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Frasi BelleIntervisteL'aforisma in ItaliaPremio Internazionale per l'Aforisma Torino in Sintesi

Intervista a Mauro Parrini, vincitore nella “sezione editi” del Premio Torino in Sintesi

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Mauro Parrini è il vincitore del Premio Torino in Sintesi 2010, nella sezione “editi” con la raccolta di aforismi “A Mani alzate” (Pendragon, 2009).

Mauro Parrini, professore di Filosofia e Storia a Magenta, è già conosciuto dai lettori del mio blog. Nel mese di aprile avevo infatti scritto un articolo intitolato “Mauro Parrini, A mani alzate” in cui presentavo la sua raccolta aforistica appena uscita. In quell’articolo (contenente una selezione di circa 40 aforismi) riportavo anche alcune acute riflessioni di Mauro Parrini sulla scrittura aforistica.

In occasione della sua vittoria nella sezione editi del Premio Torino in Sintesi, Mauro Parrini torna a parlare del suo rapporto con la scrittura aforistica, rispondendo con molta gentilezza alle mie molte domande (ce n’è anche una che riguarda il tema dell’aforisma nelle scuole).

Testo dell’intervista

L’ultima volta che ci siamo sentiti era aprile, io stavo pubblicando un articolo sulla tua raccolta di aforismi A mani alzate, e tra le tante cose scrivevo : “(…) “A mani alzate”, di cui suppongo di essere il primo a scrivere qualcosa ma di cui credo che si sentirà parlare ancora, tale è la ricchezza e soprattutto la qualità degli aforismi contenuti (…)”. Alla fine è arrivata la vittoria al Premio Torino in sintesi nella sezione “opere edite”. Te lo aspettavi?

Considerato che tutti i lettori del mio libretto, alcuni dei quali molto qualificati nel campo della letteratura aforistica italiana, mi avevano espresso un parere favorevole, direi che mi aspettavo una qualche menzione. Vincere è sempre difficile, dato che la possibilità di confrontarsi con un libro più bello del proprio, o con un autore più dotato, è sempre elevata.

Come mai il titolo A mani alzate?

Sul titolo sono stato incerto, avevo pensato anche a “La calma dell’impiccato” riprendendo l’espressione di uno degli aforismi finali, un po’ un calco de “La pazienza dell’arrostito” di Ceronetti. Poi ho optato per “A mani alzate” che non so se sia più bello ma consentiva di giocare sul doppio senso tra la resa e la vittoria, e anche perché è un espressione propria del gergo ciclistico, cioè di uno sport che ho amato e amo, al punto da aver dedicato alla bicicletta un piccolo blocco centrale di aforismi. Per le prossime raccolte, se ci saranno (non più di due, questo è certo, e non prestissimo) ho già in mente due titoli dello stesso genere del primo: non li anticipo per scaramanzia, però a questo punto confesso di puntare alla trilogia, vista la dignitosa riuscita di questo esordio ma soprattutto perché spero di poter migliorare ancora: già oggi, rileggendoli, taglierei almeno un terzo degli aforismi della mia raccolta. Senza contare, poi, che questo è anche un modo per augurarsi una vita abbastanza lunga.

Come molti aforisti hai pubblicato tardi il tuo primo libro di aforismi. C’è secondo te un rapporto tra aforisma ed età anagrafica?

Non credo esista un rapporto tra età anagrafica e scrittura aforistica in sé. Direi che il genere aforistico può essere avvertito come il più praticabile, in quanto percepito come minore, periferico, sommesso, “modesto”, rispetto a forme ritenute più alte e comunque ambiziose (il romanzo, la poesia, il saggio) da parte di chi non pensa a se stesso come a uno scrittore o un intellettuale per professione o per vocazione. In questo senso esso si sposa, in senso non necessariamente negativo, con una pratica dilettantesca della letteratura, anche perché la scrittura aforistica d’autore e di ricerca, come si sa, è un genere essenzialmente privo di mercato. Chi scrive e pubblica solo aforismi spesso nella vita fa tutt’altro che il letterato o l’intellettuale in senso proprio, e avendo altro a cui pensare magari arriva alla pubblicazione in età più avanzata. Nel mio caso specifico, poi, se sono arrivato tardi all’aforisma è in primo luogo perché io sono uno che arriva tardi in tutto.

Nella tua raccolta A mani alzate, c’è una specie di prologo in cui in forma aforistica cerchi di definire che cosa è l’aforisma da diversi angoli visuali. E anche nella breve intervista che avevi rilasciato ad Aforisticamente in occasione della recensione a A mani alzate, avevi aggiunto una ulteriore definizione “Ogni aforisma è un colpo di spillo inflitto al mondo nella speranza di vederlo scoppiare, liberandoci dalla sua prigione“. Credo che in nessun altro genere letterario lo scrittore sia così ossessionato dal definire ciò che sta scrivendo. Forse perché non si riesce mai a definire che cosa è veramente l’aforisma. Sei d’accordo?

Non penso che definire l’aforisma sia più difficile o più indispensabile che definire la poesia o il romanzo, anche se è vero che, essendo la definizione delle cose una delle sue mete abituali, l’aforisma ama molto anche definire se stesso. Dovendone prospettare io una definizione generale direi che, come ogni altro genere di letteratura (e di arte in senso lato) l’aforisma è in primo luogo il tentativo di dare una forma necessaria a una verità possibile: dire in un modo che non può che essere quello qualcosa che riguarda non qualcosa che necessariamente è, ma invece qualcosa che è possibile che sia. In questo senso due aforismi possono essere perfettamente veri, entrambi, anche se esprimono due verità contraddittorie, purché la loro forma sia necessaria e il loro contenuto possibile. La peculiarità dell’aforisma (e la sua arte) consiste nel compiere questa operazione con la maggiore intensità possibile, e in questo senso la brevità e la paradossalità sono i suoi ingredienti pressoché indispensabili: affinché la verità dell’aforisma esploda la brevità deve fare da scintilla e il paradosso ci deve mettere la polvere da sparo.

C’è un aforisma di A mani alzate a cui sei particolarmente legato? Uno di quelli che ti viene sempre sulla punta della lingua.

Uno solo è difficile da scegliere. Tra i miei aforismi leggeri, non so perché, mi viene spesso in mente “Il mio inconscio mi tradisce: esce con la coscienza di un altro”. Tra quelli più profondi non mi dispiace “Il corpo muore dopo la sua morte. Prima è soltanto la vita ad averlo abbandonato.” Tra quelli filosofici “Il nichilismo è la maniera moderna di vivere la libertà. L’amore, la maniera eterna.” Scegliendone uno di otto parole, che qualcuno ritiene la misura “classica” dell’aforisma, direi “Invisibile Dio, ma più ancora la sua ombra”.

Ci sono aforismi di altri altri autori a cui sei particolarmente legato?

Tra quelli di altri autori non saprei sceglierne uno, piuttosto indicherei un genere, l’aforisma filosofico: non quello fulminante, però, invece quello che per svilupparsi ha bisogno di una o più pagine, e di cui sono stati maestri insuperabili, per esempio, Nietzsche o l’Adorno di Minima Moralia. In casi come questi quello che affascina è la potenza e la profondità del pensiero, difficile a trovarsi nell’aforisma breve o brevissimo che spesso tende (e si limita) all’arguzia, al gioco di parole o al piccolo paradosso. Nietzsche, per esempio, spesso cade o è banale negli aforismi molto brevi, e invece è sempre geniale in quelli più lunghi. L’impressione che dà è quella di una grande mente che ha bisogno di sufficiente spazio di manovra, che se viene messa nello stretto non è più in grado di muoversi decentemente, come una barca a vela che si trovasse a regatare dentro a una piscina. Però, appena può spiegare le vele al vento, Nietzsche ci mostra subito che cosa vuol dire essere davvero dotati di una grande capacità di pensiero, e di un grande stile.

Nell’ultimo aforisma del tuo libro scrivi “L’ultima cosa la dirà l’aforisma ma non ci sarà nessuno ad ascoltarla”. La grande editoria snobba il genere aforistico, i mass media e gli eventi letterari gli dedicano poco o nessuno spazio e il lettore è orientato verso altri generi. Qual è secondo te la ragione?

Essendo priva della dimensione narrativa la letteratura aforistica si toglie il principale elemento di appeal di cui dispone non solo la letteratura, ma anche ogni altra arte fondata sul racconto, come il cinema, il teatro, il fumetto etc, che è quello di avvincere il lettore con l’intreccio, la trama, la vicenda coinvolgente attraverso la messa in opera di fatti e personaggi nei quali è anche possibile riconoscersi e identificarsi. In questo senso l’aforisma, come del resto la poesia, non ha nessuna possibilità di competere in quanto a diffusione, se non degradandosi alla dimensione del battutismo più o meno riuscito, molto spesso banale, come nel caso delle Formiche vendute a milioni un po’ di tempo fa. Se invece rimaniamo nel campo della saggistica di qualità, che comunque vende poco, non mi pare si possa dire che la forma aforistica sia un’ostacolo per la diffusione di un’opera.

Tu sei professore di filosofia in un Liceo vicino a Milano. L’insegnamento del genere aforistico nelle scuole allo stato attuale non esiste e forse non esisterà mai. Considerando che nella sua accezione originaria l’aforisma è una regola di vita e formula di saggezza, secondo te avrebbe senso un’ora di aforistica alla settimana nelle scuole?

Quello che in primo luogo i ragazzi devono imparare a fare a scuola è formulare un pensiero che abbia possibilmente un senso, con una premessa, uno sviluppo e una conclusione, tanto nella forma orale che in quella scritta. Per fare questo la cosa migliore è esercitarsi nel leggere e scrivere testi di una certa complessità, quindi vanno bene saggi, romanzi eccetera. L’aforisma, in questo senso, più che per imparare a esprimersi sarebbe un esercizio che aiuterebbe la concentrazione, l’attenzione e l’essenzialità. Se dovessi dire però cosa leggere o studiare per diventare un buon scrittore di aforismi direi soprattutto lunghe e difficili opere di filosofia, a cominciare dalla Metafisica di Aristotele e dall’Etica di Spinoza. Sono opere come queste che abituano la mente all’ambizione necessaria che ci vuole per provare poi a misurarsi con la verità, anche se solo in maniera sporadica e molto più superficiale.

Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Mi avevi detto che dopo la pubblicazione di A mani alzate avresti voluto sperimentare altri generi letterari. Sei ancora di quella idea, dopo aver vinto il premio?

Dopo gli aforismi ho scritto un dizionario-pamphlet sulla scuola, in cento voci, che dovrebbe uscire prossimamente. Di mestiere sono insegnante, poi oltre che di aforismi sono appassionato di dizionari e di pamphlet polemico-satirici, per cui ho messo insieme il tutto e ho scritto questo testo nel quale ho dato la parola all’altro me stesso, rispetto a quello delle “Mani alzate”: non quello che è in costante fuga dal mondo, ma quello che invece il mondo (più modestamente, la scuola) lo vorrebbe riformare e migliorare. In più ho appena finito di scrivere una favola lunga, sulle centocinquanta pagine, che pur portando con sé qualche significato “adulto” cerca soprattutto di essere un testo fantasioso e divertente, che somiglia un po’ alla sceneggiatura di un film a cartoni animati, per intendersi. Spero di trovare qualcuno che la legga e la pubblichi con quel minimo di diffusione che la renda visibile non dico al grande pubblico, ma almeno a una cerchia più allargata di lettori, ragazzi o adulti che siano.

Per il futuro poi vorrei sperimentare altre cose, l’eclettismo (che si addice, come l’aforisma, a chi ama l’arte della fuga) mi attrae. Frequento generi letterari ancora periferici, se non altro per tenermi lontano dalla fiumane di poesie e di romanzi che inondano giorno dopo giorno le librerie e i siti Internet, e per le quali peraltro non mi sento affatto portato. Penso comunque, come dicevo prima, di non aver finito qui con il genere aforistico, e di riprenderlo prima o poi, spero sempre meglio.