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Camillo Sbarbaro (nato a Santa Margherita Ligure il 12 gennaio 1888 e morto a Savona il 31 ottobre 1967), è conosciuto come uno dei maggiori poeti italiani del ‘900, probabilmente anche grazie alla stima di Montale che tenne sempre in grande considerazione le sue opere. Tra le sue raccolte poetiche ricordiamo Pianissimo (1914) e Rimanenze (1955-1956)
Camillo Sbarbaro merita di essere ricordato anche come come scrittore di aforismi che ha pubblicato nelle raccolte Trucioli (1914-1918) e Fuochi fatui (1956)
Collezionista di licheni, la sua fama di lichenista supera i confini nazionali, le sue collezioni, ancora oggi, sono custodite in mezzo mondo.
Presento una raccolta di aforismi e poesie di Camillo Sbarbaro. Tra i temi correlati Le poesie più belle di Eugenio Montale e Le poesie più belle e celebri di Umberto Saba.
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Aforismi e poesie di Camillo Sbarbaro
Non fosse la donna
il giorno sarebbe senz’albore;
non stella avrebbe
e rugiada la notte; non acqua
o fil d’erba la terra.
Senza cielo sul capo si andrebbe.
(dalla poesia Donna cielo)
È uno qualunque; ma al suo primo passo una madre gioì, una donna gli tremò tra le braccia, un figlio lo piangerà. Nessuno può avere di più.
La vita ha bisogno d’un alibi: quello dell’aldilà, quello dell’arte… Se non altro, dell’alibi della prole. A sé la vita non basta.
Amico è con chi puoi stare in silenzio.
Nella vita, come in tram, quando ti siedi sei al capolinea.
Rimandare, di poco che sia, è giocare d’azzardo.
Si comincia a scrivere per essere notati, si seguita perché si è noti.
La saggezza dei proverbi sta nel contraddirsi.
Tutti i momenti possiamo morire ma, in ogni caso, non prima di domani.
Chi ama e chiede contraccambio è un ricco che mendica da un povero.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi un uomo estraneo
per te stesso egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegra…
(dalla poesia Padre, se anche tu non fossi il mio…)
Nulla stringe il cuore come la contentezza dei miseri.
Ora che sei venuta,
che con passo di danza sei entrata
nella mia vita
quasi folata in una stanza chiusa
– a festeggiarti, bene tanto atteso,
le parole mi mancano e la voce
e tacerti vicino già mi basta.
(Dalla poesia Ora che sei venuta)
Felicità, ti ho riconosciuta al fruscio con cui t’allontanavi.
Laurea è dispensa da imparare: il pezzo di carta su cui ci si siede per difendere l’alfine acquisito diritto all’ignoranza.
Deploriamo l’incoscienza; e senza questo sughero quanti si terrebbero a galla?
Bacio o il morso civilizzato.
Prodigalità, risorsa del povero: il modo che ha di non sentirsi povero.
Chi non fa subito fa molte volte: quante, finché non fa, ricorda di dover fare.
Chi ti loda si incensa.
Forse mi vado mineralizzando.
Già il mio occhio è di vetro, da tanto non piango; e il cuore, un ciottolo pesante.
Un cieco mi par d’essere, seduto
sopra la sponda d’un immenso fiume.
Donna d’un solo uomo, lettore d’un solo libro.
Le altre sono vie, l’arte è una meta.
Ministro della Pubblica Istruzione, mi scalzerei il posto col primo provvedimento: abolirei le scuole. L’istruzione tornerebbe a essere quello che è: il privilegio di chi lo merita. Il quale non avrà bisogno di insegnanti: imparerà da sé – che è il solo modo di imparare.
Nel gesto del bimbo che rompe il giocattolo, il seme della metafisica: l’esigenza che dietro ci sia qualche cosa.
Possiede – per cui non si possiede.
Uomo pubblico o il pidocchio sotto la lente.
Io che come un sonnambulo cammino
per le mie trite vie quotidiane,
vedendoti dinanzi a me trasalgo.
Tu mi cammini innanzi lenta come
una regina.
Regolo il mio passo
io subito destato dal mio sonno
sul tuo ch’è come una sapiente musica.
(dalla poesia Io che come un sonnambulo cammino)
Non penso più. Sono contento e muto.
Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.
(dalla poesia Io che come un sonnambulo cammino)
Perdono non ti chiedo con le lacrime
che mi sarebbe troppo dolce piangere,
ma con quelle più amare te lo chiedo
che non vogliono uscire dai miei occhi.
(dalla poesia Padre che muori tutti i giorni un poco)
Nessun bambino mai così fidente
s’abbandonò sul seno della madre
com’io nelle tue mani m’abbandono.
(dalla poesia Sonno, dolce fratello della Morte)
Il mio cuore si gonfia per te, Terra,
come la zolla a primavera.
Non vedo felicità di cui, perché sia, non tocchi contentarsi.
Si avanza nel buio a tentoni sin dove, invano prevista, s’apre sotto i piedi la botola.
Solo ciò che non si paga costa.
Peccati? ci avrebbe dunque fatti come siamo perché fossimo diversi?
Poesia, altro vizio solitario.
Liguria, scarsa lingua di terra che orla il mare.
La trama delle lucciole ricordi
sul mar di Nervi, mia dolcezza prima?
(dalla poesia La trama delle lucciole)
Ognuno resta con la sua perduta
felicità, un po’ stupito e solo,
pel mondo vuoto di significato.
Miele segreto di che s’alimenta;
fin che sino il ricordo ne consuma
e tutto è come se non fosse stato.
(dalla poesia La trama delle lucciole)
Si potesse nella vita tenere il passo del vero camminatore: lo stesso in discesa che in salita.
Perché a me par, vivendo questa mia
povera vita, un’altra rasentarne
come nel sonno, e che quel sonno sia
la mia vita presente.
Come uno smarrimento allor mi coglie,
uno sgomento pueril.
Mi seggo
tutto solo sul ciglio della strada,
guardo il misero mio angusto mondo
e carezzo con man che trema l’erba.
(Dalla poesia Talor, mentre cammino solo al sole)
Come nave senz’onda né vela
Che abbandona la sua carcassa all’onda.
Ed aspetto così, senza pensiero
E senza desiderio, che di nuovo
Per la vicenda eterna delle cose
La volontà di vivere ritorni.
Il ringraziare il sole è già preghiera, credo. Si prega da miope, senza chiedere.
Capisco, adesso, perché questa passione
ha attecchito in me così durevolmente:
rispondeva a ciò che ho di più vivo,
il senso della provvisorietà.
Sicché, per buona parte della vita, avrei raccolto,
dato nome, amorosamente messo in serbo….
neppure delle nuvole o delle bolle di sapone
– che per un poeta sarebbe già bello;
ma qualcosa di più inconsistente ancora:
delle effervescenze, appunto.
(Dalla poesia Licheni, descrivendo la sua passione per i licheni)