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Han Kang (nata a Gwangju il 27 novembre 1970) è una scrittrice sudcoreana.
Nel 2016 La vegetariana, storia di una donna che decide di smettere di mangiare carne in una società che non approva tale scelta, viene premiato con il prestigioso International Booker Prize, diventando così il primo libro in lingua coreana a vincere tale premio.
Nel 2024 Han Kang viene insignita del Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana“, diventando la prima rappresentante del suo Paese a vincere un Nobel in questa categoria.
Presento una raccolta delle frasi più belle di Han Kang. Tra i temi correlati Le frasi più belle di Annie Ernaux e Le Frasi più belle di Elena Ferrante.
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Le frasi più belle di Han Kang
Atti umani (2014)
Combatto, da solo, ogni giorno. Combatto con l’inferno a cui sono sopravvissuto. Combatto con la mia stessa natura umana. Combatto con l’idea che la morte sia l’unico modo di sottrarmi a essa.
È possibile testimoniare…Che ho deliberatamente distrutto ogni calore umano, ogni affetto troppo intenso per poterlo sopportare, e sono scappata? Verso un posto più gelido, un posto più sicuro. Solamente per sopravvivere.
Gli alberi, ti hanno spiegato, sopravvivono con un solo respiro al giorno. Quando sorge il sole, prendono una lunga, ricca boccata di raggi, e quando tramonta espirano un enorme sbuffo di anidride carbonica.
E’ vero che gli uomini sono fondamentalmente crudeli? L’esperienza della crudeltà è l’unica cosa che ci accomuna come specie? La dignità a cui ci aggrappiamo non è altro che un’autoillusione, un modo per nasconderci questa unica verità – che ciascuno di noi può essere ridotto a un insetto, a una bestia rapace, a un ammasso di carne? Può farsi degradare, distruggere, massacrare. È questo il destino ultimo del genere umano.
Mi costringo a non dimenticare mai che ogni singola persona che incontro appartiene alla razza umana.
Quei brevissimi istanti, in cui sembrò che tutti fossimo riusciti a compiere il miracolo di abbandonare il guscio dei nostri io, sfiorandoci l’un l’altro, pelle contro pelle, mi parvero quasi ricucire i muscoli di quel cuore universale, rattoppare gli squarci da cui era scorso il sangue, facendolo battere di nuovo.
Quando il corpo muore, che cosa succede all’ anima? Per quanto tempo indugia accanto alla sua vecchia casa? Quando una persona viva ne guarda una morta, accanto al corpo non potrebbe esserci anche l’anima del defunto, che scruta la sua faccia dall’alto?
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La vegetariana (2007)
Se solo i nostri occhi non fossero visibili agli altri. Se solo si potessero nascondere i propri occhi al mondo.
Il tempo era un’onda, quasi crudele nella sua inesorabilità mentre trascinava la sua vita con sé.
Di colpo fu assalita dalla sensazione di non aver mai davvero vissuto in questo mondo. Era vero: non aveva mai vissuto. Anche da bambina, per quanto indietro si spingesse la sua memoria, non aveva fatto altro che subire.
Per la prima volta si rese pienamente conto di quanta parte della sua vita avesse passato con suo marito. Era stato un periodo completamente privo di felicità e spontaneità. Un tempo che era riuscita a superare solo dando fondo alle sue riserve di perseveranza e sollecitudine. E tutto questo se l’era inflitto da sola.
Il dolore era come un buco che la inghiottiva, una fonte di paura intensa eppure, al tempo stesso, una strana, silenziosa pace.
Vorrei tanto gridare, una volta sola, almeno una. Vorrei lanciarmi da quella finestra nera come la pece. Forse questo scaccerebbe finalmente questa massa dal mio corpo. Nessuno può aiutarmi. Nessuno può salvarmi. Nessuno può farmi respirare.
Mai prima di allora i suoi occhi si erano posati su un corpo del genere, un corpo che diceva tanto pur essendo soltanto se stesso.
osso fidarmi solo del mio seno, adesso. Mi piace il mio seno, non può uccidere niente. La mano, il piede, la lingua, lo sguardo: tutte armi da cui nulla è al sicuro. Ma non il mio seno. Con i miei seni rotondi, sono tranquilla.
Quello che mi fa male è il petto. Qualcosa si è bloccato all’altezza del plesso solare. Non so che cosa può essere. Adesso è perennemente conficcato lì. Lo sento sempre, anche se ho smesso di portare il reggiseno. E per quanto faccia respiri profondi, non vuole andarsene.
Un grumo formato da urla e gemiti aggrovigliati, intrecciati fra loro uno strato dopo l’altro. È per la carne. Ho mangiato troppa carne.
Le vite degli animali che ho divorato si sono tutte piantate lì. Il sangue e la carne, tutti quei corpi macellati sono sparpagliati in ogni angolo del mio organismo, e anche se i resti fisici sono stati espulsi, quelle vite sono ancora cocciutamente abbarbicate alle mie viscere.
La sua voce era priva di peso, come una piuma. Non era né triste né assente, come ci si sarebbe potuti aspettare da una malata. Ma non era nemmeno allegra o spensierata. Era il tono calmo di una persona che non appartiene a nessun luogo, di qualcuno che è entrato in una zona di frontiera tra diversi stati dell’essere.
Quello che aveva davanti agli occhi era il corpo di una bella ragazza, convenzionalmente un oggetto di desiderio, eppure era un corpo dal quale era stato eliminato ogni desiderio. E non il rozzo, crasso desiderio carnale, non nel suo caso: ciò a cui la cognata aveva rinunciato, o così sembrava, era piuttosto la vita stessa che il suo corpo rappresentava.
Yeong-hye si era voltata, fissandola con sguardo inespressivo, come se non fosse sua sorella ma una perfetta estranea. Dopo un po’ era arrivata la domanda.
Perché, è così terribile morire?
La vita è così strana. Le persone, anche dopo che gli sono successe certe cose, non importa quanto terribili, continuano comunque a mangiare e a bere, ad andare al bagno e a lavarsi- in altre parole- a vivere. E a volte ridono perfino di gusto.
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L’ora di greco (2011)
Se la neve è silenzio che scende dal cielo, la pioggia forse è un interminabile catena di frasi.
I frammenti di ricordi si muovono generando immagini. Senza alcun contesto. Si sparpagliano e poi in un attimo si raccolgono con un movimento secco. Come migliaia di farfalle che smettono all’unisono di battere le ali. Come algide danzatrici che nascondono il viso.
I frammenti di ricordi si muovono generando immagini. Senza alcun contesto. Si sparpagliano e poi in un attimo si raccolgono con un movimento secco. Come migliaia di farfalle che smettono all’unisono di battere le ali. Come algide danzatrici che nascondono il viso.
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Non dico addio (2021)
La morte mi aveva schivata così. Come un asteroide in rotta di collisione con la Terra che alla fine, per un lieve scarto di traiettoria, la sfiora appena. A una velocità furiosa, senza esitazione né rimorsi.
I sogni sono terrificanti – le rispondo abbassando la voce. Anzi no, umilianti. Perché ti svelano cose su te stessa delle quali non avevi alcuna consapevolezza.
Ricordo una sensazione di amore struggente che si insinuava sottopelle. Che penetrava fino al midollo delle mie ossa e mi stringeva il cuore… Fu allora che capii. Che dolore terribile sia l’amore.
L’estate precedente, quando la mia vita privata aveva cominciato a disfarsi come una zolletta di zucchero in un bicchiere d’acqua, in un periodo in cui c’erano solo i segni premonitori dei veri addii che sarebbero seguiti, avevo scritto un racconto intitolato Addio.
Le persone ammazzate da un proiettile, uccise a manganellate, trafitte da una lama.
Quanto avranno sofferto, se tagliarsi due dita fa così male?
Non sapevo cosa avesse fatto dileguare gli incubi. Se li avessi affrontati e vinti, o mi avessero travolta e schiacciata passando oltre. Sapevo solamente che, a un certo punto, dietro le palpebre rimaneva solo neve che scendeva. Che si disperdeva, si accumulava e gelava.
Ho inspirato e sfregato un secondo fiammifero sulla scatola. Non si è acceso. Ho provato con un altro, ma si è spezzato. Ho trovato il punto in cui si era rotto, l’ho stretto tra pollice e indice e ne ho strofinato di nuovo la capocchia sulla superficie ruvida. La fiamma si è levata. Come un cuore. Come un bocciolo che palpita. Come il battito d’ali dell’uccellino più minuscolo del mondo.