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Marguerite Duras, pseudonimo di Marguerite Germaine Marie Donnadieu, è nata a Saigon il 4 aprile 1914 e morta a Parigi il 3 marzo 1996.
Scrittrice, attivista politica, sceneggiatrice, candidata agli Oscar come regista di “Hiroshima mon amour”, Duras ha raggiunto l’apice del successo con il libro “L’amante”, che le valse il prestigioso premio Goncourt.
Presento una raccolta delle frasi più belle di Marguerite Duras. Tra i temi correlati Le frasi di Marguerite Yourcenar, Le frasi più belle di Annie Ernaux e Frasi, citazioni e aforismi di Simone de Beauvoir.
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Le frasi più belle di Marguerite Duras
Bisogna davvero essere pazze degli uomini, per amarli: altrimenti, sono semplicemente insopportabili.
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La vita materiale, La Vie matérielle, 1987
Ciò che l’omosessualità ama come suo amante, sua patria, sua creazione, sua terra, non è il suo amante, è l’omosessualità.
Tutti gli uomini sono omosessuali in potenza, devono solo saperlo, imbattersi nell’incidente o nell’evidenza che glielo rivelerà.
La frigidità è la mancanza di immaginario in una donna che rifiuta l’uomo che le si offre.
La maternità non è la paternità. Nella maternità la donna abbandona il proprio corpo al bambino. E i bambini, le stanno sopra come su una collina, come in un giardino, la mangiano, la picchiano, ci dormono sopra e lei si lascia divorare e qualche volta dorme mentre loro le stanno addosso. Niente di simile avverrà mai nella paternità.
La casa, è la casa di famiglia, serve a mettervi i bambini e gli uomini, per intrattenerli in un posto fatto per loro, accogliere il loro smarrimento, distoglierli dallo spirito di avventura, di fuga, di cui sono dotati dall’origine dei tempi.
Non ho una storia. Così come non ho una vita. La mia storia viene frantumata ogni giorno, ogni istante di ogni giorno, dal presente della vita, e non ho alcuna possibilità di vedere chiaramente quello che viene chiamato: la propria vita. Solo il pensiero della morte mi tiene insieme, o l’amore di quest’uomo e di mio figlio.
L’uomo si crede un eroe, esattamente come il bambino. Ama la guerra, la caccia, la pesca, le moto, le automobili, come il bambino. E noi donne, gli uomini li amiamo così. Dobbiamo essere sincere. Amiamo gli uomini innocenti, crudeli, amiamo i cacciatori, i guerrieri, amiamo i bambini.
La piena utilizzazione della vita è raggiunta dalle donne che hanno figli. Quella è la loro certezza.
È in quella cavità della vagina che risuona a vuoto nel nostro corpo, che siamo toccate dal desiderio del nostro amante. Un luogo dal quale il sesso del nostro amante è assente.
Non c’era da attirare il desiderio. Il desiderio era in colei che lo provocava o non esisteva. C’era fin dal primo sguardo o non era mai esistito. Era l’immediata intesa sessuale tra due persone o non era niente.
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L’amante, L’Amant, 1984
Un uomo che deve far spesso l’amore, un uomo che ha paura, che fa spesso l’amore per vincere la paura.
La storia della mia vita non esiste. Proprio non esiste. Non c’è mai un centro, non c’è un percorso, una linea. Ci sono vaste zone dove sembra che ci fosse qualcuno, ma non è vero, non c’era nessuno.
L’amore insensato che provo per lui rimane per me un insondabile mistero. Non so perché lo amassi al punto di voler morire della sua morte.
Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è.
Presto fu tardi nella mia vita.
Era pazza. Di nascita. Nel sangue. Non era malata di pazzia, viveva la pazzia come fosse salute.
Sul marciapiede la calca si muove in tutte le direzioni… apparentemente senza felicità, senza tristezza, senza curiosità, come se camminassero per non andare da nessuna parte, senza intenzione, scegliendo ora l’una ora l’altra direzione solo perché si trovano lì, soli e nella folla, mai soli da soli, sempre soli nella folla.
Scrivere, o è mescolare tutto in un viaggio che ha per destinazione la vanità e il vento, o non è niente; o si mescola tutto in un’unità per sua natura indefinibile, o si fa soltanto della pubblicità.
Bisognerebbe avvertire tutti di tali eventi. Comunicare loro che l’immortalità è mortale, che può morire, che è successo, che continua a succedere, che essa non si palesa mai in quanto tale, che è la duplicità assoluta. Che non esiste nel particolare, ma soltanto in linea di principio.
È stato un invecchiamento brutale. L’ho visto impossessarsi dei miei lineamenti a uno a uno, alterare il rapporto che c’era tra di loro, rendergli gli occhi più grandi, lo sguardo più triste, la bocca più netta, incidere sulla fronte fenditure profonde. Invece di esserne spaventata, ho assistito a questo invecchiamento con lo stesso interesse che avrei potuto prestare allo svolgersi di una lettura.
La vita è immortale mentre è vissuta, mentre è in vita. Che l’immortalità non è una questione di tempo, non è una questione di immortalità, è qualcosa di ignoto.
Madre e fratelli ora sono morti. E’ troppo tardi anche per i ricordi. Adesso non li amo più. Non so più se li ho amati. Me ne sono andata. Non ho più nella testa il profumo della sua pelle, negli occhi il colore dei suo occhi. Non mi ricordo più la voce, se non a volte quel tono dolce, di sera, quand’era stanca. La sua risata non la sento più: né la risata, né le grida. E’ finita, non me ne ricordo più.
Tutti dicono che da giovane lei era bella, io sono venuto a dirle che la trovo più bella ora, preferisco il suo volto devastato a quello che aveva da giovane.
Le partenze erano tutte uguali. Come le prime partenze sui mari. Il distacco dalla terra avveniva sempre nel dolore e nella disperazione, ma questo non aveva mai impedito agli uomini di mettersi in viaggio, agli ebrei, ai pensatori, a chi amava i viaggi per mare, e non aveva neppure impedito alle donne di lasciarli andare, alle donne che non viaggiavano mai, che rimanevano a custodire il luogo natale, la razza, i beni, la ragion d’essere del ritorno.
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Scrivere, Écrire, 1993
C’è una pazzia dello scrivere che si ha dentro, una pazzia, furiosa ma non è per questo che si è pazzi. Anzi.
Scrivere è anche non parlare. È tacere. È urlare in silenzio.
La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità.
La solitudine è una cosa senza la quale non si fa niente, senza la quale non si guarda più niente.
La solitudine significa anche: o la morte o il libro. Ma innanzi tutto significa alcol.
Non si trova la solitudine, la si crea.
Scrivevo tutte le mattine, ma senza un orario, mai, se non per cucinare. Sapevo quando dovevo intervenire perché il cibo bollisse o perché non si bruciasse. E anche per i libri lo sapevo. Lo giuro. Tutto, lo giuro, non ho mai mentito in un libro. E neppure nella vita. Eccetto agli uomini. Mai.
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Dolore, La Douleur, 1985
Morire non sarà raggiungerlo. Sarà smettere di aspettarlo.
I colpi alle tempie continuano. Questi colpi, bisogna che li fermi. E’ la sua morte dentro di me, batte contro le tempie. Impossibile che mi sbagli. Fermare i colpi alle tempie -fermare il cuore- quietarlo- non riuscirà a quiestarsi da solo, deve essere aiutato.
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Occhi blu capelli neri, (Les Yeux bleus, cheveux noirs, 1986)
Con il suo nome ho fatto una frase. In questa frase c’è un paese di sabbia. Una capitale del vento.
Lei si muove. Di nuovo fuori dalle lenzuola, si stira e poi resta distesa, e, quando si rilassa, resta così com’è, annientata da quell’abbandono che viene a volte da un’infinita stanchezza.
Nasce un’emozione. Lei non sa bene che cos’è, se è paura, di nuovo, e questa volta più forte di lei, oppure se è espressione di un’attesa che lei non sapeva di vivere.
Lo guarda. È inevitabile che lo si faccia. È solo, bello, estenuato d’esser solo, solo e bello come chiunque al momento di morire. Piange.
Per lei è ignoto come se non fosse nato.
Lei dice: non vi conosco. nessuno può conoscervi, mettersi al vostro posto, voi non avete posto, non sapete dove trovare un posto. per questo vi amo e per questo siete perduto.
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Hiroshima mon amour, Hiroshima mon amour, 1960
Si crede che, quando una cosa finisce, un’altra ricomincia immediatamente. No. Tra le due cose, c’è lo scompiglio.
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Varie
A otto anni a diciassette ho vissuto in un paradiso terrestre pacifico e delicato, l’Asia; ho visto, vicino a Vinh-Long, il sole tramontare fra le risaie, i fiori sbocciare, le fronde degli alberi danzare nel vento… ora qui, tra i palazzi della città, detesto la montagna che mi angoscia e mi nasconde i tramonti. Non mi sono mai abituata ai frutti europei.
È difficile morire, ma a un certo momento t’accorgi che le cose della vita devono finire. È la vita. È tutto.