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Le frasi più belle di Daniel Pennac

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Daniel Pennac, pseudonimo di Daniel Pennacchioni (Casablanca, 1 dicembre 1944), è uno scrittore francese.

La rivista statunitense Watch and Listen, importante rivista di critica letteraria, che pubblica, ogni dieci anni, la sua classifica dei 50 migliori libri di tutti i tempi, nella classifica 2013 pone la saga Malaussène di Pennac al primo posto con il 45% dei voti, davanti ai I tre moschettieri di Alexandre Dumas con il 31% e ad Harry Potter con il 12%.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Daniel Pennac. Tra i temi correlati si veda Le frasi più belle di Elena Ferrante, Le frasi più belle di Italo Calvino e Frasi, citazioni e aforismi di Haruki Murakami.

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Le frasi più belle di Daniel Pennac

Come un romanzo (Comme un roman, 1992)

Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere – Le temps de lire, comme le temps d’aimer, dilate le temps de vivre.

Quando una persona cara ci dà un libro da leggere, la prima cosa che facciamo è cercarla tra le righe.

L’uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire.

Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d’altronde, o il tempo per amare.) Rubato a cosa? Diciamo, al dovere di vivere.

Le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.

Ogni lettura è un atto di resistenza. Di resistenza a cosa? A tutte le contingenze.

Una lettura ben fatta salva da tutto, compreso da se stessi.

Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l’invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici.

Se dovessimo considerare l’amore tenendo conto dei nostri impegni, chi ci si arrischierebbe? Chi ha tempo di essere innamorato? Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare?

Oh il ricordo di quelle ore di lettura rubate sotto le coperte alla luce di una torcia elettrica! Come correva Anna Karenina verso il suo Vronskij in quelle ore della notte! Si amavano, quei due, ed era già bello, ma si amavano contro la proibizione di leggere e questo era ancora più bello! Si amavano contro mamma e papà, si amavano contro i compiti di matematica da finire, contro l’esercizio di francese da consegnare, contro la stanza da mettere in ordine, si amavano invece di andare a tavola, si amavano prima del dolce, si preferivano alla partita di calcio e alla raccolta dei funghi… si erano scelti e si preferivano a tutto… Dio, che passione!
E com’era corto il romanzo.

Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare”… il verbo “sognare”…
Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: “Amami!” “Sogna!” “Leggi!” “Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!”
“Sali in camera tua e leggi!”
Risultato?
Niente.

Così procedono i nostri discorsi, eterna vittoria del linguaggio sull’opacità delle cose, silenzi luminosi che dicono più di quel che tacciono.

Il diritto di spizzicare. È la libertà che ci concediamo di prendere un volume a caso della nostra biblioteca, di aprirlo, dove capita e di immergercisi un istante, proprio perché solo di quell’istante disponiamo.

La lettura non ha niente a che fare con l’organizzazione del tempo sociale. La lettura è, come l’amore, un modo di essere.

Contrariamente alle buone bottiglie, i buoni libri non invecchiano. Ci aspettano sui nostri scaffali e siamo noi a invecchiare. Quando ci riteniamo abbastanza “invecchiati” per leggerli, li affrontiamo un’altra volta.

Diritti imprescrittibili del lettore
1) Il diritto di non leggere.
2) Il diritto di saltare le pagine.
3) Il diritto di non finire il libro.
4) Il diritto di rileggere.
5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa.
6) Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa)
7) Il diritto di leggere ovunque.
8) Il diritto di spizzicare
9) Il diritto di leggere ad alta voce.
10) Il diritto di tacere.

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La fata carabina (La fée carabine, 1987)

Uno crede di portare fuori il cane a fare pipì mezzogiorno e sera. Grave errore: sono i cani che ci invitano due volte al giorno alla meditazione – On croit qu’on amène son chien pisser midi et soir. Grave erreur : ce sont les chiens qui nous invitent deux fois par jour à la méditation.

Se Dio esiste, spero che abbia una scusa valida.

Ci sono silenzi che lavano ancora più del bianco.

Così è la vita: ci sono i conosciuti e gli sconosciuti. I conosciuti ci tengono a farsi riconoscere, gli sconosciuti vorrebbero rimanere tali, e a tutti e due va male.

“Invecchiare, che orrore” diceva mio padre “ma è l’unico modo che ho trovato per non morire giovane”.

Proverbio taoista: “Se domani, dopo la vittoria di stanotte, contemplandoti nudo allo specchio scoprirai un secondo paio di testicoli, che il tuo cuore non si gonfi di orgoglio, figlio mio, vuol semplicemente dire che ti stanno inculando”.

Si può interrogare chiunque, in qualsiasi situazione. E’ raro che siano le risposte a dare la verità, più spesso è il concatenamento delle domande.

Perché essere liberi (dichiarò all’epoca in cui fu arrestata) vuol dire anzitutto essere liberi dal bisogno di capire.

Non si tratta di credere o non credere, Ben, si tratta di sapere quel che si vuole. E quello che si vuole non è altro che l’Eternità.

I giovani amano la morte. A dodici anni si addormentano sentendo racconti di guerra, a vent’anni la fanno. […] Sognano di dare una morte giusta o di ricevere una morte gloriosa, ma in entrambi i casi è la morte che amano.

È per sistemare la storia che si incasina la geografia.

Avviso a tutti gli apprendisti capri espiatori: un buon capro deve sempre andare incontro al cazziatone, battersi il petto ancor prima di essere accusato, è un principio fondamentale. Piazzarsi davanti al plotone, sempre, e sollevare su di esso uno sguardo da far inceppare i fucili.

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Il signor Malaussène (Monsieur Malaussène 1995)

L’uomo non si nutre di verità, l’uomo si nutre di risposte – L’homme ne se nourrit pas de vérité, l’homme se nourrit de réponses.

Sono nato per curiosità, c’è forse una ragione migliore per nascere?

Si ha un bel colmare, ma è sempre una sorpresa la vastità della nostra ignoranza.

Se esiste un Dio, Gervaise, non è per tutti. Oppure gli piace il gioco e noi siamo le sue carte. Un baro. Il re del gioco delle tre carte.

L’amore è sempre stato di bocca buona riguardo ai suoi primi alimenti. Le prime conversazioni dell’amore assomigliano agli omogeneizzati dei bambini. Non importano gli ingredienti, tanto è di altro che si parla. L’amore sfida le leggi della dietetica, si nutre di tutto e un niente lo nutre. Si sono viste autentiche passioni nascere da conversazioni così povere di proteine da reggersi a stento in piedi.

Anche la doccia migliore non lava via tutti i nostri malumori.

Tanto vale che ti ci abitui subito: sarai esaminato per tutta la vita. Bisogna rendere i conti, dall’inizio alla fine, e che siano giusti! Il medico legale farà il totale dell’addizione.

La trasparenza è un concetto imbecille, figliolo. O quanto meno inefficace, se applicato alla ricerca della verità. […] La verità umana è opaca.

Dio e la Statistica sono risposte che godono di ottima salute.

Quando la vita è quello che è, il romanzo ha il dovere di essere quello che vuole.

Mi piacerebbe conoscere il direttore d’orchestra dei temporali. Maneggia la macchina dell’acqua a una velocità… dal frastuono delle cateratte al mormorio delle fontane…

Aveva intenzione di non frequentare più nemmeno se stesso.

Non c’è mica solo la felicità nella vita, c’è la vita!

La morte si annuncia da lontano, con i piccoli divieti di vivere.

Non ha solo occhi che vedono, ha occhi che fanno vedere.

O voi che inforcate gli occhiali del pregiudizio, sempre pronti all’estasi imposta e allo scandalo d’obbligo…

Che si occupi di te e lasci perdere il mondo… Che tanto il mondo non si occupa di niente, gira sul suo asse, gira in tondo, non va da nessuna parte… un’orbita… non ha bisogno di nessuno, il mondo…

Un errore giudiziario è sempre un capolavoro di coerenza.

Dovresti sapere, Benjamin, che il dramma di una zia è di non svegliarsi mai mamma.

Il dolore scavato da quelli che se ne vanno prepara il nido per quelli che arrivano nel cuore di quelli che sperano. Altrimenti la giostra avrebbe smesso di girare da un pezzo.

Eh sì, la verità non sta ad alta quota, ma in basso, in una tana. Bisogna scendere, bisogna scavare.

A nascere son buoni tutti! Persino io sono nato! Ma poi bisogna divenire! divenire! crescere, aumentare, svilupparsi, ingrossare (senza gonfiare), accettare i mutamenti (ma non le mutazioni), maturare (senza avvizzire), evolvere (e valutare), progredire (senza rimbambire), durare (senza vegetare), invecchiare (senza troppo ringiovanire), e morire senza protestare, per finire… un programma enorme, una vigilanza continua… perché a ogni età l’età si ribella contro l’età, sai! E se fosse solo questione di età… ma c’è anche il contesto!

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La prosivendola (La Petite Marchande de prose, 1989)

Il peggio, nel peggio, è l’attesa del peggio – Le pire dans le pire, c’est l’attente du pire.

Gli angeli sono creature di vapore e di schiuma, non hanno mani, non hanno piedi, hanno solo un sorriso incerto con del bianco attorno.

La vendetta è il territorio infinito delle conseguenze indesiderate, Julie. Tuo padre governatore non te l’ha spiegato abbastanza? Il trattato di Versailles ha prodotto dei tedeschi vessati che hanno prodotto degli ebrei erranti che fabbricano dei palestinesi erranti che fabbricano delle vedove incinte dei vendicatori di domani.

Dico che a qualsiasi età, l’età è la carognata massima: l’infanzia, età delle tonsille e della dipendenza totale; l’adolescenza, età dell’onanismo e degli interrogativi vani; la maturità, età del cancro e della coglionaggine trionfante; la vecchiaia, età dell’artrite e dei rimpianti inefficaci.

Ma c’è qualcosa di peggio dell’imprevisto, le certezze!

La vita è una lunga agonia dopo la morte dell’amore.

Mi stia a sentire, Malaussene, l’ho assunta come capro espiatorio perché si beccasse le piazzate al posto mio, perché subisse le grane con in piantino al momento giusto, perché risolvesse l’irrisolvibile spalancando le sue braccia di martire, in poche parole, perché lei si facesse carico. E lei si fa carico in modo straordinario!”

La compassione, ragazzo mio, la compassione! Lei ha un vizio raro: compatisce.

– Ha violentato una bambina. E sai cos’ha fatto la bambina, Loussa? -No. -L’ha minacciato con un dito. -Tutto qua? -Secondo te cosa può fare di più una bambina? -Non lo so. -Si è impiccata.

La morte è un processo rettilineo. C’è della lentezza nella parola “processo”, una lentezza fatale, il destino insomma, il fatto che ci dobbiamo passare tutti, anche quelli che corrono più in fretta, ma questa lentezza è controbilanciata dall’aggettivo “rettilineo” che dà rapidità alla frase… lentezza rapida…

Curiosa immagine, il nido, per una casa editrice. Un editore è una faccenda di corridoi, angoli, livelli, sotterranei e soffitte, l’inestricabile alambicco della creazione: l’autore arriva dall’atrio tutto fremente di idee nuove, ed esce in volumi, da una magazzino, cattedrale derattizzata della periferia.

Ed ecco che in più Julie sa cucinare. Dettaglio superfluo? Col cavolo: tutti i giornali femminili ve lo confermeranno, la felicità è una ricetta di cucina.

Non ho inventato nemmeno uno stereotipo, li ho presi tutti dal mio pubblico! Ogni mio personaggio è il sogno ricorrente di ogni mio lettore… ecco perché i miei libri si moltiplicano come i pani del Vangelo!

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Storia di un corpo (Journal d’un corps, 2012)

Piangendo si fa molta più acqua che pisciando, ci si pulisce infinitamente meglio che tuffandosi nel lago più puro, si posa il fardello dello spirito sul marciapiede del binario d’arrivo.

Muori, colpevole di aver inquinato il pianeta, mangiato porcherie, subìto i tempi senza cambiarli, chiuso a tal punto gli occhi davanti al problema della salute universale da trascurare persino la tua, di salute.

Non siamo dei proiettili a caduta morbida, siamo cannonate di coscienza lanciate sulla china sempre più scoscesa della vita.

L’uomo nasce nell’iperrealismo per dilatarsi pian piano fino a un puntinismo alquanto approssimativo per poi disperdersi in una polvere di astrattismo.

I nostri sentimenti per le persone influenzano le nostre papille gustative?

Più lo si analizza, questo corpo moderno, più lo si esibisce, meno esso esiste.

La nostra voce è la musica che fa il vento quando ci attraversa il corpo.

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Signori bambini (Messieurs les enfants, 1997)

Una camera di bambino da sistemare, è una vita da costruire – Une chambre d’enfant à ranger, c’est une vie à construire.

La verità non è sui giornali! La verità non è nel vostro televisore. La verità non è neppure in quello che dice la gente intorno a voi.

Detesto gli uomini sporchi sotto i vestiti puliti.

I bambini sono enigmi luminosi.

Quel che complica tutto è che la maggior parte dei bambini fanno i bambini, e quasi tutti gli adulti giocano agli adulti. E’ una cosa molto difficile da valutare, l’età.

Darei qualcosa, mi sentite, assolutamente qualsiasi cosa, per fare mio solo un secondo della vostra infanzia! Provarne la gioia imbecille! L’ignoranza così piena! I dispiaceri ottusi! La propensione alle passioni a ripetizione, ai rinnegamenti fulminei, all’oblio a comando, alla cicatrizzazione immediata! La sbalorditiva assenza di motivazioni! L’ebbrezza del presente! La coscienza puramente digestiva! Darei qualsiasi cosa per essere stupido, un istante, come un bambino! Godere appieno di questa stupidità.

I bambini cominciano tutti con la metafisica, gli adolescenti continuano con la morale, e noi adulti finiamo con la logica e la contabilità.

L’amore è una somma di piccoli atti che raccontano in silenzio una storia precaria.

I bambini se ne fregano delle cause. Quello che gli interessa è solo lo scopo.

Il dolore più autentico si difende da se stesso elaborando frasi. Forse è proprio questa la necessità letteraria… questo bisogno vitale di scrivere su… altrimenti non resterebbe che morire insieme ai morti.

Sono in molti in queste condizioni: amputati della loro infanzia, spinti prematuramente alla corsa delle ambizioni, programmati sin dall’ovulo, operativi da subito, professionali dalla culla, li troviamo a capo dei Governi, delle Gigantesche Imprese, dei Laboratori monumentali, delle Banche Mondiali di questo, dei Fondi Monetari di quello, Amministratori di Astrazioni, Grandi Faccendieri di Risorse Umane, per nulla emotivi e che se ne vantano!

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Diario di scuola (Chagrin d’école, 2007)

Forse è questo insegnare: fare in modo che a ogni lezione scocchi l’ora del risveglio – Enseigner, c’est faire en sorte que chaque cours sonne l’heure du réveil.

Ho sempre pensato che la scuola fosse fatta prima di tutto dagli insegnanti. In fondo, chi mi ha salvato dalla scuola se non tre o quattro insegnanti?

Nessuno è condannato a essere per sempre una nullità, come se avesse mangiato una mela avvelenata! Non siamo in una fiaba, vittime di un incantesimo!
Forse è questo insegnare: farla finita con il pensiero magico, fare in modo che a ogni lezione scocchi l’ora del risveglio.

Tutto il male che si dice della scuola fa dimenticare il numero di bambini che ha salvato dalle tare, dai pregiudizi, dall’ottusità, dall’ignoranza, dalla stupidità, dalla cupidigia, dall’immobilità o dal fatalismo delle famiglie.

I nostri studenti che “vanno male” (studenti ritenuti senza avvenire) non vengono mai soli a scuola. in classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso di futuro precluso.

Perché agli occhi di alcuni vecchi rimbambiti la memoria era più un muscolo da allenare che una biblioteca da arricchire?

Siete tutti uguali voi prof! Quello che vi manca sono dei corsi di ignoranza! Vi fanno esami e concorsi di ogni genere sulle vostre conoscenze acquisite, quando la vostra prima qualità dovrebbe essere la capacità di immaginare la condizione di colui che ignora tutto ciò che voi sapete!

E non è poco un anno di scuola andato in malora: è l’eternità in un barattolo.

Le parole del professore sono solo tronchi galleggianti cui lo studente che va male si aggrappa in un fiume dove la corrente lo trascina verso le cascate

Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica. Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini

la scuola pubblica rimane oggi l’ultimo luogo della società di mercato in cui il bambino cliente debba pagare di persona, piegarsi al do ut des: sapere in cambio di studio, conoscenze in cambio di sforzi, accesso all’universalità in cambio dell’esercizio solitario della riflessione, una vaga promessa di futuro in cambio di una piena presenza in classe, ecco ciò che la scuola esige da lui.

Statisticamente tutto si spiega, personalmente tutto si complica.

In ogni caso, sì, la paura fu proprio la costante di tutta la mia carriera scolastica: il suo chiavistello. E quando divenni insegnante la mia priorità fu alleviare la paura dei miei allievi peggiori per far saltare quel chiavistello, affinché il sapere avesse una possibilità di passare.

E perché non imparare questi testi a memoria? In nome di che cosa non appropriarsi della letteratura? Forse perché non si fa più da tanto tempo? Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo perché non è più stagione? È davvero auspicabile non trattenere simili incontri? Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il resto della vita a morderci la mani per averli lasciati scappare via? Perché condannarci a conservarne solo una traccia che sbiadirà fino a essere solo il ricordo di una traccia..

Sì, è la prerogativa dei somari, raccontarsi ininterrottamente la storia della loro somaraggine: faccio schifo, non ce la farò mai, non vale neanche la pena provarci, tanto lo so che vado male, ve l’avevo detto, la scuola non fa per me… La scuola appare loro un club molto esclusivo di cui si vietano da soli l’accesso. Con l’aiuto di alcuni professori, a volte.

La solitudine e il senso di vergogna del ragazzo che non capisce, perso in un mondo in cui gli altri capiscono.
Solo noi possiamo tirarlo fuori da quella prigione, formati o meno per farlo.

Quale che sia la materia insegnata, un professore scopre ben presto che, a ogni domanda posta, lo studente interrogato ha a disposizione tre risposte possibili: quella giusta, quella sbagliata, quella assurda. Io stesso ho abbondantemente abusato di quella assurda durante i miei anni di scuola…
Uno dei malintesi della mia carriera scolastica era che i miei insegnanti valutavano come sbagliate le mie risposte assurde…

Non c’è nulla che vada come previsto, è l’unica cosa che ci insegna il futuro quando diventa passato.

Qui siamo alla scuola elementare, alla scuola media, alle superiori, non in un centro commerciale: non si esaudiscono desideri superficiali tramite regali, si soddisfano necessità fondamentali tramite obblighi.

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Il paradiso degli orchi (Au bonheur des ogres, 1985)

Vede, il Capro Espiatorio non è solo quello che, all’occorrenza paga per gli altri. È soprattutto, e anzitutto, un principio esplicativo, signor Malaussène

Quale istinto ci dice che un orologio è fermo, anche se segna l’ora giusta? (XXII; p. 112)

L’umorismo, irriducibile espressione dell’etica.

Toglietemi il mondo dalle orecchie, mi piacerà. Tappatemi gli occhi, morirò.

Si fotte al passato o al futuro, si commemora o si costruisce, ci si perpetua o ci si moltiplica, ma nessuno si occupa di se stesso.

In poesia i silenzi hanno lo stesso ruolo che in musica. Sono una respirazione, ma sono anche l’ombra delle parole, o il loro riflesso, dipende. Per non parlare dei silenzi annunciatori. Ci sono infiniti tipi di silenzi, Clara. Per esempio, prima che tu ti mettessi a recitare, stavi fotografando il gatto bianco sulla tomba di Victor Noir. Supponi che dopo che avrai recitato noi tacciamo. Sarà forse lo stesso silenzio?

Gli orari della vita dovrebbero prevedere un momento, un momento preciso della giornata, in cui ci si potrebbe impietosire sulla propria sorte. Un momento specifico. Un momento che non sia occupato né dal lavoro, né dal mangiare, né dalla digestione, un momento perfettamente libero, una spiaggia deserta in cui si potrebbe starsene tranquilli a misurare l’ampiezza del disastro.