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Frasi, aforismi e greguerías di Ramón Gómez de la Serna

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Ramón Gómez de la Serna (nato a Madrid il 3 luglio 1888 e morto a Buenos Aires il 13 gennaio 1963) è considerato il più importante scrittore di aforismi in lingua spagnola.

In realtà gli aforismi di Gómez de la Serna si chiamano “Greguerias”.

Le greguerías sono frasi molto brevi, simili ad aforismi, che hanno per ingredienti la metafora e un umorismo eccentrico e grottesco, molto paradossale. Le greguerias sono frasi brevissime che presentano analogie fra due cose e ci insegnano a guardare il mondo con gli occhi nuovi della fantasia. Le greguerias sono piroette e volteggi mentali, matrimoni tra creature di sangue diverso e non devono somigliare a nulla che sia stato detto. Ramón distingueva gli aforismi dalla greguería, utilizzando la seguente formula: umorismo + metafora = greguería.

Come si scrivono le greguerías? Ce lo spiega bene Ramón Gómez de la Serna: “Il mio raccolto di greguería non è costante. Sgorgano solo a volte, raramente, perché per cogliere una greguería bisogna trovarsi in uno stato di grazia profano e difficile. Non si muovono in branchi. Non possono mai essere ricercate. Bisogna aspettarle passeggiando o seduti. Acchiappamosche della greguería, mi tocca trascorrere molte ore con le braccia tese a far gesti come quelli dei segnalatori su una pista d’atterraggio“.

Per la sua capacità di stimolare associazioni concettuali nuove tra le parole e per la sua capacità di creare nuove immagini, la gregueria è molto studiata nelle scuole spagnole, in particolare nelle scuole primarie.

Di Ramón Gómez de la Serna si diceva che “tutto quello a cui poteva pensare lo scriveva, tutto quello che scriveva lo pubblicava e tutto quello che pubblicava lo regalava, perché i suoi libri difficilmente si vendevano“.

Presento una raccolta di frasi, aforismi e greguerías di Ramón Gómez de la Serna. tra i temi correlati Gli aforismi più belli di Ambrose Bierce.

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Frasi, aforismi e greguerías di Ramón Gómez de la Serna

Il mare vede soltanto viaggiare: lui non ha mai viaggiato.

Ci sono cieli sporchi in cui sembra siano stati sciacquati i pennelli di tutti gli acquarellisti del mondo.

Il passato avrebbe voluto essere il futuro, ma è venuto al mondo troppo presto.

L’arcobaleno è il nastrino che si mette la natura dopo essersi lavata la testa.

Tuono: un baule rotola giù dalle scale del cielo.

Il fulmine è un cavaturaccioli incollerito.

I libri sono uccelli con centinaia di ali per volare.

Russare è sorbire rumorosamente minestra di sogni.

Chitarra: donna con quattro fianchi.

Che tragedia: invecchiavano le sue mani e non invecchiavano i suoi anelli.

L’orgoglio del rospo è atroce, perchè dedica il suo concerto alle stelle.

L’ascensore bussa davanti a tutte le porte davanti a cui passa, ma solo una gli dà retta.

Il gatto firma ogni suo pensiero con la coda.

Il regalo più gradito al mondo non è un grosso brillante, ma una lima nella cella.

Annoiarsi è baciare la morte.

Il neonato saluta se stesso dando la mano al proprio piede.

Gli zeri sono le uova da cui sono nate le altre cifre.

La sponda dall’altra parte del fiume sarà sempre triste di non essere su questa sponda. Quel dolore è il più insormontabile del mondo e non si può guarire nemmeno con un ponte.

Catalogo: ricordo di ciò che si scorderà.

Nelle macchine da scrivere sorride la dentiera dell’alfabeto.

Le prime gocce del temporale scendono a vedere se c’è terra su cui atterrare.

Spesso la luna si prova delle nuvole come se fossero dei cappelli.

I baci sono come i francobolli: ce n’è che s’attaccano e altri che non prendono.

Le costole servono per ubicare i dolori: “Mi fa male tra questa e questa”

Quando il treno parte mentre siamo affacciati al finestrino, rubiamo addii che non sono per noi.

Le rondini sfiorano appena lo stagno come se prendessero l’acqua sufficiente per farsi il segno della croce.

L’acqua si scioglie i capelli nelle cascate.

I laghi sono le pozzanghere rimaste dopo il Diluvio.

La donna si dipinge le unghie per avere dieci cuori a portata di mano.

I geni sono quelli che dicono molto prima quello che verrà detto molto tempo dopo.

La chiave ci prende in giro fingendo di non appartenere alla serratura cui appartiene.

Il pennello di Leonardo ha fatto sorridere Monna Lisa per l’eternità.

Fra le rotaie del treno crescono fiori suicidi.

Gabbiani: àncore delle navi che percorrono i cieli.

La q è la p che torna da una passeggiata.

La O è la I dopo aver mangiato.

La pulce fa del cane un chitarrista.

Un foglio di carta nel vento è come un uccello ferito a morte.

Un secondo è un secolo in miniatura.

Venezia è il posto dove navigano i violini.

Borseggiatore: signore con la mano sul petto… di un altro.

Nel dizionario tutte le parole giocano a nascondino con te.

La forchetta è il pettine delle tagliatelle.

Aprire un ombrello è come sparare contro la pioggia.

Le alghe che si trovano sulle spiagge sono i capelli che le sirene si strappano pettinandosi.

Russare è sorbire rumorosamente minestra di sogni.

Il pesce più difficile da catturare è il sapone nell’acqua.

Il vento è maldestro: non sa chiudere una porta.

Il sogno è un deposito d’oggetti smarriti.

Il suggeritore è l’eco prima della parola.

Il tram approfitta delle curve per piangere.

Nell’elenco del telefono siamo tutti esseri microscopici.

Quando un medico accosta l’orecchio al petto d’un malato, ha tutta l’aria di voler origliare dietro una porta chiusa.

L’anguria è un salvadanaio di tramonti.

L’alfabeto è un nido da cui escono stormi e stormi di parole.

L’acqua non ha memoria: per questo è così limpida.

Di fronte alle donne che portano un braccialetto alla caviglia, è intrigante sapere come sia potuto arrivare fin lì dal polso.

Il foglietto del calendario ci consola perché il suo 7 o il suo 22 ci sono noti da moltissimo tempo. Che spavento se invece apparisse il giorno numero 30.117 della nostra vita!

Giorno senza quotidiani: l’assassino esibizionista rimanda il delitto a dopodomani.

Ciò che dà più fastidio a un coltello è tagliare un limone.

Lo spaventapasseri sembra una spia fucilata.

Ci sono coppie di sposi che si voltano le spalle mentre dormono per non rubarsi a vicenda i sogni ideali.

Il cipresso è un pozzo che si è fatto albero.

Sul primo tram mattutino c’è ancora il sonno del giorno precedente.

Il mappamondo ci serve il mondo con un paio di uova fritte.

Ci sono certe pastiglie di farmacia che ci curano, se non altro, dalla tristezza di aver perso tanti bottoni della biancheria intima.

Ci sono giorni luridi come banconote molto usate.

Gli applausi sono come le costolette: molto osso e poco da mangiare.

Mercoledì: giorno lungo per definizione.

All’ombelico manca un bottone.

Fine estate: deposito di moscerini morti sulle lampade dei treni.

I gelati sono così allegri perché sono come parrucche da clown.

l latte è acqua vestita da sposa.

L’uvetta è un’uva ottuagenaria.

Nell’aceto c’è tutto il malumore del vino.

Il cucchiaino risveglia il caffè addormentato che ci eravamo dimenticati di prendere.

La barba viene dagli antenati. È sempre quella di un bisnonno.

L’orecchio umano interroga sempre, perché, se si osserva bene, ha una forma interrogativa.

Quando si sfonda una tasca comincia la peritonite del vestito.

Il leone darebbe metà della sua vita per un pettine.

La malinconia dei fiumi d’America è che sono così grandi che non possono avere ponti.

Gli orgogliosi dicono “colonna vertebrale” e i modesti “spina dorsale”.

Il ferro da stiro sembra servire il caffè alle camicie.

Bollicine: momento in cui l’acqua dona la sua anima a Dio.

Grazie alle gocce di rugiada il fiore ha occhi per vedere la bellezza del cielo.

I cani ci mostrano la lingua come se ci avessero presi per il dottore.

La testa è l’acquario delle idee.

Il water, dopo essere stato svuotato, protesta per l’accaduto.

Il Pensatore di Rodin è un giocatore di scacchi a cui è stato portato via il tavolo.

Il vento non sa sfogliare a modo le pagine d’un libro: o ne muove una sola o tutte insieme, con la furia d’un lettore impazzito.

Il brutto del vento è che non possiede un pettine.

La luna depone un uovo nei telescopi che la guardano a lungo.

Un cinese ha inventato il gatto.

Se uno conosce troppo sé stesso, smette di salutarsi.

Il leone ha il pennello da barba sulla punta della coda.

Se vendessero un orologio con un campanello speciale che ci annunciasse la nostra penultima ora, non lo comprerebbe nessuno.

Gli haiku sono telegrammi poetici.

I chiodi non desiderano altro che cascare a terra prima che il martello li raggiunga coi suoi colpi, perché sanno che solo così si salveranno.

Il cieco muove il suo bastone bianco come a misurare la temperatura dell’indifferenza umana.

Il Colosseo in rovina è come una tazza sbreccata della colazione dei secoli.

Il seggiolino del pianoforte è il cavatappi del concerto.

L’elettricità fa parte del sistema nervoso di Dio.

La bandiera sale su per l’asta come se fosse l’acrobata più agile del mondo.

La camicia stirata ci attende con le braccia in croce.

La cosa più importante della vita è non esser morto.

La lucertola è la spilla dei muretti.

L’olivo ha sempre l’aria di chi ha dormito male.

Le note del pentagramma pare che vadano al funerale.

La matita scrive ombre di parole.

La nostra vera e definitiva proprietà sono le ossa.

La medicina si offre di curare tra cent’anni quelli che stanno morendo adesso.

La mezzaluna mette la notte tra parentesi.

La pioggia è triste perché ci ricorda quand’eravamo pesci.

La pipa non brucia: quindi se l’umanità fabbricasse le case con legno da pipa i pompieri sarebbero inutili.

Quando la luna passa da un lato all’altro della strada, ci viene voglia di darle il braccio, aiutandola come un cieco.

La polvere è piena di vecchi e dimenticati starnuti.

Non bisogna lasciare le forbici aperte perché potrebbero tagliare il filo del destino.

La vestaglia da bagno rende frati le donne, ma depongono subito l’abito.

Le farfalle le fanno gli angeli nelle ore d’ufficio.

Le galline si sistemano sulle stecche del pollaio come per assistere a una rappresentazione del “Don Giovanni” con il gallo nel ruolo di protagonista.

Oh, se ci fosse un’ora di più nella giornata, un’ora eccezionale, un’ora a buon mercato: la venticinquesima ora! Non abbiamo bisogno che di quest’ora durante la quale capiremmo tutto…

La tarma che ammazziamo ci lascia una polverina di seta rubata.

Le ghiande nascono col portauovo.

Le parentesi cadono dalle ciglia di chi scrive.

Le viti sono chiodi pettinati con la riga in mezzo.

Il Creatore ha le chiavi di tutti gli ombelichi.

Sono offensive quelle medicine che nel foglietti ci chiamano “adulti”.

L’importante non è avere o non avere dei microbi, ma che siano ammaestrati.

Mentre il rasoio del parrucchiere lavora la nuca, il cliente osserva un minuto di silenzio.

Nella risacca, l’onda, pentita di aver lasciato a riva il suo regalo di conchiglie, cerca di riprendersele.

Le stelle telegrafano tremori.

Colui che balbetta parla come una machcina da scrivere.

Non abbiamo il giusto rispetto della nostra ombra, non pensiamo abbastanza a lei. Per rimediare a quest’ingiustizia, io la saluto, le parlo, e spesso esco appositamente per portarla a passeggio lungo il muro su cui spicca meglio.

Non vi dice nulla il fatto che tanti grandi uomini siano morti? A me dice più di quanto essi dissero in vita.

Quando la donna chiede macedonia per due, perfeziona il peccato originale.

Le strade sono più larghe di notte che di giorno.

Quando raccogliamo il guanto caduto, stringiamo la mano alla morte.

Il pesce si vede sempre di profilo.

Meteorologia: mentirologia.

Quel che dà più fastidio alle statue di marmo è che hanno sempre i piedi freddi.

Quel che dà più piacere alle anziane è poter dire: “torna di moda”.

Quella donna mi ha guardato come si guarda un taxi libero.

Scale di tutto il mondo, unitevi! E ci potrete condurre in cielo.

Se le lenzuola sono gelate, si sogna in slitta.

E se le formiche fossero degli extraterrestri che si sono stabiliti nella terra?

Se si guardano di giorno gli occhi del gatto, sembra che si sia dimenticato di spegnere la luce della camera da letto.

Se si potesse sfruttare la noia disporremmo della più potente fonte di energia.

Sembra che la luna rimbianchi le pareti per scriverci sopra qualcosa.

Quando fu inventato il cinema, le nuvole fino a quel momenton ferme nelle fotografie, cominciarono a muoversi.

Tutti vorrebbero avere due fegati per lamentarsi di entrambi.

Il tango è pieno di addii.

L’epitaffio è l’ultimo biglietto da visita dell’uomo.