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“Fuori dai canoni, direi unica e persino eversiva (ed avvincente, per me) è la vicenda della mia avventura letteraria. Non nasco imbrattacarte: quell’arte fin da ragazzo mi è scottata tra le mani; e finanche la lettura (vale a dire, nel mio caso, scorse fugaci e sfuggenti) dei testi cosiddetti ‘creativi’ mi è rimasto un affare uggioso e indigesto. – La pagina gremita infestata ancor oggi più di allora mi leva l’aria mi manda in asfissia (insomma, risveglia la mia demofobia): parole parole parole (e più e più e più) che il più delle volte si risolvono in ovvi e deprimenti (terra terra) dejà vu… Ma poi un dì la scoperta! – tarda (verso i trent’anni) – del comparto aforistico, che mi dava assieme (ariaa! ariaaa!) due contrassegni per me essenziali: l’asciuttezza e il paradosso; cioè la sbrigativa rivalsa contro quei molesti e modesti (continuo a ritrovarmeli dappertutto; e sempre più scontati) ‘luoghi comuni’. – Quindi, fu un convulso e delirante divorarmi ‘i Ceronetti’ ‘i Cioran’ ‘i Canetti’,… e concisa compagnia contante. Ma con quegli arconti, coi loro ‘espianti’, non fu mai un compulsare sereno e innocente: mi veniva naturale, là dove trovavo l’appiglio, chiosare, annotare, dissentire, divagare, controbattere,… Era diventato un ludo – spasmodico smanioso serrato, quasi quasi dissoluto: andavo alla ricerca di vigorose spallate da cui far partire invereconde stoccate. – Una faida una picca che mi dava l’illusione di rifarmi, in parte, degli smacchi e delle delusioni di una intera vita”.
Così Carlo Sorrentino descrive la sua “scoperta” del comparto aforistico con i suoi due contrassegni essenziali di asciuttezza e paradosso. La lettura divorante dei grandi autori dell’aforistica (‘i Ceronetti’ ‘i Cioran’ ‘i Canetti’) diventa non solo un esercizio di rivalsa contro i luoghi comuni, ma anche una fonte di ispirazione che porta Sorrentino a stendere, “in una rinfrancante attività sovversiva” durata quasi due lustri, una “immane congerie di congetture e sovrapensieri (spettinati scapigliati arruffati)”, disposti “in quaderni squinternati e fogli svolazzanti” che poi finiscono relegati per anni in cantina. “Ma quell’orditura, laggiù in gattabuia, non se ne stava cheta; poi non mi dette pace: come il gatto nero di Poe gnaulava di continuo, pregava di ‘venire alla luce’. Una lagna assillante uno strazio durato per anni; alla fine ho dovuto cedere, ritrattare: rimettere il tutto (un ‘barile-ardente’ di imbastiture) sulla mia scrivania. – Ho dovuto mettermi in gioco (ahimè) come scrittore”.
Dal lavoro di “riscrittura” e “politura” dei tanti quaderni e fogli svolazzanti nasce il libro ‘Il pappo e il dindi; e il fottere’ che viene pubblicato nell’ottobre 2012 presso Edizioni Moderna. A proposito del titolo l’autore scrive: “insieme al Pappo e al Dindi (di dantesca memoria, Purg. XI, 105)… voci onomatopeiche legate alle pulsioni primigenie (vogliono dire ‘Cibo’ e ‘Denaro’) (…) irrompe il ruvido Fottere (qui precipuamente nel senso di ingannare, fregare, raggirare,… e quindi prevaricare, sottomettere, abusare) affinché si realizzi la ‘santa triaca’: la panacea che allevia ogni malessere”.
Dal punto di vista formale ‘Il pappo e il dindi; e il fottere’ (che in copertina presenta una rivisitazione dell’uomo leonardesco su disegno dello stesso Carlo Sorrentino) si presenta come un classico dizionario di aforismi disposti in ordine alfabetico sul modello del celebre Dizionario del diavolo dell’americano Ambrose Bierce. Ma se guardiamo più da vicino il flusso di questa scrittura aforistica le innovazioni introdotte da Carlo Sorrentino sono tali da rendere il libro qualcosa di straordinariamente sperimentale nell’odierno panorama aforistico. L’autore applica un processo da lui definito di “cantillazione” che lo porta a modulare le frasi degli aforismi sulle note delle assonanze, delle consonanze, delle rime, dei polittoti, il tutto, di norma, coll’accattivante connivenza di calembour, bisticci, scioglilingua. La scrittura aforistica di Sorrentino finisce così per avere una enfasi e una esuberanza “teatrale” (con l’uso anche di una grafia e una punteggiatura assai variegata), ma richiama anche – come sottolinea Gino Ruozzi nella quarta di copertina – il modello epigrammatico. Altre importanti innovazioni riguardano l’uso davvero massiccio delle note che non sono solo esplicative, ma spesso sviluppano in modo autonomo una traccia presente nell’aforisma, diventando una sorta di aforisma dentro l’aforisma, nonché l’uso frequente, talora esasperato di parole desuete ed arcaiche, recuperate, laddove lo ‘spartito’, sempre attento all’acustica e alla cadenza del ritmo, ne richiede presenza e prestanza. Vien da chiedersi se quelli di Sorrentino siano davvero aforismi o al contrario giochi ludici, congetture claunesche, divertimenti sovversivi ed eccentrici che mirano a scioccare il lettore. Sorrentino definisce i suoi pensieri (o meglio “sovrapensieri”), come spettinati (e qui c’è il richiamo a Lec), ma anche scapigliati, arruffati, squinternati. C’è come una volontà di distaccarsi dall’aforisma come modello di riflessione e di analisi lucida del mondo per approdare all’aforisma come gioco, eversione, spallata. Sorrentino ama giocare e con le parole (specie quelle arcaiche) e con i testi e gli autori prediletti e li fa incontrare in una specie di giostra (forse quella raffigurata nella copertina?) che sconvolge e scombussola ogni senso. Perennemente in bilico tra divertimento e passione, i frammenti di Sorrentino cercano di andare oltre i comuni repertori di aforismi che, attraverso stanche catene di deja vu e deja lu, si rubano a vicenda le stesse spiritose bugie. E alcuni di essi, nella loro eccentricità ludica, sembrano richiamare il “E lasciatemi divertire” di Palazzeschi, anche se poi quelli di Sorrentino non si abbandonano mai al non-sense.
Presento qui di seguito una breve selezione di aforismi tratti dalla prima parte del ‘Il pappo e il dindi; e il fottere’, che si intitola ‘Celata refero’ (per motivi tecnici, tra gli oltre 2500 lemmi che compongono il dizionario, ho potuto selezionare solo quelli non provvisti di note).
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Carlo Sorrentino, ‘Il pappo e il dindi; e il fottere’
Nemici si nasce. Amici, si diventa (a furia di litigare).
L’Anima – sarà pure di casta nobile e divina (v. Plotino) ma ha un gusto infame in fatto di estetica: per sito si è scelto una latrina.
Antropofanie. Sono apparso alla Madonna… dio mio, che onta! la signora non era punto pronta – Lì nel boudoir con la ‘Grazia’ fuori posto: bigodinata, impomatata, discinta, inconta!
Quegli armonici Assemblaggi (quegli esca–amotage)… Dora e Tina, due amichette: ‘abbocco’ solamente quando vanno a braccetto, strette strette. (L’una, belloccia ma con poco sedere: amo senz’esca. L’altra, bruttina ma con un bel deretano: esca senz’amo).
“Conceptio per aurem” – audace intuizione di Sant’Efrem: la Vergine fecondata (trombata) per via auricolare. (Le tube di Eustachio preferite a quelle di Falloppio… [Pure l’Altissimo ha le sue prurigini, i suoi ‘diversivi’, le sue bassezze]).
‘Corsi e Ricorsi storici’… La Storia si ripete (panta rei – tera), concede bis, tris,… specie se il pubblico fischia.
Degrado. Tutto degenera – per antropia.
Il Falso, al contrario del Vero, ha radice meno salda e ramificata (Aurobindo); ma, a fronte di ciò, ha fronda più fronzuta e sfrontata.
La Felicità? – Tutto aroma! (Il gusto poi lascia sempre – a desiderare).
Giochi. – A lei piace quello maschio, duro, falloso… A lui il compito di dirigere il confronto: di fischiare (di interrompere) il meno possibile, e di portarlo – ‘di rigore’ – ai supplementari.
I ‘Grandi’: un tempo miravano al monumento in piazza (all’erezione ‘statuaria’ della propria effigie). Oggi, la loro vis democratica li porta in strada, tra la gente, on the road: ad un contatto onesto goliardico gioviale. – Oggi anelano a una colossale sagoma di cartapesta sui carri di Carnevale.
De Iustitia. Qui iustus est, iustificetur adhuc (chi è giusto sarà sempre giustificato) – è Vugata, son storielle. La Storia, parodiando, ha poi così corretto: Qui iustus est, ‘iustitiatur’ adhuc (chi è giusto sarà sempre giustiziato).
Studiare ‘Legge’ – diceva quella leggenda del foro (quel mitico leguleio) –, vuole dire ricercare la maniera per eluderla, lecitamente; per violarla, codice alla mano.
Lifting (quelle ritoccatine…). Cominciò dal naso… Poi, finito con l’apparente (l’appariscente), passò alla privacy: ai ricordi, al ‘credo’, ai sogni, al segno zodiacale; ed in ultimo, in punta di bisturi, a quelle linee (indole fato ed eventi), lì, sul palmo delle mani.
La Melancolia: paludamento (posa) in gioventù; camicia di Nesso (malattia) nella maturità; divisa (seconda pelle) nell’età avanzata.
Metalloterapia. Cavarsi: la pena dall’anima, la lama dal cuore, il chiodo dalla testa, la trave dall’occhio, la spina dal fianco, il peso dallo stomaco, il sassolino dalla scarpa, la miseria dalla sacca, d’intorno la cacca… con una semplice ‘suppostina’ (in piombo ramato, camiciato) che non faccia cilecca, che in un lampo ci trapassi la zucca.
L’Odio – appunta, sottolinea, rimarca, mette tra virgolette, in risalto, in maiuscolo, in grassetto; poi commenta, postilla, chiosa. – Il tutto, ovviamente, con annotevole livore (esplicativo) a piè di pagina. (Non così precisino l’Amore. – Il suo diario: qui e là sequele [sospiranti] di puntini sospensivi).
Onorificenze. Nella battaglia della Vita decorati tutti quanti: con una enorme ‘Croce di Ferro’… (da portare a spalla).
Patiboli. Il ‘Letto’: niente è più letale. Nessuno ne ha visti e sentiti crepare quanto lui. È lui, il letto, il protagonista (il logo agonico per eccellenza), il terrificante macabro simbolo del ‘Monumento ai Deceduti’.
Perdere: tempo, l’onore, la faccia, la traccia, la stima, la scrima, la fede, la fiducia, la speranza; la sinderesi, la correggia, la trebisonda, il cadrechino; il conto, i colpi, la calma, il controllo, la pazienza, le staffe; i sensi, il sonno, il senno, la salute, la testa; il filo del discorso, i lumi della ragione, la luce degli occhi; sì, la luce degli occhi… ma mai, mai, mon dieu, accada che si perdan dei baiocchi!
The perpetual struggle for Room and Food. L’‘incremento demografico e la fame’… – e quella profilassi, frettolosamente barbaramente accantonata: Cannibalismo!
Quei concettosi Rovelli… – Li tira fuori, e parla parla parla parla (li pialla li livella li scalpella li modella li cesella li orpella li costella li ingioiella… quindi, li puntella li incasella li suggella li sigilla… di poscia, li sballa li smantella li scrolla… dunque, li rastrella li affastella li ammassella li accavalla… e poi li flagella, li martella li randella li sbrandella li sfracella li macella li maciulla li sbudella li smidolla… ed infine, li spella li frolla li frulla; in breve, li cancella li annulla… indi li rincolla, e di nuovo – li ripialla li livella li scalpella,…) per non starci su a pensare, per far riposare il cervello.
‘Sicuramente’. “Mi ami?” (lei, sfilandosi la jupon). “Sicuramente!” (lui, infilandosi un condom).
Teologie. Gli Iddii fatti passare attraverso la cruna dell’ego.
Timidezze. Chiederle scusa più non lo imbarazza, or che fra loro ha posto un ‘tramezzo’: un lastrone di marmo, e sei piedi di terra.
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Carlo Sorrentino, Nota biografica
Compulsando il pappo… – quei passi sovversivi e scoppiettanti nonché sacrileghi – vien da pensare che il suo autore non poteva che nascere 3 aprile del 1947 (ovvero, il giovedì santo dell’‘anno delle grandi svolte’ – nel segno principe del fuoco) giusto alle falde di un vulcano; tanto pittoresco quanto terribile: lo Sterminator Vesevo appunto (Torre del Greco, vicino Napoli); e che la sua vita non poteva che svolgersi nel rispetto di quell’impronta e tutt’attorno a quella falsa riga…
Ed a proposito del suo vissuto, il Sorrentino, nella sua presentazione e in altri contesti, tra l’altro riporta: “Sono stato un capitano di macchine di lungo corso: quarant’anni di salsa e spumeggiante (sic!) vita oceanica; oggi ‘a secco’ (in pensione)… La scoperta della ‘scrittura breve sottile e asciutta’ è avvenuta tardi (verso i 30 anni, poco più) e in punta di piedi: Il silenzio del corpo del Ceronetti (1979) fu la chiave di svolta (fino ad allora erano stati il disegno e la pittiscultura ad abbozzare tutte le amenità e gli ammutinamenti della mia giovinezza)… ‘Il pappo e il dindi; e il fottere’ racchiude tutta la mia produzione letteraria di stampo aforistico. – Esso si racconta in tre volumi (6000 e più disappunti e disincanti); il primo, quello in questione, si dispone in forma di calepino:uno scapigliato vagabolare tra i lemmi; i lemmi presi a prestito, pretesti per innescare mine stravaganti ad alto potenziale implosivo… il secondo (dal sottotitolo Sanguinaccio; in libreria tra qualche anno) procede invece per argomenti (l’Uomo, il Sesso, la Morte, l’Iddio, la Storia): una sorta di tractatus de maleficiis… mentre il terzo, uno zibaldone dal sottotitolo Quore (in libreria chissà quando), si snoda per divertissement e divagazioni, il più delle volte disegnati o addirittura fumettati…
La triaca del pappo è un’opera cui ho messo mano, come dicevo, una trentina di anni fa; ci ho lavorato, tra delizie deliri e dolori, per ben due lustri… Da una decina d’anni sono preso da un nuovo fastoso estasiante strazio: un’arrampicata ‘rivelatrice’ (La Montagna disincantata) nella pittura rinascimentale (alla scoperta del vero Pier della Francesca del vero Leonardo e del vero Giorgione). Se ne esco vivo, poi ve ne racconto delle belle”.