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Frasi e citazioni di Abraham Yehoshua

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Abraham Yehoshua, detto Boolie (nato a Gerusalemme il 9 dicembre 1936 e morto a Tel Aviv, 14 giugno 2022, è stato uno scrittore, saggista e drammaturgo israeliano, voce narrante della complessità del mondo ebraico e della vita d’Israele.

Abraham Yehoshua Yehoshua ha avuto un impatto significativo sulla letteratura israeliana con le sue profonde intuizioni su vari aspetti della società israeliana, dell’identità e del conflitto con i palestinesi. L’educazione di Yehoshua in un ambiente multilingue, dove a casa si parlavano sia l’ebraico che l’arabo, ha profondamente influenzato il suo stile di scrittura e la sua prospettiva sulle complessità della società israeliana.

Abraham Yehoshua era un uomo che per tutta la vita ha desiderato e scritto affinché ebrei e arabi vivessero gli uni accanto agli altri; a lungo si è battuto per «due popoli due Stati»; alla fine era arrivato alla conclusione che poteva esserci uno Stato solo, Israele, in cui i palestinesi avrebbero dovuto avere tutti i diritti, compreso quello di andare al governo.

Presento una raccolta di frasi e citazioni di Abraham Yehoshua. Tra i temi correlati Frasi, citazioni e aforismi di Primo Levi e Frasi, citazioni e aforismi sulla Shoah e l’Olocausto.

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Frasi e citazioni di Abraham Yehoshua

Il mondo è un arazzo di cultura e tradizioni, ciascuna delle quali merita rispetto e celebrazione.

Sì, è vero, siamo l’unica democrazia del Medioriente; ma la democrazia non è un attenuante, in suo nome si possono fare anche cose orribili.

Israele sta rischiando l’apartheid: due milioni di palestinesi mescolati ai coloni israeliani, il nostro esercito costretto non più a combattere in difesa del proprio Paese ma a fare da poliziotto, magari per scortare una classe di bambini che va a scuola di musica, il tutto nella West Bank. Ma le pare possibile?

Ormai anche gente come me che credeva nella formula “due popoli-due Stati” capisce che la cosa oggi è irrealistica, impraticabile. Ormai l’unica soluzione rimasta è uno Stato binazionale, cosa che fa comodo più ai palestinesi che non a noi israeliani.

Noi israeliani e palestinesi, non potendo far altro, stiamo procedendo verso un unico Stato, abbiamo quindi l’urgente bisogno di trovare un’identità comune che ci aiuti a rinsaldare la nostra coesistenza.

Israele dovrebbe diventare una specie di Svizzera con i suoi cantoni, nel rispetto delle diverse identità linguistiche, religiose e nazionali.

Mi sento israeliano al mille per mille, la mia famiglia vive qui da generazioni: se questo Paese venisse distrutto io non saprei più qual è il mio posto nel mondo. Nessuno dei miei figli ha lasciato Israele, sono grandi e vivono tutti qui. Penso che l’identità ebraica, da millenni, sia il passaporto più efficace che esista, noi ebrei possiamo sentirci a casa ovunque se c’è una casa ebraica e una comunità che ci apre le sue porte.

L’identità risiede nella nostra testa e nel nostro cuore. Gli italiani d’America, in tre generazioni sono diventati americani. Lo stesso per gli ispanici. Noi no. C’è sempre un angolo della nostra testa che resta ostinatamente ebreo.

In ospedale siamo nudi. È il luogo della sofferenza e dell’intimità. Già oggi medici arabi curano malati ebrei, e medici ebrei curano malati arabi.

Non ci sarà mai una pace con trattati, firme, bandiere. Ci può essere convivenza. Basta con l’apartheid. Dobbiamo mescolarci.

Dobbiamo convincerci del fatto che i palestinesi potranno vivere insieme agli israeliani in un unico stato, con un unica capitale. Impossibile per me dividere Gerusalemme in due parti.

La memoria. Altrove ne avete poca. Noi ne abbiamo troppa. I palestinesi passano la vita a recriminare sulla Nakba, la catastrofe, la cacciata dalla loro terra. Sognano la Eawda, il ritorno. Custodiscono le chiavi della casa del bisnonno. Chiavi che non aprono più nessuna porta. Al posto della casa del bisnonno c’è un grattacielo o un negozio della Apple. Basta! Anche noi ebrei, però: è tutto un amarcord. Le guerre. I kibbutz. Le baracche in cui furono stipati i coloni. E poi la Shoah…

L’identità ebraica non esiste, o meglio ne esistono molte: gli askenaziti e i sefarditi, i religiosi e i laici, gli ortodossi e gli ultraortodossi, le dodici tribù.

La sinistra è percepita come un’élite globale di artisti, scrittori, traduttori che si conoscono tra loro, si fidanzano, si invitano l’un l’altro a convegni dove esprimono giudizi sprezzanti sul resto dell’umanità. E un po’ è anche vero.

La morte è molto importante. Un dono che facciamo ai nostri nipoti: lasciare loro spazio.

Il nostro cosmopolitismo, sì, ha dato frutti sul piano della conoscenza, dell’intelletto. Ma il prezzo esistenziale è stato terribile.

L’arma dell’attentato suicida è così disperata che non ti rimane nemmeno la possibilità di vendicarti o punire qualcuno; il terrorista viene ucciso insieme alle sue vittime, il suo sangue si mescola al loro.

Al giorno d’oggi, accade spesso che l’identità si richiuda su sé stessa: omosessuali contro eterosessuali, bianchi contro neri, nativi contro immigrati. Abbiamo paura della globalizzazione e ci aggrappiamo all’identità per sentirci più al sicuro, cercando di scalzare l’identità degli altri. Le identità sono come delle colline. Facciamo allora dei tunnel che le aprano senza spianarle, dove alberghi un’identità diversa dalla nostra

L’amore è una prova della nostra caducità, ma anche della nostra possibilità di superarla.

Perché rinunciare? Perché arrendersi? Esiste al mondo una croce su cui valga la pena suicidarsi?

Lui conosce anche la regola che governa il mondo: se fai qualcosa, ma non la fai sapere a nessuno, è come se non avessi fatto niente.

Un sorriso puro, proprio perché non era rivolto a nessuno.

Ai giovani dico di essere coraggiosi, di essere lucidi. Di preservare il loro senso morale, di coltivare uno sguardo etico sul mondo e sugli altri, di non perdere mai l’innocenza

Ogni volta che taglio una mela immagino il desiderio delle due metà di ricongiungersi, e allora le taglio ancora e ancora.

Lei probabilmente non capisce quanto mi infastidisca questa accusa di mancanza di umanità. Cosa ci rimane alla fine se non la nostra umanità?

Uno dei sogni del sionismo era di essere un ponte. Invece, stiamo creando l’esclusione tra l’Est e l’Ovest invece di creare ponti.

Viaggiare è un’espressione del desiderio di oltrepassare i confini.

La famiglia è il fondamento su cui costruiamo la nostra vita.

Nei momenti bui è la nostra resilienza che ci aiuta ad andare avanti.

La debolezza è una forza, ci permette di entrare in contatto con gli altri.

Gli eroi possono assumere molteplici forme, spesso nei luoghi più inaspettati.

Le relazioni intime sono una miniera d’oro che la letteratura può esplorare, comprendere e descrivere.

La scrittura ha il potere di guarire sia lo scrittore che il lettore.

Casa non è un luogo, ma un senso di appartenenza.