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Michel Foucault (nato a Poitiers il 15 ottobre 1926 e morto a Parigi il 25 giugno 1984) è stato un filosofo, sociologo e storico francese.
Michel Foucault studiò lo sviluppo delle prigioni, degli ospedali, delle scuole e di altre grandi organizzazioni sociali. Importanti sono anche gli studi di Foucault sulla sessualità, che egli ritiene non sia sempre esistita così come la conosciamo oggi.
Presento una raccolta delle frasi più belle di Michel Foucault. Tra i temi correlati Frasi, citazioni e aforismi di Roland Barthes e Le frasi e citazioni di Claude Lévi-Strauss.
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Le frasi più belle di Michel Foucault
L’immaginazione si trova tra i libri e la lampada. Per sognare non non bisogna chiudere gli occhi; bisogna leggere.
Ricordati di inventare la tua vita.
Mai la psicologia potrà dire sulla follia la verità, perché è la follia che detiene la verità della psicologia.
Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare.
La filosofia antica ci ha insegnato ad accettare la nostra morte. La filosofia moderna, la morte degli altri.
La verità non è né assoluta, né stabile, né univoca.
La libertà di coscienza comporta più pericoli dell’autorità e del dispotismo.
Ma la vita di ogni individuo non potrebbe essere un’opera d’arte? Perché una lampada o una casa sono oggetti d’arte e non la nostra vita?
Sotto il nome di crimini e delitti, noi giudichiamo ancora oggetti giuridici definiti dal Codice, ma nello stesso tempo giudichiamo passioni, istinti, anomalie, infermità, disadattamenti, effetti dell’ambiente o dell’ereditarietà.
Dall’uomo all’uomo vero, il cammino passa attraverso l’uomo folle.
L’anima è la prigione del corpo.
Il desiderio non è forse ciò che resta sempre impensato nel profondo del pensiero?
L’uomo non muore per il fatto di essersi ammalato, ma gli capita di ammalarsi proprio perché fondamentalmente può morire.
Si dice che Dio è onnipotente, ma come mai la sua volontà può essere bilanciata in ogni momento dalla volontà degli uomini? Quindi è impotente.
Nel profondo del suo sogno, ciò che l’uomo incontra è la sua morte: una morte che nella sua forma più inautentica è solo l’interruzione brutale e sanguinosa della vita, ma nella sua forma autentica è il compimento della sua esistenza.
L’uomo è un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra chiaramente la data recente. E forse la prossima fine.
La nostra società non è quella dello spettacolo, ma della sorveglianza.
Si dice che la prigione fabbrica i delinquenti; è vero che essa riconduce, quasi fatalmente, davanti ai tribunali coloro che le sono stati affidati.
La prigione: una caserma un po’ stretta, una scuola senza indulgenza, una fabbrica buia.
È sorprendente che da 150 anni la proclamazione del fallimento del carcere sia sempre accompagnata dal suo mantenimento.
Il divieto è una cosa, la problematizzazione morale è un’altra.
In Occidente la confessione è diventata una delle tecniche più apprezzate per produrre la verità. Da allora siamo diventati una società singolarmente autoconfessante.
È brutto essere punibili, ma poco glorioso punire.
Se la prigione assomiglia agli ospedali, alle fabbriche, alle scuole, alle caserme come può meravigliare che tutte questi assomiglino alle prigioni?
Qualcuno ha commesso un’illegalità, qualcuno ha commesso un reato, bene! prenderemo il controllo del suo corpo, ce ne occuperemo più o meno completamente, lo metteremo sotto costante sorveglianza, lavoreremo su questo corpo, gli prescriveremo modelli comportamentali.
Il corpo diventa una forza utile solo se è allo stesso tempo un corpo produttivo e un corpo soggiogato.
Si vuole che la prigione educhi i detenuti, ma un sistema di educazione che si rivolga all’uomo, può ragionevolmente avere come oggetto l’agire contro natura? La prigione fabbrica delinquenti anche imponendo ai detenuti costrizioni violente; essa è destinata ad applicare le leggi e ad insegnarne il rispetto; ora, tutto il suo funzionamento si svolge sulla linea dell’abuso di potere.
l modo migliore per colonizzare la vita quotidiana delle persone con meccanismi di controllo rafforzato e totale è sollecitare non solo la loro approvazione, ma anche il loro contributo attivo.
Conosciamo tutti gli inconvenienti della prigione e come sia pericolosa, quando non è inutile. E tuttavia non «vediamo» con quale altra cosa sostituirla. Essa è la detestabile soluzione, di cui non si saprebbe fare a meno.
Il colpevole non è che uno dei bersagli del castigo: questo riguarda soprattutto gli altri, i possibili colpevoli.
La morte è un supplizio nella misura in cui non è semplice privazione del diritto di vivere, ma occasione di calcolate sofferenze.
Fin dal Medioevo, il folle è colui la cui parola non può circolare come quella degli altri: accade che la sua parola sia ritenuta nulla e non avvenuta, non avendo né verità né importanza, non potendo essere ritenuta attendibile in tribunale, non potendo autenticare un atto o un contratto, non potendo neppure, nel sacrificio della messa, permettere la transustanziazione e fare del pane un corpo; D’altra parte, capita anche che gli vengano attribuiti, in opposizione a tutti gli altri, poteri strani, quello di dire una verità nascosta, quello di predire il futuro, quello di vedere con tutta ingenuità ciò che la saggezza altrui non riesce a percepire.
I giudici di normalità sono presenti ovunque. Noi siamo nella società del professore-giudice, del medico-giudice, dell’educatore-giudice.
Che cos’è la filosofia, se non un modo di riflettere, non tanto su ciò che è vero e ciò che è falso, ma sul nostro rapporto con la verità?
Che lingua è questa che non dice nulla, non tace mai e si chiama “LETTERATURA”…?
Mentre la scienza ha il compito di far conoscere ciò che non vediamo, la filosofia deve far vedere ciò che vediamo.
L’esoterismo, lungi dall’essere la forma primaria della conoscenza, non è altro che la sua perversione.
Il discorso – ci ha dimostrato la psicoanalisi – non è semplicemente ciò che manifesta (o nasconde) il desiderio; è anche ciò che è oggetto del desiderio.
Una delle funzioni più antiche del filosofo occidentale – non soltanto del filosofo, ma anche del saggio e forse, per usare una brutta parola di oggi, dell’intellettuale – è stata di porre un limite all’eccesso di potere, alla sovrapproduzione di potere, ogni volta e in tutti i casi in cui questa sovrapproduzione rischiava di diventare minacciosa.
C’è qualcosa di comico, di amaramente comico, nei filosofi occidentali moderni: hanno pensato, hanno concepito se stessi in un rapporto di opposizione sostanziale al potere e al suo esercizio illimitato, ma il destino del loro pensiero ha fatto sì che più li si ascolta e più il potere e le istituzioni politiche si lasciano penetrare dal loro pensiero, più essi servono a autorizzare forme eccessive di potere.
Da molto tempo sappiamo che il compito della filosofia non è di scoprire ciò che è nascosto, ma di rendere esattamente visibile ciò che è visibile, di far apparire ciò che è così vicino, così immediato, così intimamente connesso a noi, da non poter essere percepito.
Non ho mai incontrato intellettuali. Viceversa, ho incontrato molte persone che parlano dell’intellettuale.
Il nome costituisce una facilitazione. Vorrei proporre un gioco: quello dell’“anno senza nome”. Per un anno si pubblicheranno soltanto libri privi del nome dell’autore. I critici dovranno sbrigarsela con una produzione completamente anonima.
La fobia fantastica del potere: ogni persona che scrive esercita un potere inquietante a cui bisogna cercare di porre, se non un termine, almeno dei limiti.
In ultima analisi, la vita è ciò che è capace di errore. Ed è forse questo fatto, o meglio questa possibilità fondamentale, che deve essere preso in considerazione nel fatto che la questione dell’anomalia attraversa tutta la biologia.
L’Europa è la via per far dimenticare alla Germania l’Impero.
Il potere che un uomo esercita su un altro è sempre pericoloso.
Il malato è la malattia che ha acquisito tratti singolari.
Il sesso a cui chiediamo di rivelare ciò che siamo e di liberarci da ciò che ci definisce
La Follia, le cui voci il Rinascimento aveva appena liberato, ma di cui aveva già domato la violenza, l’età classica l’avrebbe messa a tacere con uno strano colpo di forza.
La curiosità è stata un vizio stigmatizzato di volta in volta dal Cristianesimo, dalla filosofia e persino da una certa concezione della scienza. Curiosità, futilità. Eppure, la parola mi piace. Mi suggerisce una cosa affatto diversa: evoca la “cura”, l’attenzione che si presta a quello che esiste o potrebbe esistere; un senso acuto del reale.
Sogno una nuova età della curiosità. I mezzi tecnici ci sono; il desiderio c’è; le cose da conoscere sono infinite; le persone che possono impegnarsi in questo lavoro esistono.
Il diritto al sapere non deve essere riservato né a un’età della vita, né a certe categorie di individui; si deve poterlo esercitare ininterrottamente e in forme molteplici.
Il collegamento alla cultura deve essere continuo e il più polimorfo possibile. Non dovrebbero esserci, da una parte, una formazione che si subisce e, dall’altra parte, un’informazione a cui si è sottomessi.
Immagino che in ogni società la produzione del discorso sia allo stesso tempo controllata, selezionata, organizzata e ridistribuita da un certo numero di procedure il cui ruolo è quello di allontanarne i poteri e i pericoli, di controllarne l’evento casuale, di evitarne la pesante e formidabile materialità.
Conoscenza del reato, conoscenza del responsabile, conoscenza della legge, tre condizioni che hanno permesso di stabilire una sentenza veritiera.
La proposizione sta al linguaggio come la rappresentazione sta al pensiero.
Scrivo per cambiare me stesso e smettere di pensare come prima.