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Frasi, citazioni e aforismi di Roland Barthes

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Roland Barthes (Cherbourg, 12 novembre 1915 – Parigi, 26 marzo 1980) è stato un saggista, critico letterario e semiologo francese. Considerato uno dei principali esponenti dello strutturalismo francese del ‘900, La sua ricerca si colloca al confine tra diverse scienze umane, assumendo una posizione del tutto originale, a metà fra il lavoro di ricerca teorica e quello di scrittura letteraria.

Presento una raccolta di frasi, citazioni e aforismi di Roland Barthes. Tra i temi correlati Frasi, citazioni e aforismi sui critici letterati e la critica letteraria e Frasi, citazioni e aforismi sul linguaggio.

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Frasi, citazioni e aforismi di Roland Barthes

La letteratura non permette di camminare ma permette di respirare.
[La littérature ne permet pas de marcher, mais elle permet de respirer].

La sapienza è nessun potere, un po’ di sapere, un po’ di intelligenza e quanto più sapore possibile.

La letteratura: un codice che bisogna accettare di decifrare.

Il dire è un fenomeno fisiologico; ascoltare è un atto psicologico.

Non esiste linguaggio scritto senza ostentazione.

Essendo la lettura una traversata di codici, niente ne può arrestare il viaggio.

La vita è fatta di piccole solitudini.

Ogni amante è pazzo.

La lingua è al di qua della Letteratura. Lo stile è quasi al di là.

Ogni parola poetica è un oggetto inatteso, un vaso di Pandora da cui s’involano tutte le virtualità del linguaggio.

Il fascismo non consiste nell’impedire alle persone di dire, ma nel costringere le persone a dire.

L’universo è una cassaforte di cui l’umanità cerca la combinazione.

Il dizionario è una macchina per sognare.

Cos’è il nostro viso se non una citazione?

Ognuno ha il suo ritmo di dolore.

È noto che la guerra contro l’intelligenza viene sempre condotta in nome del buon senso.

La scrittura è questo: la scienza dei godimenti del linguaggio.

Sarebbe meglio fare la triste, stupida, tragica storia di tutti i piaceri a cui le società obbiettano o rinunciano: c’è un oscurantismo del piacere.

La fantasia aiuta a superare ogni momento di veglia o di insonnia; è un piccolo romanzo tascabile che puoi aprire ovunque senza che nessuno ci veda nulla.

La scienza va dritta e veloce per la sua strada; ma le rappresentazioni collettive non stanno al passo, sono arretrate di secoli, mantenute stagnanti nell’errore dal potere, dalla grande stampa e dai valori d’ordine.

Vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi ne viene un’altra in cui si insegna ciò che non si sa: questo si chiama cercare.

Che cos’è il colore? Un godimento.

Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia.

Parlare, e ancor più parlare, non è comunicare… è sottomettere.

La bellezza (a differenza della bruttezza) non si può veramente spiegare: si dice, si afferma, si ripete in ogni parte del corpo ma non si può descrivere.

Davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte.

Ciò che la fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più a ripetersi esistenzialmente.

La Fotografia è violenta: non perché mostra delle violenze, ma perché ogni volta riempie di forza la vista, e perché in essa niente può sottrarsi e neppure trasformarsi.

Ogni nuova moda è rifiuto di ereditare, è sovvertimento contro l’oppressione della vecchia moda; la moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato.

Il dilettante è definito come un’immaturazione dell’artista: uno che non può – o non vuole – innalzarsi sino a dominare una professione.

Lo specchio non capta altro se non altri specchi, e questo infinito riflettere è il vuoto stesso,

Scrivere significa scuotere il senso del mondo, disporvi un’interrogazione indiretta alla quale lo scrittore, con un’ultima sospensione, si astiene dal rispondere. La risposta è data da chiunque vi rechi la propria libertà.

La risposta del mondo allo scrittore è infinita: non si smette mai di rispondere a ciò che è stato scritto.

Ciò che costituisce la natura della fotografia è la posa.

Credo che oggi l’automobile sia l’equivalente abbastanza esatto delle grandi cattedrali gotiche: voglio dire una creazione d’epoca, concepita appassionatamente da artisti ignoti, consumata nella sua immagine, se non nel suo uso, da tutto un popolo che si appropria con essa di un oggetto perfettamente magico.

Cos’è la teatralità? È il teatro meno il testo, è una profondità di segni e di sensazioni che si costruisce sulla scena a partire dal discorso scritto.

Ogni rifiuto del linguaggio è morte.

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Frammenti di un discorso amoroso (Fragments d’un discours amoureux, 1977)

Per il soggetto, il gesto dell’abbraccio amoroso sembra realizzare, per un momento, il sogno di unione totale con l’essere amato.

Nell’abbraccio tutto rimane sospeso: il tempo, la legge, la proibizione: niente si esaurisce, niente si desidera: tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati.

A ogni istante dell’incontro, io scopro nell’altro un altro me stesso.

Nell’incontro (…) io sono come un giocatore la cui fortuna non si smentisce e che al primo colpo gli fa mettere la mano sul pezzo che va a completare il puzzle del suo desiderio.

Il soggetto amoroso sente l’altro come un Tutto e, al tempo stesso, questo Tutto gli sembra comportare un resto, che egli non può esprimere.

Nella mia vita, io incontro migliaia di corpi; di questi io posso desiderarne delle centinaia; ma di queste centinaia, io ne amo uno solo.

Un innamorato coniuga estremi di nevrosi e psicosi: è un tormentato e un pazzo.

L'”io-ti-amo” è senza sfumature. Esso sopprime le spiegazioni, gli accomodamenti, le graduazioni, gli scrupoli.

Il mito del “colpo di fulmine” è talmente forte (la cosa mi cade addosso senza che io me l’aspetti, senza che io lo voglia, senza che io abbia fatto la benché minima mossa), che si resta sbalorditi se si sente qualcuno “decidere” d’innamorarsi.

Non si è innamorati “che” di un’immagine. Il colpo di fulmine, quello che si chiama “invaghimento”, si compie attraverso un’immagine.

L’amore è osceno perché mette la sentimentalità al posto della sessualità.

Il mio corpo è un bambino messo alla prova, il mio linguaggio è un adulto civilizzato…

Voler scrivere l’amore, significa affrontare il ‘guazzabuglio’ del linguaggio: quella zona confusionale in cui il linguaggio è insieme ‘troppo’ e ‘troppo poco’, eccessivo (…per la sommersione emotiva) e povero (per i codici entro i quali viene costretto e appiattito).

L’unica assenza è quella dell’altro: è l’altro che parte, sono io che resto. L’altro è in stato di perpetua partenza, sempre sul punto di mettersi in viaggio; egli è, per vocazione, migratore, errante; io che amo sono invece, per vocazione inversa, sedentario, immobile, a disposizione, in attesa, sempre nello stesso posto.

Storicamente, il discorso dell’assenza viene fatto dalla Donna: la Donna è sedentaria, l’Uomo è vagabondo, viaggiatore; la Donna è fedele (aspetta), l’uomo è cacciatore (cerca l’avventura, fa la corte).

L’assenza dell’altro mi tiene la testa sott’acqua; poco a poco, io soffoco, la mia aria si fa più rarefatta.

«Sono innamorato? – Sì, poiché sto aspettando». L’altro, invece, non aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo sempre.

Che cosa penso dell’amore? – In fondo, non penso niente. Certo, vorrei sapere che cos’è, ma, vivendolo dal di dentro, lo vedo in quanto esistenza, non in quanto essenza.

In un qualsiasi episodio trascurabile della vita d’ogni giorno, il soggetto crede di aver mancato nei confronti dell’essere amato e prova per questo un sentimento di colpevolezza.

Il soggetto amoroso riconosce l’essere amato come «atopos» (qualifica attribuita a Socrate dai suoi interlocutori), cioè inclassificabile, dotato di una originalità sempre imprevedibile.

Io guardavo tutto del suo volto, del suo corpo, con distacco: le sue ciglia, l’unghia del suo alluce, la sottigliezza delle sue sopracciglia, delle sue labbra, il colore di smalto dei suoi occhi, un certo neo, un certo modo di tenere le dita fumando; ero affascinato.

Il soggetto amoroso vive ogni incontro con l’essere amato come una festa.

La gelosia è un’equazione a tre termini permutabili (indecidibile): si è sempre gelosi di due persone contemporaneamente: io sono geloso di chi amo e di chi lo ama.

Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero d’esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri.

Fading. Prova dolorosa con la quale l’essere amato sembra sottrarsi a qualsiasi contatto, senza neppure rivolgere questa indifferenza enigmatica contro il soggetto amoroso o pronunziarla a beneficio di chiunque altro, sia questo il mondo o un rivale.

Il fading dell’altro, quando si manifesta, mi angoscia perché mi sembra senza causa e senza fine. Come un triste miraggio, l’altro s’allontana, insegue l’infinito e io mi logoro nell’attesa del suo ritorno.

«Non riesco a capirti» vuol dire: «Non saprò mai che cosa pensi veramente di me». Non posso decifrare te perché non so come tu decifri me.

Nella sfera amorosa, le ferite più dolorose sono causate più da ciò che si vede che non da ciò che si sa.

Come finisce un amore? – Ma allora finisce? Nessuno – salvo gli altri – lo sa mai; una specie d’innocenza nasconde la fine di questa cosa concepita, propugnata e vissuta come eterna. Qualunque sia la fine dell’oggetto amato, sia che esso scompaia o passi nella sfera Amicizia, io non lo vedo neanche svanire: l’amore che è finito si allontana verso un altro mondo come un’astronave che cessa di mandare segnali: l’essere amato che prima segnalava chiassosamente la sua presenza, diventa tutt’a un tratto muto.

Dichiarazione. Propensione del soggetto amoroso a intrattenere a lungo, con un’emozione contenuta, l’essere amato, a proposito del suo amore, di lui, di sé, di loro: la dichiarazione non verte sulla confessione dell’amore, ma sulla forma, commentata all’infinito, della relazione amorosa.

Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi delle parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole.

Non riuscendo a precisare la specialità del suo desiderio per l’essere amato, il soggetto amoroso non trova di meglio che questa parola un po’ stupida: adorabile!

L’immagine è perentoria, essa ha sempre l’ultima parola; nessuna cognizione può contraddirla, trasformarla, affinarla.

Esiste un freddo speciale dell’innamorato: la freddolosità del cucciolo (d’uomo, d’animale) che ha bisogno dei calore materno.

La coscienza di un accumulo delle sofferenze amorose trova sfogo con questa frase: «Così non può continuare».

Io desidero il mio desiderio, e l’essere amato non è altro che il suo accessorio.

Io posso fare tutto con il mio linguaggio, “ma non con il mio corpo”. Ciò che riesco a nascondere con il mio linguaggio, il mio corpo lo dice.

Posso modellare a mio piacimento il mio messaggio, ma non la mia voce. Qualunque cosa essa dica, dalla mia voce l’altro si accorgerà che “ho qualcosa”.

Io so che tu sai che io so: questa è la formula generale dell’imbarazzo.

Scrutare vuol dire frugare: io frugo il corpo dell’altro, come se volessi vedere cosa c’è dentro, come se la causa meccanica del mio desiderio si trovasse nel corpo antagonista (sono come quei bambini che smontano una sveglia per sapere che cos’è il tempo).

Nel languore amoroso qualcosa se ne va, senza fine; è come se il desiderio non fosse nient’altro che questa emorragia. La fatica amorosa è questo: una fame amorosa che non viene saziata, un amore che rimane aperto.

Il regalo d’amore è solenne; trascinato dall’insaziabile metonimia che disciplina la vita immaginaria, io mi traspongo tutt’intero in esso. Attraverso questo oggetto, io ti do il mio Tutto, io ti tocco con il mio fallo; è per questo che io sono follemente eccitato, che corro da un negozio all’altro, che mi ostino a cercare il feticcio che vada bene, il feticcio splendente, riuscito, che si adatterà perfettamente al tuo desiderio.

Alterazione. Produzione breve, nel campo amoroso, d’una controimmagine dell’oggetto amato. Sulla base di episodi trascurabili o di minimi connotati, il soggetto vede l’immagine buona alterarsi improvvisamente e rovesciarsi.

Sembra che Freud detestasse il telefono: proprio lui che invece amava ascoltare[30] Forse intuiva, presentiva, che la telefonata è sempre una cacofonia e che quello che il telefono lascia filtrare è la voce falsa, la comunicazione fasulla.

Quello che l’amore mette a nudo in me è l’energia. Tutto ciò che faccio ha un senso (posso perciò vivere senza lamentarmi), ma questo senso è una finalità inafferrabile: esso non è altro che la coscienza della mia forza.

La passione amorosa è un delirio; ma il delirio non è poi così straordinario; tutti ne parlano e ormai non fa più paura. Enigmatica è semmai la perdita di delirio: dove porta?

Talvolta il mondo mi appare irreale (io lo esprimo in un modo diverso), talaltra mi appare dereale (io lo esprimo con difficoltà).

E ancora molto tempo dopo che la relazione amorosa si è acquietata, io conservo l’abitudine di allucinare l’essere che ho amato: talora, una telefonata che tarda a venire riesce ancora ad angosciarmi e, in ogni importuno, credo di riconoscere la voce che amavo: io sono un mutilato che continua ad avere male alla gamba amputata.

Nel lutto reale, è la «prova di realtà» a mostrarmi che l’oggetto amato ha cessato di esistere. Nel lutto amoroso, l’oggetto non è né morto né lontano. Sono io a decidere che la sua immagine deve morire (e questa morte, io potrò addirittura arrivare a nascondergliela).

Il vero atto del lutto, non è soffrire per la perdita dell’essere amato; è constatare un giorno, sulla pelle della relazione, simile a una minuscola macchia, il sintomo di una morte sicura: per la prima volta, io faccio del male a chi amo, senza volerlo, certo, ma anche senza darmi eccessiva pena.

La cultura di massa è una macchina che indica quali sono le cose da desiderare: questo è ciò che deve interessarti, dice, come se intuisse che gli uomini sono incapaci di trovare da soli chi devono desiderare.