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Amedeo Ansaldi è il vincitore (ex aequo con Alessandro Tozzi) del Premio Torino in sintesi 2010, nella sezione inediti con la raccolta di aforismi “Manuale di scetticismo“.
Amedeo Ansaldi ha 53 anni, è diplomato in lingue e di mestiere fa il traduttore. Fino all’età di 35 anni ha abitato a Milano (dove era titolare di un’agenzia di traduzioni). Dal 1992 si è trasferito ad Oggebbio (Vb), sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. Nel lontano 1984 ha pubblicato un breve racconto su una antologia. Pur continuando a leggere e scrivere per suo conto, non ha mai più pubbblicato nulla.
Amedeo Ansaldi ha gentilmente risposto ad alcune del nostro blog Aforistica/mente.
Testo dell’intervista
Gentile Amedeo Ansaldi, complimenti per aver vinto (ex aequo con Alessandro Tozzi) il Premio Torino in Sintesi nella sezione inediti con la raccolta di aforismi “Manuale di scetticismo“. Qual è stata la prima reazione quando ha saputo la notizia?
La mia prima reazione quando ho aperto la cortese mail con la quale la Presidentessa del Premio, Anna Antolisei, mi comunicava l’insperato esito del Concorso, è stata di assoluta incredulità. A 53 anni, praticamente alla prima partecipazione ad un premio letterario da un quarto di secolo a questa parte, non me l’aspettavo davvero. Sul piano personale, il riconoscimento, oltre che sorprendermi, mi ha anche, un po’, se posso dirlo, commosso.
Aggiungo, se mi è consentito, una breve considerazione: il fatto che il premio sia stato assegnato ad un perfetto sconosciuto (il mio nome ricorre sulla Rete solo nelle parti basse di qualche classifica di gara podistica o, al limite, come traduttore) attesta in modo incontrovertibile i criteri esclusivamente critici ai quali si è attenuta la giuria, nella cui scelta non sono certo entrate considerazioni di altra natura (nel mio caso questo è sicuro al 100%). Suppongo che una tale serietà, imparzialità e aderenza alle vere finalità di un concorso letterario rappresentino una – grata – eccezione. Non conosco il mondo dei concorsi letterari in Italia; forse è una supposizione un po’ qualunquista, ma mi sorprenderebbe che non sia omogeneo al resto della società. Mi considero dunque doppiamente fortunato. Il riconoscimento ottenuto costituisce per me l’onore di gran lunga maggiore che mi sia mai stato concesso.
Lei è un traduttore, nel curriculum mi scrive che nel lontano 1984 ha pubblicato un breve racconto su una antologia e da allora fino ad adesso non ha più partecipato a concorsi letterari. Come mai ha deciso di scrivere una raccolta di aforismi e di inviarla al Premio Torino in sintesi?
Dai 17 anni in poi ho sempre letto e scritto (fra le altre cose, anche aforismi) per mio conto. Però – prescindendo dai risultati – sono riuscito raramente a condurre in porto progetti di respiro un po’ più ampio. Avendo il fiato tanto corto, probabilmente mi si addice la frammentarietà. Nel caso dell’aforisma (genere che si compone di una, due, massimo tre frasi) è più improbabile che le forze, la determinazione, la giusta dose di cattiveria possano venire a mancarmi prima di arrivare al punto finale.
Il titolo della raccolta di aforismi inediti che ha inviato al Premio si intitola “Manuale di scetticismo”. Il titolo della sua raccolta sembra un paradosso. L’aforisma – come era nel suo significato originario – si propone di dare degli insegnamenti (“manuale”) ma solo di “scetticismo”. Vuole dirci qualcosa a tal proposito?
Premetto che il titolo originale della raccolta di aforismi che ho scritto era un altro, ma, dovendomi limitare a sceglierne 50 per il Premio, il suo ‘significato’ (uso a malincuore il termine) andava irrimediabilmente perduto. Ho così optato per un titolo provvisorio. Perché, mi domanda, la scelta di questo titolo? Fondamentalmente ritengo che la funzione dell’aforisma (se mai ne ha una) debba essere non già di infondere nozioni, o trasmettere certezze, bensì, al contrario, di alimentare il dubbio su qualsiasi cosa, di ‘obbligare’ il lettore a rimettere in discussione opinioni, convinzioni, tutto. Non credo sia intellettualmente lecito, a questo mondo, abbracciare alcuna certezza, dottrina o ideologia; a mio avviso può esistere solo una pars destruens nell’aforisma (e nel pensiero in genere). Non si dovrebbe mai cedere alla presuntuosa lusinga di proporre una propria visione delle cose.
C’è un aforisma di “Manuale di scetticismo” a cui è particolarmente legato? Uno di quelli che tiene sempre sulla punta della lingua?
Una volta scritto qualcosa non ci penso più; al limite ci torno sopra a mente fredda per il necessario lavoro di lima, magari solo a distanza di qualche mese. Quelli che mi ritornano spesso alla mente sono aforismi di altri autori, ben più importanti del sottoscritto.
Ci sono aforismi di altri autori a cui è particolarmente legato?
Ci sono aforismi e, più in generale, aforisti a cui sono molto legato. Innanzi tutto i moralisti francesi del Sei e Settecento, poi Nietzsche, Cioran (il mio prediletto in assoluto), Gomez-Davila e, ovviamente, tanti altri (fra quelli importanti li ho letti e riletti, credo, quasi tutti: Guicciardini, Gracian, Leopardi, Lichtenberg, Oscar Wilde, Lec, Kraus, ecc.). Mi piacciono molto anche gli aforismi di ispirazione zen. Fra gli italiani moderni: Longanesi, Flaiano, Bufalino, Ceronetti, Rigoni.
Mi può dare una sua definizione di aforisma?
Nella sua brevità, l’aforisma ha una ricchezza inesauribile; impossibile, credo, costringerlo in una definizione assoluta. Posso tuttavia provare a dire quali sono i tratti distintivi che deve presentare, secondo il mio gusto opinabilissimo, un aforisma che si rispetti: avversione insuperabile per i particolari superflui; stringatezza concettuale ai limiti dell’ambiguità; lucidità intellettuale vertiginosa; spietatezza assoluta nello spogliare la realtà di tutti i suoi vani orpelli; cifra stilistica perentoria e smagliante; strenua eleganza formale (sto parlando, è sottinteso, del mio ideale di aforisma – mica di quelli che scrivo comunemente io!): un piccolo ordigno concepito per attentare alle opinioni e credenze egemoniche del proprio tempo, seminare il dubbio e lo sconcerto, obbligare il lettore a pensare e rimettere in discussione qualsiasi opinione, di più: qualsiasi valore (nessuno escluso) che abbia la debolezza, l’ingenuità o l’impudenza di nutrire: in questo senso costituisce un atto eversivo (al limite, anche contro se stessi), che assolve ad una funzione diametralmente opposta rispetto allo slogan o al motto propagandistico.
Segue il panorama editoriale dell’aforisma italiano? Ha mai comprato libri di aforismi di autori italiani contemporanei?
I più recenti autori di aforismi italiani che ho letto sono quelli compresi nel fondamentale volume dei Meridiani Mondadori Scrittori italiani di aforismi (il Novecento), fra l’altro curato dal professor Gino Ruozzi, che condurrà la discussione durante la cerimonia di premiazione, e comprendente, fra gli autori, Maria Luisa Spaziani, presidentessa onoraria del Premio: una autentica miniera dell’aforisma italiano del secolo scorso, da leggere e rileggere periodicamente, e, comunque, da tenere sempre a portata di mano.
Lei pensa che un riconoscimento di questa portata possa cambiare qualcosa nel suo atteggiamento nei confronti della scrittura aforistica, magari spingendola a pubblicare un libro?
Intendiamoci: in sé, non m’importa nulla di vedere il mio nome stampato sulla copertina di un libro, tanto meno nel vergognoso ed osceno panorama socio-culturale del nostro paese. Ho vissuto bene da inedito fino ad ora e tale posso restare per il resto dei miei giorni. Come aspirante scrittore mi può – mi deve – essere solo indifferente che qualcuno mi legga, o meno: il successo o l’insuccesso non potrebbero aggiungere (e neanche togliere) nulla al valore intrinseco – sia esso elevato, infimo, o nullo – di quello che scrivo; né li considero in alcun modo un indicatore valido.
Ciò chiarito, aggiungo che il riconoscimento ottenuto e magari l’occasione di incontrare e conoscere persone che nutrono – certo con maggiore competenza e preparazione rispetto all’autodidatta improvvisato che sono – interessi analoghi ai miei, potrebbero agire su di me da provvidenziale pungolo e indurmi a cercare di pubblicare questa raccolta di aforismi (magari generosamente ampliata rispetto al numero attuale di 50). Se si presenterà l’occasione, cercherò di coglierla; sotto il profilo economico non mi aspetto nulla, anzi meno di nulla: al limite, di rimetterci qualcosa – prospettiva che, peraltro, non mi sorride particolarmente. Vedremo. La cosa più importante, per me, resta comunque scrivere, indipendentemente da prospettive e lusinghe, più o meno fondate, di pubblicazione, mantenendo intatte indipendenza di giudizio, dignità e onestà intellettuali e la capacità di riflettere sulle cose senza condizionamenti di sorta.
Ottima intervista; risposte pacate e nel contempo efficaci, penetranti. La professione di modestia, così come di indifferenza nei confronti del successo letterario, appare sincera, anche se nel profondo lascia – volutamente, è ovvio! – intravedere una sottilissima vena di autocompiacimento, forse addirittura di civetteria. L’ideologia scettica e disincantata è insieme proclamata e – inevitabilmente, data la sua stessa essenza – messa in crisi o almeno sapientemente minimizzata. Le basi culturali e la strumentazione stilistica sono tanto più evidenti quanto meno rivendicate. In definitiva, quanto di meglio potrebbe produrre e – velatamente -ostentare un vero rappresentante del pensiero breve e della scrittura aforistica.
Se Le interessa il ciclo di interviste non si chiude qui. Lunedì 11 ottobre appariranno le interviste ai vincitori delle altre due sezioni del Premio Torino in Sintesi e a seguire l’intervista ad Anna Antolisei, Presidente del Premio.