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Pier Vittorio Tondelli (nato a Correggio il 14 settembre 1955 e morto a Correggio il 16 dicembre 1991) è stato uno degli esponenti più innovativi della letteratura italiana degli anni ’80, scomparso prematuramente all’età di 36 anni, affetto da AIDS.
Presento una raccolta delle frasi più belle di Pier Vittorio Tondelli. Le frasi sono tratte dai romanzi Pao Pao (1982), Rimini (1985), Camere separate (1989) e dalla raccolta di racconti Altri libertini (1980). Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Pier Paolo Pasolini e Le frasi più belle di Italo Calvino.
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Le frasi più belle di Pier Vittorio Tondelli
Si tenta, si soffre, si lotta ma le persone non sono di nessuno, nel bene o nel male.
Un amore terminato è peggio di un impero devastato, tutto un tramonto verso i secoli bui.
Basta una sola menzogna perché il dubbio travolga tutta una vita.
Delirare. E augurarti che il to delirio scuota quello di altra gente e trovi delle risonanze per diventare un progetto.
L’unico modo per non soffrire dell’amore è lasciare che le storie ti sfiorino, ti accarezzino, ti penetrino quel minimo che è possibile. Non puoi voler di più. È impossibile voler di più. Devi lasciarti solamente sfiorare dal tuo amore, se fai tanto di alimentarlo bruci, come stai bruciando ora.
Forse si amano proprio da quel tremendo momento in cui hanno sentito l’impossibilità del loro amore. Si amano, ora, perché si sono già lasciati.
Siamo due deboli attaccati disperatamente l’uno all’altro. Con una forza sovrumana. Se c’è un mistero nel nostro amore, è tutto qui.
L’amore è come un dono degli dei che si muove sulle ali del vento sempre inafferrabile e sempre inseguito; l’amore non è mai là dove lo cerchiamo e vola via da dove lo crediamo. Proprio per questo e dell’amore e degli dei dobbiamo imparare a fare senza.
Le occasioni della vita sono infinite e le loro armonie si schiudono ogni tanto a dar sollievo a questo nostro pauroso vagare per sentieri che non conosciamo.
Faremo all’amore sulla veranda quel pomeriggio rotolandoci per terra fra le cicche e i bicchieri e i dischi e gli spartiti che volano leggeri e frusciano sotto i nostri corpi come foglie tenere della primavera, un tappeto di musica per poter sognare ancora un po’.
Ma sempre finisce tutto così, io che sto malissimo perché sono innamorato e l’altro che sta ancor peggio perché non in grado di reggere tutto il peso del mio affetto.
Cercatevi il vostro odore e poi saran fortune e buoni fulmini sulla strada.
Non mi piacciono gli addii, ho imparato a scantonarli; non esiste nulla di definitivo figuriamoci gli addii e i fazzoletti e le strizzate di mano.
Si cerca sempre se stessi, in fondo. O qualcosa di noi che non ci è chiaro o non abbiamo capito: le ragioni di una sofferenza, o di quella malattia sotterranea che ti prende il respiro ed è nera e umida come la malinconia.
Io mi sento che tutti mi leggono dentro come fossi di vetro che non ho più nemmeno un angolo in cui tenerci il cuore e il mio territorio di libertà, no, mi fanno male gli occhi della gente, è un momento così tante volte è passato, ora sono qui tutto terremotato di dentro e sento questo sisma che mi traballa le budella.
Odio la gente che mi racconta i fatti suoi. Sono le stesse cose da migliaia e migliaia di anni.
Perché vivi, se non sei felice?
Mi sento quindi come questa bacchetta di pianta appena recisa dal suo tronco, ancora gocciolante di umori e scintillante di quelle rugiade bevute nel ceppo, ma non so, non so se il mio destino sarà rifiorire e trapiantarmi come sempre su altre storie e altri incroci e di là di nuovo ripartire e splendere e mischiarmi e intrecciarmi, oppure seccarmi e morire e dio mio finire e non conoscere più quelle riproduzioni e quei riciclaggi di me che mi facevano star bene e dirmi son contento.
La guerra, la vera guerra è questa: non l’odio che getta le persone l’una contro l’altra, ma soltanto la distanza che separa le persone che si amano.
Il cattolicesimo ci sta stretto da un certo punto di vista. Perché è fatto di oratori, di stanze chiuse, di paura del mondo. Noi invece abbiamo bisogno di aria e di girare. Amiamo quello che può darci il mondo. Non credo sia in sé un fatto negativo. Quello che fa di noi degli apolidi è l’inquietudine di amare Dio.
La via Emilia è la dorsale di questo mio agosto inquieto e torpido, selvatico e morbido.
Era la prima volta che pronunciava il mio nome. Fu un buon colpo da parte sua. Non ci si abitua mai abbastanza a essere chiamati dagli estranei con il proprio nome di battesimo. E’ sempre un battito un po’ strano e piacevole essere riconosciuti per quelle quattro sillabe; e quando ciò accade partendo dalle labbra di una bella donna, bene, allora ha un senso quasi magico. Lo si interpreta come una promessa.
Volevo imparare a non soffrire per la sua assenza; lasciavo vagare nella mia testa i pensieri di cuore come leggere condensazioni di umori, li spingevo e li soffiavo dentro di me, li lasciavo girare e circolare, permettevo loro di espandersi ed estinguersi. Non offrivo resistenze, non li volevo trattenere, non mi volevo arrestare in loro.
Ho sedici anni e sto male. Sto male l’ho detto molte volte, ci sono cresciuto con quella frase, ho sempre saputo le ragioni del mio star male, era tutto perfettamente chiaro nella mia testolina di quindicenne. Il mio amore frocio, la coscienza di essere artista e di voler fare, scrivere, poetare ecc. Volevo fare il cinematografico.
Mi guardavo e mi accorgevo che non c’era niente da fare: finivo dove finivano le mie mani, le mie labbra inaridivano una sull’altra.
E mangiano e bevono e fumano e scopano ed è questo star bene Dio santo, questa è bella vita.”
Notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d’emilia a spolmonare quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pensierare in auto verso la prateria, lasciare che le storie riempiano la testa che così poi si riposa, come stare sulle piazze a spiare la gente che passeggia e fa salotto e guarda in aria.
Lacrime lacrime non ce n’è mai abbastanza quando vien su la scoglionatura, inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo e manda via il vischioso male, quando ti prende lei la bestia non c’è da fare proprio nulla solo stare ad aspettare un giorno appresso all’altro.
Abbiamo pagato troppo caro il prezzo per la ricerca di una nostra autenticità, che tutto quanto abbiamo fatto era giusto e lecito e sacrosanto perché lo si è voluto e questo basta a giustificare ogni azione, ma i tempi son duri e la realtà del quotidiano anche.
Poi a Correggio diventa tutta una morte civile ed erotica e intellettuale e desiderante che ti chiedi la gente come fa a sopravvivere e capisci la sera, guardando dal balcone le stelle e la luna che il prezzo è davvero alto e che sono tutte sublimazioni e che è vero, più si vive più si è costretti a castrarsi
Agosto è bello starsene a casa con la città vuota nessun rompiballe in giro, magari arrivi che senti la tua solitudine farsi pesante ma è un gioco diverso ed esser soli fa molto più male in mezzo alla gente, allora sì che è doloroso e pungono le ossa e il respiro è davvero brutto.
Per ora non mi va di essere divertente per il semplice fatto che non mi sento così. Non voglio sedurre nessuno. Ora, se permetti, aspetto che siano gli altri a sedurre me.
Molto spesso non siamo affatto noi a scegliere le nostre letture, i nostri dischi o i nostri amori, ma sono gli accadimenti stessi che vengono a noi in un particolare momento, e quello sarà l’attimo perfetto, facilissimo e inevitabile: sentiremo un richiamo e non potremo far altro che obbedire.
Il nostro atteggiamento generale era di svacco, trasandatezza, noia. Il principio: fare tutto più in fretta possibile per mantenere uno spazio laterale per sé in cui parlare di musica, di libri, di “storie”.
Si dimentica piano piano di tutto perché la vita è davvero vita cioè una porcheria dietro l’altra e allora è come sbattere giù merda ogni giorno che poi ti dimentichi che fa schifo, e ne diventi magari goloso.
Ma poi la svoglia mi prende perché capisco che non c’è più nulla da fare e quando un amore finisce, finisce sul serio e non ci sono pezze o nostalgie che lo possano togliere dal sepolcro. Purtroppo.
Il tributo più vero che un uomo possa dare ad un suo simile: il ringraziamento per avergli fatto toccare la poesia.
Abbiamo bisogno di tempo. Di mettere tempo fra noi. Di vivere insieme, di viaggiare insieme, perché il nostro pensiero riconosca istintivamente l’altro; e lo riconosca come una presenza automatica di consuetudine e di affetto. Abbiamo bisogno di molto tempo per accettare la brutalità del fatto di non essere più soli.
Nessuno può tenere distanti due persone che si appartengono e che si stanno cercando, forse anche da molto tempo e da molto distante.
Quindi ti guardo ti guardo perché mi pare – dannazione – di non averlo fatto mai.
Perché tu ti perdi nel tuo amore, ti abbandoni nel tuo amore quando invece anche un bambino sa che egli è una macchina diversa da sua madre e che quindi non potrà mai più raggiungerla in pienezza e completezza e invece tu vuoi completamente perderti nelle braccia dei tuoi amanti, dimenticarti, innestarti su di una storia meravigliosa
Veniamo dal nulla. Nessuno ci ha obbligato a scegliere questa strada, però l’abbiamo seguita inventandocela giorno per giorno sulla base esclusivamente del nostro talento. Non vogliamo rubare niente a nessuno. Portiamo soltanto noi stessi. I nostri progetti, le nostre storie, le nostre letture, i nostri sogni, le nostre donne, le nostre fantasie.