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Nella sezione Scrittori di aforismi su Twitter l’articolo di oggi è dedicato a @alfcolella (Alfredo Colella). Nella breve nota biografica che mi ha inviato, l’autore scrive di sé: “38 anni, una laurea in filosofia teoretica nel cassetto (al posto del sogno, ognuno fa come può) e una software house da mandare avanti (gli unici programmi che posso permettermi), dopo tanto viaggiare mi sono fermato in Emilia, sulle colline fra Reggio Emilia e Modena”.
@alfcolella è su Twitter dal giugno 2009, ma come ha scritto di recente in un suo tweet “Sono cinque anni che sono iscritto al Twitter. Tre che ci scrivo per davvero. Due che capisco come funziona. Zero che capisco perché”. Sempre a proposito di Twitter l’autore aggiunge: “In effetti, davvero non so perché scrivo su Twitter. Ma non so nemmeno perché non passo il tempo al videopoker in un bar sulla Via Emilia, quindi direi che posso restare agnostico e continuare a tweettare. Ciò che è certo, Twitter mi piace e allo stesso tempo mi atterrisce, come in una sorta di sindrome di Stoccolma. Le sue dinamiche, i suoi personaggi pieni di tic e debolezze malcelate (dai troll alle tweetstar) rendono questo strano universo social simile a una cittadina di provincia, o a un condominio affollato, o addirittura a un cimitero di campagna pieno di storie bizzarre (#spoontwitter). Anche per questo, spesso mi diverto a raccontare il Twitter (obbligatoriamente ‘il’; in quanto luogo molto ben determinato). E forse non è un caso che io abbia iniziato davvero a scrivere su Twitter da quando è nata mia figlia: La colpa è di Nina, che mi chiede ogni giorno di inventarle favole nuove.”
“Ieri mi hanno detto che scherzo troppo. Oggi che sono drammatico. Non vedo l’ora di essere biondo, domani” scrive @alfcolella in uno dei suoi tweet, che nella sua scrittura inconfondibile non è mai troppo scherzoso e al tempo stesso non è mai eccessivamente drammatico. Nella sua timeline l’autore non ha la pretesa di rivelare chissà quale verità (“Che se mai anche io avessi una certezza granitica, la vorrei alla mandorla. Che sapesse di colazione in Sicilia”), semmai accenni di piccole verità. Così il tono del tweet (che in molti altri autori assomiglia a una massima di presunta verità) si abbassa, diventa “minimo”, tocca altri tasti tra cui quello della ironia (mai del sarcasmo), mette la “sordina”. Ciò che resta, spesso, è un “Uhm”, espressione amata dall’autore per racchiudere la costante necessità di pensare e allo stesso tempo l’inevitabile perplessità del pensiero di fronte alle cose o alle persone.
@alfcolella ama ritagliare qua e là piccoli episodi, sensazioni, riflessioni (anche attraverso dialoghi immaginari e giochi di parole), e lo fa sempre con discrezione, quella facoltà fatta di pudore e di intelligenza che cerca nuovi luoghi “meno comuni” e più sconosciuti o semplicemente dimenticati. L’autore non manda nessuno al rogo, o se lo fa, accompagna il tragitto con un sorriso ironico sulle labbra (a tal proposito si veda il mirabile hashtag da lui creato #SpoonTwitter). In tempi di relativismo e di precarietà @alfcolella ci spiega che “Ci vorrebbero meno cose di cui farsi una ragione. E più cose di cui farsi una pazzia” e anche “A quelli che si mostrano sempre sicuri di sé, solo una cosa dico. Più forse, meno farse”.
Presento una selezione di tweet dell’autore
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@alfcolella, Tweet scelti
A prendere posizione, a volte, si perde qualcuno. A non prenderla, a volte, si perde se stessi.
Un brutto incidente, il Twitter. Qui dentro c’è gente che è diva per miracolo.
Il vero sta bene con tutto. Il falso, con tutti.
Più che quelli che raccolgono le provocazioni, mi concentrerei su quelli che le coltivano.
Ci vorrebbero meno cose di cui farsi una ragione. E più cose di cui farsi una pazzia.
Spesso chi suona non è bravo a ballare.
Pensa chi scrive d’amore.
Ho scritto un tweet sui divani e mi ha contattato subito uno che li fa. Adesso inizio a capire perché scrivete tweet sui pompini.
La prenderò a sassate, quella stella, pur di fartela cadere. Tu prepara il desiderio, io prendo la mira.
La tempesta è passata. E non ho ancora capito cosa vorrei fare io, da grandine.
Ho di buono che non faccio mai troppe domande. A parte a me stesso, s’intende.
C’è il gioco di parole che è fine a se stesso. E poi c’è quello che è inizio di qualcos’altro.
Ecco, è tutta qui la differenza.
Lo spreco di avere cinque sensi. E manco uno da dare alla giornata.
Aspettatela voi, la quiete. Io mi tengo la tempesta.
Che poi forse il problema non è avere un’opinione su tutto. È ridurre tutto a un’opinione.
A quelli che si mostrano sempre sicuri di sé, solo una cosa dico. Più forse, meno farse.
Chissà, prima degli smartphone, a chi sorridevamo seduti da soli al tavolino di un bar.
Vabbé, oggi non ho cambiato il mondo. Però nemmeno lui ha cambiato me. Palla al centro e domani ce la giochiamo di nuovo.
Mi piacciono le cose facili. E gli unicorni.
E comunque, se esiste così tanta gente che ha successo pur non sapendo scrivere è solo colpa di tutta questa gente che non sa leggere.
Non esistono pareri disinteressati. Esistono pareri disinteressanti.
Sbaglierò, ma non invidio chi dice che non sente il bisogno dei propri spazi. Temo che semplicemente non sappia come riempirli.
Defollow di Massa, solo se sei Alonso.
Non mi piacciono i falsi. Non mi fido dei modesti.
Figuratevi i falsi modesti.
La vita è quella cosa che, in teoria, faccio pratica.
A volte scrivete tweet talmente acidi che mi dispiace per voi. E vorrei darvi una pH sulla spalla.
Non fidatevi di chi vi dice che, in fondo, il Twitter è solo un gioco. Sta cercando di vincere.
Tutti a cercare di ritrovare la forma. Io che sono ancora fermo alla sostanza.
Ogni volta che lascio perdere, perdo un po’ di me stesso.
Nessun uomo è un’isola. E se lo è, assomiglia a Ibiza a ferragosto.
“Ufficio Oggetti Smarriti, cosa ha perso?” “Ogni convinzione.” “Ne è certo?” “No.”
Il vuoto fa paura solo a chi vuole riempirlo a tutti i costi. Io, lo rispetto.
La sottile differenza fra quando non servono scuse e quando le scuse non servono.
Eh, la vita. Chi l’adora, la vince.
Torniamo a rifugiarci nei giochi di parole soprattutto quando ci sfugge il senso.
Almeno lo inseguiamo per divertimento, non per necessità.
Oggi sono cinque anni che sono iscritto al Twitter.
Tre che ci scrivo per davvero.
Due che capisco come funziona.
Zero che capisco perché.
Chiedere come va. Rispondere come viene.
Chi capisce in fretta sa quando agire lentamente. Chi agisce in fretta, invece, spesso non ha capito.
Ieri mi hanno detto che scherzo troppo. Oggi che sono drammatico. Non vedo l’ora di essere biondo, domani.
Ogni volta che cadiamo, c’è chi bestemmia, chi si lamenta, chi piange, chi si commisera. Dovremmo prendere esempio dalla neve.
Tutto passa. A parte le ultime due del girone. #Mondiali2014
Ogni volta che qualcuno di quelli che scrivono bene retwitta qualcuno di quelli che scrivono male, ecco, io guardo le pic.
Vorrei iscrivermi a un social network di parrucchieri solo per vedere che cosa scrivono del lunedì.
Se i pensieri si facessero più lenti e i chilometri più veloci. Se.
Il telefono fisso, quella cosa che le telefonavi a casa e rispondeva il padre. E in un secondo dovevi decidere se presentarti o riattaccare.
La vera sfida non è spaccare il mondo. Ma riattaccare i cocci.
Non abbiate paura delle banalità. Abbiatene terrore.
Milioni di follower, del Twitter fu il re. Al suo funerale, col prete eran tre. #SpoonTwitter
Fra vene, parole e sguardi siamo fatti di incroci. Troppi per seguire la retta via.
Legami ricuciti strappandosi sorrisi: bisogna avere stoffa.
Scrivere le stesse cose, facendole sembrare diverse.
Scrivere cose diverse, che sembrano tutte uguali.
Scrivere bene.
Scrivere male.
Se volevo essere fragile, nascevo piatto di porcellana dipinto a mano con gattini da appendere in cucina.
Pure se volevo essere inutile.
I lucchetti, solo se il vostro account è quello di Moccia.
Amo i tweet che, nella loro brevità, sanno essere lunghi abbastanza da stringermi la gola. Che hanno il nodo della sintesi.
Per essere partiti da un Addio, ne abbiamo fatte di cose assieme.
La realtà va nella direzione opposta alla fantasia. E io non capisco come faccia a superarla.
In quanto a creare aspettative, sono secondo solo al temporale che sta per iniziare. Da ieri pomeriggio.
Per capire, servono i dati. Mica gli avuti. Perciò, diamoci. Poi capiremo.
Non amo la gente poco sensibile, che ha un’alta soglia di tolleranza al dolore. Degli altri.
“Tu sei il diavolo. E me l’hai tenuto nascosto.” “Vabbé. Son dettagli.”
Peggio di chi scrive male, c’è chi scrive male degli altri.
Ma pure chi scrive degli altri e basta, farebbe bene a farsi i fatti propri.
(Per aprire possibilità, le parentesi non vanno chiuse.
E domani sera, prima di tenere per l’Italia, chiediti se l’Italia tiene a te.
Ogni volta che vi fate un’idea di me e che io mi faccio un’idea di voi, mi chiedo perché non ce le scambiamo. Ci guadagneremmo tutti.
“Si dice vividi, non lividi.” “Dipende dai ricordi.”
Non capisco perché in questo momento Antonacci sta alla radio e io sto a un tavolino che mangio una piada fredda. L’evoluzione ha fallito.
Forse non moriremo di “Come stai”. Ma di sguardi già distratti prima che arrivi la risposta.
Certe volte non pensare è una difesa. Altre volte un lusso. Altre ancora, un gioco.
L’importante è che sia sempre una scelta.
Possiamo fare finta di niente. Mica di tutto.
Le prime a naufragare sono le persone fragili. Che vanno mareggiate con cura.
Che poi il difficile è non capire quanto sia facile non capirsi.
Congiuntivo: che congiunge, che unisce. Ecco perché non lo usa più nessuno.
Che se mai anche io avessi una certezza granitica, la vorrei alla mandorla. Che sapesse di colazione in Sicilia.
“Le droghe leggere vanno legalizzate.” “Tutto fumo. Niente arresto.”
È quasi finito l’anno e non ho ancora capito chi è che vince, quando due persone si lasciano perdere.
Comunque il tasto Ignora è per chi non sa Ignorare. Mi pare ovvio.
Avrei voluto smettere di fumare in maniera graduale. Tipo, ogni mese, un tiro in meno. Una roba così.
A noi uomini non sfugge mai niente. A parte le donne.
Non ho tempo per le cazzate. Però ho spazio. Lasciale pure qui, grazie, che poi vediamo.
Siate affamati. Siate folli. Ma poi non pretendete che io vi inviti a cena.
“Io con te vorrei raccogliere frutti di bosco e farci marmellate, buone per giochi di notte e colazioni al mattino.” “Andiamo. A more.”
Ho fatto una gara a chi ha più difetti. E ho vinto. Ora mi merito un pregio.
Le cose finiscono in silenzio, senza disturbare. Prendi l’inverno. Nessuno che l’abbia salutato, qui sul Twitter. #iostoconlinverno
Attento alle ragazze acqua e sapone. Dicono un sacco di bolle.
“Sono l’ultimo dei romantici.” “Nel senso che non ne sono rimasti altri?” “No. Che gli altri arrivano sempre prima di me.”
Dovrei fare ordine nei miei pensieri. Ma in fondo, chi se ne frega. Non aspetto ospiti.
La sottile differenza fra scrivere ciò che si è, ed essere ciò che si scrive.
Qui gatta ci prova.
“Tu giochi con le parole.” “E tu con i sentimenti.” “E non possiamo giocare insieme?” “No, non a questo gioco. Così Impari.”
Sostituire la lettura serale con il Twitter non va bene.
Ma ciò che è peggio, è avervi tutti sul comodino.
Lo chiamano chiodo fisso. Invece è un martello.
“Guarda, figlio, un giorno tutto questo sarà tuo.” “Ma io non vedo nulla…” “Lo so, erediterai la mia immaginazione. E quel giorno vedrai.”
Non ho ancora capito se sono gli opposti che si attraggono, o i simili che si cercano, o è tutto alla cazzo
Quasi mai, vi invidio le parole. Quasi sempre, la facilità con cui le usate.
Mi aspetto troppo. Da una vita.
“Buongiorno, lei chi è?” “Sono l’ultimo dei romantici.” “Ah, finalmente. I suoi compagni sono già tutti in classe, per il corso di cinismo.”
Ci sono molti modi di dirsi Addio. Tutti sbagliati.
“Dottore, soffro della sindrome di Peter Pan. Le responsabilità mi terrorizzano. Cosa posso prendere?” “Prenda tempo.”
Quando il gioco si fa duro, i puri non sanno mai come giocare.
“Ho appena scoperto che il 20 marzo si festeggiava la felicità.” “Eh, pure quest’anno non ci hanno invitato.”
Voler capire è il peggiore dei passatempi.
Ricordarsi di farle causa quando smetterà di farmi effetto.
Questa cosa che la gente ha un pensiero, lo scrive sul Twitter, e si convince che nessun altro possa pensarlo, boh. Manco fosse il Cern.
“Le strade ancora da percorrere sono come persone di spalle viste da lontano. Si assomigliano tutte.” “Finché non si girano.”
Certe cose, poche ma importanti, non vanno divise con nessuno. Perché spartire è un po’ come morire.
Sulle mezze misure, non saprei cosa dire. Non ho un mezzo metro di giudizio.
Sul Twitter. A Capodanno tutti parlano male del Capodanno. A Natale tutti parlano male del Natale. Il giorno dei Morti è un casino.
Un quarto di luna, un quarto di vino, un quarto di ora, per quel quarto che manca a completare un semplice Tutto.
Ho una regola infallibile per capire che è ora di cambiare lavoro. Deve essere appena prima che lui cambi me.
E comunque, nel mio epitaffio, vorrei essere ricordato come uno che ha espresso più desideri che giudizi. #SpoonTwitter
Prendi un ovviamente. Togli la parte ovvia. Lascia la mente. Aggiungi ghiaccio a piacere. Raffredda. Bevi. Dimentica. Dimentica. Dimentica.
A tempo debito, saremo a credito.
“La vera sfida non è spaccare il mondo, ma riattaccare i cocci.”
Questa frase me la devo ripetere tutte le mattine quando mi sveglio…
Grazie. Bellissime.
E complimenti per il sito!!!
“Siate affamati. Siate folli. Ma poi non pretendete che io vi inviti a cena.”
Ghghghg!
Ciao Alf! 😉
Sì è vero, “La vera sfida non è spaccare il mondo, ma riattaccare i cocci” è molto, direi anche molto zen…
Di solito detesto chi scrive pensierini, storielle zen o aforismi. Mi sembrano tutti roba da smemoranda…
Però ho trovato questo link su facebok e sono arrivato qui e ho scoperto che mi sbagliavo. Alcune frasi che hai scritto sono difficili da dimenticare. Almeno, a me hanno colpito molto. Adesso vado a leggermi anche gli aforismi degli altri. Chissà che non mi piacciano anche quelli 🙂 Saluti a tutti!