della poesia russa.
Di lei Boris Pasternak scrisse: “La verità è che bisognava leggerla attentamente. Quando lo feci rimasi senza respiro per l’abisso di purezza e forza che si spalancava…”. Ed Ilya Ehrenburg a proposito della vita di Marina Cvetaeva disse: “Riuniva in se la cortesia antica e lo spirito ribelle… un estremo orgoglio e un’estrema semplicità… La sua vita fu un gomitolo di illuminazioni e di sbagli”.
Presento una raccolta delle frasi e poesie più belle di Marina Cvetaeva, tratte dalle sue raccolte poetiche e dal suo epistolario. Tra i temi correlati si veda Le frasi e gli aforismi più belli di Alda Merini e Le 10 poesie più belle di Wislawa Szymborska.
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Le frasi e poesie più belle di Marina Cvetaeva
Trovate parole che mi incantino: credo soltanto agli incantesimi
Io ho questa stupida convinzione: se baci – allora vuol dire che ami!
Voglio leggerezza, libertà, comprensione – non trattenere nessuno, e che nessuno mi trattenga. Tutta la mia vita è una storia d’amore con la mia anima, con l’albero al bordo della strada, con l’aria. E sono infinitamente felice.
Curare la tristezza con la cioccolata
e ridere in faccia ai passanti!
Io non vi amo né tanto, né a tal punto, né fino a… – io vi amo così. (Non vi amo tanto, vi amo come.) Oh, molte donne vi hanno amato e vi ameranno con maggior forza. Tutte – di più. Nessuna – così.
L’amore è sutura.
Sutura, non benda, sutura – non scudo
(Oh, non chiedere difesa!)
Sutura, con cui il vento è cucito alla terra,
come io a te sono cucita.
Troppo in alto ti ho amato:
mi sono seppellita in cielo!
Qualcosa è finito. Amo un altro – non si potrebbe dire in modo più semplice, brutale, sincero. Ho smesso di amarvi? No. Voi non siete cambiato e io non sono cambiata. E’ cambiata una cosa soltanto: la mia dolorosa concentrazione su Voi.
Come vivere con un’anima – in una casa? Nel bosco – forse – sì
(Lettera a Boris Pasternak)
Boris ti scrivo lettere sbagliate
Quelle vere non toccano la carta
(Lettera a Boris Pasternak)
Tu mi sei affine tutto, da parte a parte, terribilmente e angosciosamente affine, come io a me stessa – senza asilo, come le montagne. (Non è una dichiarazione d’amore: di destino)
(Lettera a Boris Pasternak)
E sempre, sempre, sempre, Pasternak, in tutte le stazioni della mia vita, accanto a tutti i lampioni dei miei destini, lungo tutti gli asfalti, sotto tutti gli ‘sghembi acquazzoni’ – sarà sempre la stessa cosa: il mio appello, il Vostro arrivo.
(Lettera a Boris Pasternak)
Riconosco l’amore
dal boato
-dal trillo beato-
lungo tutto il corpo.
Vi stringo affettuosamente la mano e attendo da Voi prodigi.
Io sono sedotta dall’essenza,
la forma arriverà da sola.
Io ti amo e voglio dormire con Te, lo dico con altra voce, quasi nel sonno, già nel sonno.
Con leggerezza pensami, con leggerezza dimenticami.
E per tutta la vita
Ho inondato d’amore
Sempre le persone sbagliate.
A certi, ai poeti,
il corpo va stretto.
Io non sono né i capelli né la mano né il naso
Io sono io ciò che è invisibile.
Io sono la pagina per la tua penna.
Tutto ricevo.
Sono una pagina bianca.
Io sono la custode del tuo bene: lo crescerò e lo ridarò centuplicato.
Lettera come un modo ultraterreno di comunicazione, meno perfetto del sogno, ma regolato dalle stesse leggi. Né lettera né sogno vengono a comando: si sogna e si scrive non quando noi ne abbiamo voglia, ma quando ha voglia: la lettera – di essere scritta; il sogno – di apparirci.
Quello che voi chiamate amore (sacrificio, fedeltà, gelosia) tenetelo in serbo per gli altri, per un’altra – io non ne ho bisogno. Io posso amare solo la persona che in una giornata di primavera a me preferirà una betulla.
Chi è fatto di pietra, chi è fatto d’argilla –
Io invece sono fatta d’argento e brillo!
La mia occupazione – è il tradimento, il mio nome – Marina,
io – sono l’effimera spuma del mare.
Una donna per bene non è una donna.
L’amore è legame.
E non inchiesta.
Non faccio alcuna differenza tra un libro e una persona, un tramonto, un quadro. Tutto ciò che amo lo amo di un unico amore.
Così tanta neve, così poco pane.
Mi meraviglio che i ricchi paghino caro il rumore: ce n’è già tanto per le strade!
Come tutto si trova quando ci si separa.
Come tutto si unisce quando si è lontani.
Ho il cuore vuoto. Quando non amo sono incapace di scrivere: scrivo soltanto del mio passato… vorrei incontrare qualcuno a cui io sia necessaria più dell’aria o dell’acqua.
Ogni volta che tento di vivere mi sento una miserabile, piccola sartina che non farà mai niente di bello, che sa soltanto far guasti e ferirsi.
L’amore
è lama? È fuoco?
Più quietamente – perché tanta enfasi?
È dolore che è conosciuto come
gli occhi conoscono il palmo della mano
come le labbra sanno
del proprio figlio il nome.
Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l’amore dal lontano
di chi mi è accanto.
Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l’amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.
Non fare paragoni: chi vive è incomparabile.
M’avevano insegnato a vivere nel fuoco
poi mi hai gettato via – nella steppa ghiacciata!
Ecco, caro, che cosa hai fatto tu a me!
Non baciarsi mai con nessuno – lo capisco – cioè non lo capisco, ma non irrimediabilmente – ma se ci si bacia –, con quale pretesto non andare oltre? Buonsenso? – Una bassezza! mi disprezzerei. Poi lo ami di meno? Non si sa, forse di meno, forse di più. Fedeltà? – Allora non baciare
Com’è successo? Oh, amico, come succedono queste cose?! Io mi sono slanciata, l’altro ha risposto, ho ascoltato parole grandi, parole come non ce n’è di più semplici e che forse sentivo per la prima volta in vita mia. E’ un ‘legame’? Non lo so. Io sono legata anche dal vento tra i rami. Dalle mani fino alle labbra – e dov’è il confine? E c’è – un confine?!
Posso portare avanti dieci rapporti (che orrore: ‘rapporti’), insieme e convincere ognuno e subito, dalla più profonda profondità, che è l’unico. Ma non tollero che mi si voltino le spalle, neanche appena appena. Mi fa MALE, capito? Io sono una creatura scorticata a nudo, e tutti voi portate la corazza.
Scusate l’Amore – è un mendicante!
Se ne va con ciabatte scalcagnate,
e certe volte non ha nemmeno quelle!
Cosa ho amato nelle persone? – Il loro aspetto. Il resto – per lo più – lo facevo combaciare.
Il mio senso di possesso si limita ai miei figli e ai miei quaderni.
Ho sempre preferito far dormire piuttosto che togliere il sonno, nutrire piuttosto togliere l’appetito, far riflettere piuttosto che perdere la testa. Ho sempre preferito dare a togliere, dare a ricevere, dare – ad avere.
Come potete non capire che il cielo – alzate la testa e guardate! – è mille volte più grande di me, come potete pensare che in una simile giornata io possa pensare al Vostro amore, all’amore di chicchessia!
L’amore è innanzitutto la nostra lontananza dalle cose, nel migliore dei casi – annullamento di questa distanza, cioè fusione
Alla povera mia fragilità
tu guardi senza dire una parola.
Tu sei di marmo, ma io canto,
tu – statua, ma io – volo.
Ti aspetto con gioia come se tu fossi un intero paese e completamente nuovo.
Tu non mi ami più:
la verità in cinque parole.
Frivolezza! – caro peccato,
caro compagno di viaggio e mio caro nemico!
Tu hai spruzzato nei mie occhi il riso
e nelle mie vene hai spruzzato la mazurca.
Il tuo nome – ah, non si può! –
Il tuo nome è un bacio sugli occhi,
sul tenero freddo delle palpebre immobili.
Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
Un sorso di fonte, gelato, turchino.
Con il tuo nome il sonno è profondo
Io sono una creatura
scorticata a nudo,
e tutti voi
portate una corazza.
Tutti voi avete:
l’arte, la vita sociale,
la famiglia, il dovere,
io,
nel profondo non ho nulla.
Tutto cade come pelle,
e sotto la pelle
carne viva, o fuoco.
Io ti conosco, Rainer, come conosco me stessa. Quanto più ci si allontana da me, tanto più si entra dentro di me. Io non vivo in me stessa, vivo fuori di me. Non vivo sulle mie labbra, e chi mi bacia mi perde.
(Lettera a Rainer Maria Rilke)
Qualsiasi vento è vento di mare, e qualsiasi città, anche la più continentale, nelle ore di vento – è marittima. C’è odor di mare, no, ma: c’è aria di mare, l’odore lo aggiungiamo noi. Anche il vento del deserto è di mare, anche quello della steppa è di mare. Giacché al di là di ogni steppa e di ogni deserto – c’è il mare, l’oltredeserto, l’oltresteppa… Ogni viuzza in cui tira vento è la viuzza di un porto.
E un invito d’inferno , la letteratura
e confesso che vi andai gioiosamente:
ma da lì nessuno torna indietro.
I versi crescono come le stelle e come le rose,
come la bellezza – inutile in famiglia.
E, alle corone e alle apoteosi –
solo una risposta: “Di dove questo mi viene?”
Mondo, cerca di capire! Il poeta – nel sonno – scopre
la legge della stella e la formula del fiore.
Tutto sta nel fatto che il cuore comincia a battere – e non fa nulla se va in mille pezzi! Io mi sono sempre fatta in pezzi e tutti i miei versi sono letteralmente frammenti argentei del mio cuore.
Io devo essere amata in modo del tutto straordinario per poter amare straordinariamente.
E’ anche assennatezza, la follia,
Anche un onore, la vergogna
Di tutto ciò che porta a ragionare,
Ce n’è fin troppo.
Con me non bisogna parlare,
ecco le labbra: date da bere.
Ecco i miei capelli: carezzali.
Ho sempre preferito essere conosciuta e odiata piuttosto che inventata e amata.
Che mi importa della mia stessa vita?
Non è la mia, dal momento che non è la tua.
Io sono la campagna, la terra nera
Tu per me sei il raggio e l’umida pioggia.
Voglio da Voi, ragazzo, il miracolo. Il miracolo della fiducia, della comprensione, della rinuncia
Ho sempre voluto e addirittura preteso che mi si ami come sono
– per ciò che sono – perché sono.
Non per ciò che, secondo voi, potrei, dovrei, avrei dovuto essere.
Scrivere per qualsiasi cosa che non sia l’opera stessa è condannare l’opera a un giorno e basta. Così si scrivono, e così devono essere scritti, gli articoli di fondo. Gloria, denaro, trionfo, questa o quell’idea – qualsiasi obiettivo estraneo all’opera è la sua fine.
Mia madre ci inondò di musica come se fosse sangue, il sangue di una seconda nascita, e da questa unione: acqua del pianoforte e acqua versata dall’innaffiatoio, mani della mamma che suonano e mani che annaffiano, che alternativamente versano ora acqua ora musica, il pianoforte per me si è identificato per sempre con l’acqua e la vegetazione, con il mormorio delle foglie e dell’acqua.
Il mio libro deve essere eseguito come una sonata. I segni sono le note. Sta al lettore realizzare o deformare.
I soldi sono la mia possibilità di continuare a scrivere. I soldi sono le mie poesie di domani. I soldi sono il mio riscatto da editori, redattori, padroni di casa, bottegai, mecenati: la mia libertà e il mio tavolo di lavoro.
Apri il giornale: calunnie, apri il giornale: ammanchi. Ogni colonna è un’accusa, ogni paragrafo nausea.
Ma cosa c’è di bello nella gloria? Il suono della parola.
Ogni manoscritto è indifeso. E io sono tutta – un manoscritto.
Ma se esiste l’Ultimo Giudizio della parola – davanti ad esso sono pura.
Do ascolto a qualcosa che risuona in me in modo costante ma non uniforme, ora dandomi indicazioni, ora dandomi ordini. Quando indica – discuto, quando ingiunge – ubbidisco.
La mia vacanza è proprio il mio lavoro. Quando non scrivo sono semplicemente infelice, e nessun mare può darmi sollievo.
È un’anima vera: in un cappio mortale – eppure viva.
Non è facile amare una cosa difficile come me.
Sappiate che esistono solo omicidi
Al mondo nessuno si è mai suicidato.