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Le frasi più belle di Roberto Vecchioni

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Roberto Vecchioni (Carate Brianza, 25 giugno 1943), è considerato uno dei più importanti cantautori italiani.

Per le sue canzoni, ha vinto i quattro premi più importanti della musica italiana: il Premio Tenco nel 1983, il Festivalbar nel 1992, il Festival di Sanremo e il Premio Mia Martini della critica nel 2011. Nonostante il suo successo da cantautore, Roberto Vecchioni ha continuato a svolgere la professione di docente di greco e latino nei licei, fino alla pensione

Presento una raccolta delle frasi più belle di Roberto Vecchioni. Tra i temi correlati si veda Le frasi più belle di Fabrizio De André, Le frasi più belle di Francesco Guccini e Le frasi più belle di Giorgio Gaber.

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Le frasi più belle di Roberto Vecchioni

Dai bagliori di scena
dai versi di un poema
Ridotta a questa sorte
parola amore mio
Chi t’ha ferita a morte?
(Parola)

Guardami: ti lascio un fiore
d’immaginari sorrisi.
(Il cielo capovolto)

E ti diranno parole rosse come il sangue
Nere come la notte
Ma non è vero, ragazzo
Che la ragione sta sempre col più forte
Io conosco poeti
Che spostano i fiumi con il pensiero
E naviganti infiniti
Che sanno parlare con il cielo
(da Sogna ragazzo sogna)

Chiudi gli occhi, ragazzo
E credi solo a quel che vedi dentro
Stringi i pugni, ragazzo
Non lasciargliela vinta neanche un momento
Copri l’amore, ragazzo
Ma non nasconderlo sotto il mantello
A volte passa qualcuno
A volte c’è qualcuno che deve vederlo
(da Sogna ragazzo sogna)

Sogna, ragazzo sogna
non cambiare un verso della tua canzone,
non lasciare un treno fermo alla stazione,
non fermarti tu…
(da Sogna ragazzo sogna)

Lasciali dire che al mondo
quelli come te perderanno sempre
perché hai già vinto, lo giuro,
e non ti possono fare più niente.
(da Sogna ragazzo sogna)

Su un viso di donna, passaci le dita
nessun regno è più grande
di questa piccola cosa che è la vita.
(da Sogna ragazzo sogna)

E la vita è così forte
che attraversa i muri per farsi vedere.
La vita è così vera
che sembra impossibile doverla lasciare.
La vita è così grande
che quando sarai sul punto di morire,
pianterai un ulivo
convinto ancora di vederlo fiorire.
(da Sogna ragazzo sogna)

Sogna, ragazzo, sogna,
ti ho lasciato un foglio
sulla scrivania,
manca solo un verso
a quella poesia,
puoi finirla tu.
(da Sogna ragazzo sogna)

E allora adesso sbrigati,
fammi vedere tu,
come si fa per non pensarti
mai più.
(da Fammi vedere tu)

Stavolta parto davvero
con un vento leggero
che mi soffia alle spalle.
Tu dormi bene il tuo sonno
dove vado lo sanno
solo le stelle.
(da La Città senza donne)

E non si è soli quando un altro ti ha lasciato
si è soli se qualcuno
non è mai venuto
però scendendo perdo i pezzi sulle scale
e chi ci passa su
non sa di farmi male
(da L’ultimo spettacolo)

Ridere, ridere, ridere ancora,
Ora la guerra paura non fa,
Brucian nel fuoco le divise la sera,
Brucia nella gola vino a sazietà,
Musica di tamburelli fino all’aurora
Il soldato che tutta la notte ballò.
(da Samarcanda)

Per il poeta che non può cantare
Per l’operaio che ha perso il suo lavoro
Per chi ha vent’anni e se ne sta a morire
In un deserto come in un porcile
E per tutti i ragazzi e le ragazze
Che difendono un libro, un libro vero
Così belli a gridare nelle piazze
Perché stanno uccidendo il pensiero
Per il bastardo che sta sempre al sole
Per il vigliacco che nasconde il cuore
Per la nostra memoria gettata al vento
Da questi signori del dolore
(da Chiamami ancora amore)

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
Tra il silenzio e il tuono
Difendi questa umanità
Anche restasse un solo uomo.
(da Chiamami ancora amore)

Perché le idee sono come farfalle
che non puoi togliergli le ali,
perché le idee sono come le stelle
che non le spengono i temporali,
perché le idee sono voci di madre
che credevamo di avere perso,
e sono come il sorriso di Dio
in questo sputo di universo.
(da Chiamami ancora amore)

E costruì un delirante universo
senza amore,
dove tutte le cose
hanno stanchezza di esistere
e spalancato dolore.
Ma gli sfuggì che il senso delle stelle
non è quello di un uomo,
e si rivide nella pena
di quel brillare inutile,
di quel brillare lontano…
(da Le lettere d’amore)

E capì tardi che dentro
quel negozio di tabaccheria
c’era più vita di quanta ce ne fosse
in tutta la sua poesia
e che invece di continuare a tormentarsi
con un mondo assurdo
basterebbe toccare il corpo di una donna,
rispondere a uno sguardo…
(da Le lettere d’amore)

E scrivere d’amore,
e scrivere d’amore,
anche se si fa ridere
anche quando la guardi,
anche mentre la perdi
quello che conta è scrivere
e non aver paura,
non aver mai paura
di essere ridicoli:
solo chi non ha scritto mai
lettere d’amore
fa veramente ridere
(da Le lettere d’amore)

Se potessi ritornare indietro
non perderei
il tempo a piangere tramonti
a udire fiori
a sbirciare alle spalle
i miei amori perduti.
(da Se tornassi indietro)

Se potessi ritornare indietro
non mi direi che il tempo vola via.
Nel sogno fragile di un vetro
mi specchierei e riderei di più.
(da Se tornassi indietro)

Se tornassi indietro spenderei
questa mia vita insieme a voi,
la ballerei e non la sprecherei
in grandi idee,
soltanto
gli istanti
di vento
rivivrei con voi, con voi
e l’amerei
come non l’ho amata mai.
(da Se tornassi indietro)

In questa notte seminata di nuvole
che non una luce trema,
ogni domanda è la risposta a una domanda
della risposta prima;
ogni ritorno è una falsa partenza,
l’illusione di un movimento,
come questo bagno di lacrime
che non ho pianto.
(da Canto notturno di un pastore errante dell’aria)

Io ti amo:
ho paura ogni istante che abbiamo;
ho paura di averti di meno;
come un cieco ti ho dato la mano;
non lasciarmela, portami via, via, via.
(da Canto notturno di un pastore errante dell’aria)

Luci a San Siro di quella sera
che c’è di strano siamo stati tutti là,
ricordi il gioco dentro la nebbia?
Tu ti nascondi e se ti trovo ti amo là.
(da Luci a San Siro)

Milano mia portami via, fa tanto freddo,
ho schifo e non ne posso più,
facciamo un cambio prenditi pure
quel po’ di soldi quel po’ di celebrità
ma dammi indietro la mia seicento,
i miei vent’anni e una ragazza che tu sai
Milano scusa stavo scherzando,
luci a San Siro non ne accenderanno più.
(da Luci a San Siro)

Erano tempi erano bei tempi
erano tempi di parole che correvano da sole
ed era veramente amore.
(da Bei tempi)

E mi manchi, mi manchi, e mi manchi
Ma finché canto ti ho davanti
Gli anni sono solo dei momenti
Tu sei sempre stata qui davanti.
(da Mi manchi)

E il tempo non s’innamora due volte di uno stesso uomo.
(da La stazione di Zima)

Più bello di averti
è quando ti disegno
niente ha più realtà del sogno.
(da Per amore mio)

E i sogni, i sogni,
i sogni vengono dal mare,
per tutti quelli
che han sempre scelto di sbagliare,
perché, perché vincere significa “accettare”
(da Figlia)

E figlia, figlia,
non voglio che tu sia felice,
ma sempre “contro”,
finché ti lasciano la voce;
vorranno
la foto col sorriso deficiente,
diranno:
“Non ti agitare, che non serve a niente”,
e invece tu grida forte,
la vita contro la morte.
(da Figlia)

Hai ragione forse sono solo
ho comprato il cielo ma non volo
sono piccolo come un bambino
puoi tenermi tutto in una mano
Io vorrei
rivederti per fare l’amore
non sognarti
quando il sogno comincia a finire
(da Vorrei)

Io vorrei
fare il cambio con te per scoprire
tu chi sei
ed accorgermi che siamo uguali
E vorrei contare i tuoi capelli
fino all’ultimo senza sbagliare
e alla fine
dire che son belli
e confonderli e ricominciare
(da Vorrei)

E i nostri figli se ne andranno per il mondo
Come fogli di carta
Sopra lunghi stivali silenziosi
E li avremo già persi
Ed una incontrerà tutti quelli
Che io sono già stato
E ci farà l’amore
(da Dentro gli occhi)

Chiudi gli occhi che ho sonno
Son vent’anni che guardo
E che non dormo
(da Dentro gli occhi)

Signor giudice noi siamo quel che siamo
Ma l’ala di un gabbiano può far volar lontano
Signor giudice qui il tempo scorre piano
Ma noi che l’adoriamo col tempo ci giochiamo
L’ombra sul muro non è una ragazza
Però ci fai l’amore per abitudine
(da Signor Giudice – Un Signore Così Così)

Amore mio
Che sogni
Amore ballerino
Tu corri sopra il filo
Ed io cammino
Legato al tuo sorriso
(da La mia ragazza)

E ti ho baciato sul sorriso per non farti male
e ti ho sparato sulla bocca invece di baciarti
perché non fosse troppo lungo il tempo di lasciarti.
Forse non lo sai ma pure questo è amore.
(da Stranamore – pure questo è amore)

Quando il vento ha il suono di una voce dentro l’alber
La luna fa sognare
Io da grande sarò
Come Robinson Robinson Robinson
(da Robinson)

I poeti son vecchi signori
che mangian le stelle
distesi sui prati
delle loro ville,
e s’inventano zingare e more
per farsi credibili agli occhi del mondo
col loro dolore.
(da I poeti)

Io non appartengo al tempo del delirio digitale,
del pensiero orizzontale,
di democrazia totale.
Appartengo a un altro tempo scritto sopra le mie dita,
con i segni di chitarra che mi rigano la vita.
Io l’ho vista la bellezza e ce l’ho stampata in cuore,
(da Io non appartengo più)

Io non appartengo a un tempo che non mi ha insegnato niente
tranne che puoi esser uomo ma non diventare gente.
(da Io non appartengo più)

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Il libraio di Selinunte (Einaudi, 2004)

Tutte le parole scritte dagli uomini sono forsennato amore non corrisposto; sono un diario frettoloso e incerto che dobbiamo riempire di corsa, perché tempo ce n’è poco. Un immenso diario che teniamo per Dio, per non recarci a mani vuote all’appuntamento.

Eccoci lì, macchine in un grande garage ordinato e pulito, dove ogni manovra d’entrata, uscita, sosta, parcheggio, precedenza, è stata così precisamente organizzata che non dobbiamo più chiederci quale sia il nostro posto, il nostro percorso, il nostro box.
Ma forse non siamo in un box. Forse questo mondo non è nato per essere un garage. Forse questo posto è stato pensato come un parco giochi o una stazione ferroviaria di treni a orari imprevedibili.

La mia città non si chiama Selinunte, anzi non si chiama proprio. Si chiamava così una volta, quando alle cose corrispondevano i nomi. Oggi qui non si comunica più a parole, ma a codici; a volte semplici, a volte complessi, fatti di segni mischiati a segni.

La più grande bellezza e l’infima bruttezza partecipano del mistero. C’è negli antipodi, nel contrasto assurdo, nel diverso in natura come un filo che se lo tiri ti fa sentire vicino a una verità che le cose di tutti i giorni nemmeno sfiorano. C’è nel lampo e nel tuono una forza che manca alla giornata serena; c’è nella febbre, nell’incubo notturno, perfino in una sbornia, un indefinibile attimo di chiarezza, di certezza improvvisa. Quando qualche cosa sconvolge ci dice molto di più di quel che siamo abituati a sentire. L’inspiegabile, l’unico, arriva come a scuoterti, svegliarti da un sonno di ordinarie, concilianti abitudini

Ma così è la disperazione, come una preghiera senza destinatario.

Niente si muove, né al di qua, né al di là, né dentro di me. Ed è in quei momenti che me ne accorgo: niente vive cosi intensamente come il tempo fermo; perché non sono le persone che corrono, gli oggetti che cadono, le voci che risuonano, a fare la vita: quelle sono imitazioni inesatte della vita.

Bellezza è questo vestito che ti senti cucito addosso, soffice, caldo, indistruttibile, fra tanti altri che mancano sempre di qualcosa.

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Scacco a Dio (Einaudi, 2009)

– Non esiste ingiustizia divina, – replicò Wilde. – Quel che riteniamo ingiusto è solo il nostro amor proprio offeso. Solo gli uomini sbagliano, e in due modi: ritenere gli altri peggio di sé e ritenere se stessi, sempre e comunque, al di sopra degli altri.
– Dio – controbatté Gide – è il passatempo preferito della nostra mediocrità: una personalità che supplisca a quella che non abbiamo.

A volte la vita prende le sembianze di un sogno e devi ricominciare tutto da capo come un neonato stupito e incredulo di non trovare la mammella della madre.

Tutto a questo mondo si può cambiare, imparare, tranne il genio, l’estro. O ce l’hai o non ce l’hai. Il genio è come un marchio inconfondibile, ognuno si porta sulla pelle e nelle viscere il suo, che è suo e basta. Non puoi mutarlo, non puoi snaturarlo, perché se ci provi, inaridisce e muore, e tu con lui.

Gli uomini cantano quando le parole non bastano, quando non riescono a dirle, forse perché da sole sarebbero persino ridicole.

Non ti è mai venuto il sospetto che l’errore imprevisto, inimmaginabile, sia proprio la prova della mia esistenza?
Se le vicende degli uomini rispondessero sempre a una concatenazione mai disillusa di cause ed effetti, ciò dimostrerebbe che il mondo è regolato solo ed esclusivamente dalla meccanica della materia, dalla sua fisica, dalla sua chimica, ogni atto non potrebbe essere che la conseguenza di una precisa premessa: non spunterebbero, dietro la curva, camion contromano; non esisterebbero malattie inguaribili; non finirebbe, da un giorno all’altro, un grande amore. Un mondo perfetto dimostrerebbe l’inutilità di Dio, ne negherebbe l’esistenza

Cos’è la mia poesia? Né il martello di un fabbro, né la striglia di uno stalliere. Consolano di più una carezza, un bacio, un abbraccio, una parola detta, viva, che non questo vaneggiare per versi: vuoi mettere una cena tra amici con una elegia?

L’attore è un uomo finto che dice cose vere con parole finte o un uomo vero che dice cose finte con parole vere?

La salvezza non è nella fede, troppo facile caro Agostino, la salvezza è nel dubbio. La fede è come osservare una lastra riuscita male e vedere nella vaghezza delle ombre un volto nitido che non c’è: il dubbio è non guardarla nemmeno, la foto, e andar a cercare la persona del ritratto per vederla dal vero.

Ho accessi d’ira feroce e rabbia e voltastomaco. M’inalbero non per le grandi ingiustizie che nemmeno conosco, ma per l’imbecillità spicciola e quotidiana, per l’ignavia, e l’ipocrisia umana, sono scontento, sono disilluso, sono contro.

Sembra quasi che lo facciano per farmi dispetto, gli uomini: arrivati a un certo punto è come se s’incidessero un’altra linea della vita sulla mano. No, non parlo di peccati, quelli son minuzie: dico il corso del loro destino. È come se in un’immaginaria scacchiera non accettassero più le diagonali di un alfiere, i salti di un cavallo, le rette di una torre. E spacciano questa falsa libertà per uno scacco a me, uno scacco a Dio. Ecco cosa mi tormenta e cosa voglio capire: dove ho sbagliato?

I poeti non sono come lei immagina, non confondono il sogno con la realtà: i poeti guardano il mondo, sono nel mondo. Si aggirano in questi acquitrini, in queste paludes e vanno oltre per non caderci dentro.

Non piango, non so piangere, non ho mai imparato a farlo. Non conosco la commozione, solo il rimpianto e lo struggimento: conosco il fastidio e la noia, l’assenza e il rifiuto. Ho un groppo in gola, qui, adesso, ma non ci provo nemmeno a versar lacrime, perché se dovessi farlo una volta non la smetterei più per tutti i giorni che mi restano.

Devo chiedere una cosa a Dio.
– Ma se sei ateo!
– Essere ateo non significa che lui non c’è, ma solo che non ci credi.

Può un cavallo essere felice? Può. A voi uomini sembra impossibile, perché non potete leggerci dentro. Ma noi non abbiamo ieri e domani, noi abbiamo solo il momento che resta e non passa, quel che è stato non conta, quel che sarà non c’è: ogni frammento, ogni giorno fa parte a sé: ogni giorno di gioia è come eterno ed è quello il nostro segreto.
A voi uomini sembra impossibile, perché non conoscete la felicità.

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Il mercante di luce (Einaudi, 2014)

Vivere è una maledetta indecente disillusione, è prestare il fianco a domande senza fine.

Doveva lasciargli un dono, il più grande possibile…
E il dono è l’orgoglio di essere uomini e di vivere in questa rivelazione; perché non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro, senza rimpiangere e senza piangere.
Ogni armonia è una conquista.

Il cuore si abitua a ogni cosa, perché non esiste la felicità assoluta e se ne possiamo avere un quarto, una metà soltanto, quella metà, quel quarto sono un tutto.

Il destino è un fiume sotterraneo che scorre parallelo alla vita: ogni tanto emerge e allora ci sommerge e ci chiediamo «ma perché proprio a me?»: oh, sí, solo a te, perché quel fiume è il tuo, e c’era anche quando non lo vedevi.

Perché questo è la notte: una moltiplicazione del giorno; durante il giorno rimuovi attimi che non hai il tempo di collocare, decifrare, ma la notte è lì, assassina, a riproporteli, a slargarli, a ingigantirli, e così la gioia, la speranza, la stanchezza trovano una coltre, un rifugio, ma l’ansia, l’insulto, l’ora di un addio figliano fino all’estremo: il dolore non ha silenzi.

Tutta quella velocità gli sembrava inutile, fuori luogo. Si corre per risolvere: superi il traguardo e manco te ne accorgi, perché il giorno dopo ricominci. Ma in realtà si gira a piedi intorno a una rotonda, ecco cosa.

Lui è il mercante di luce e il suo prezzo è il mio cuore che sussulta, sono le lacrime di avere capito e di aver amato.

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La vita che si ama (Einaudi, 2016)

La felicità non si definisce, c’è, c’è sempre, e non solo negli attimi che sconvolgono il cuore, ma nella consapevolezza sognante e progressiva dell’esserci e non subirla, la vita.
Si annuncia a lampi accecanti e fuggitivi, ma poi è lì, nella pioggia estiva, sottile, che non ti copre, che vuoi prenderla tutta, testa al cielo.

Ogni canzone, ogni film, ogni poesia, quadro, poema che vedrete, sentirete, leggerete, lo vedrete, sentirete, leggerete per l’ultima volta. Oh certo, potrete riascoltare, rileggere, rivedere: il film è quello, quello il poema.
Siete voi a vederlo e sentirlo, anche impercettibilmente, in altro modo.
Infinitesimi gli scarti del cuore, che non solo dividono ma fanno diverso il mondo: voi sarete altri anche un minuto dopo.

La felicità non è un angolo acuto della vita o un logaritmo incalcolabile o la quadratura del cerchio: la felicità è la geometria stessa.

Mentiva Epicuro. Non si è felici nell’imperturbabilità, ma nell’attraversamento del vento e della tempesta.

Il boato, il picco d’intensità, non è che uno sgraffio, e pare che bruci di sole, ma la felicità non è lì, sta nel silenzio che segue, nella lingua nota di quiete dove danzano punti di luce da afferrare e mettere insieme, a farne figure. E allora non basta che accada, dobbiamo anche farla accadere e saperla cogliere dove s’acquatta, nella tristezza come presagio di un altro orizzonte, e soprattutto nella gioia che non si appunta all’anima, ma scivola e scivola: e allora tirarla, fletterla come un elastico perché si allarghi, quella gioia, si estenda di qua e di là, perché non diventi, appena passata, solo un ricordo.

l tresette a due è il gioco che più assomiglia alla vita.
Le carte che hai sono te, nel meglio e nel peggio, le chances e i buchi neri che il destino ti ha messo dentro alla nascita: da quelle parti, da lì devi sapere subito se giocartele con gli ori del successo, i bastoni della perseveranza, le spade del rischio, le coppe del lascia perdere. Ma è solo quel che hai alla nascita, perché carta dopo carta che pescherai dal mazzo, il gioco potrà darti ragione o sconvolgerti, cioè cambiarti la vita.

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Interviste varie

L’italiano, tra non molto, sarà la più bella tra le lingue morte.

L’amore è il rispetto intellettuale per chi hai vicino. Dobbiamo amare l’altro, non il nostro riflesso nell’altro.

Il mio, più che ottimismo, è una visione chiara della vita. L’ottimista pensa “tutto passerà, il dolore non conta”. Non è così: il dolore conta, però in questa visione tutto ha una ragione d’essere.

Senza la cultura siamo campati in aria, è come stare al sesto piano di un palazzo senza altri piani sotto, incapaci di capire ciò che succede.

La parola è una magia, è come una creatura: ha fatto una strada impervia, da 10mila anni prima di Cristo a oggi. Ogni parola ha un significato. Se ci mancano le parole il pensiero si atrofizza.

Io ho finito di essere malinconico verso i 50 anni.

La canzone d’autore è colta e profonda, ma popolare, deve arrivare. Anche non subito: l’incomprensibilità permette a volte di svegliare qualcosa in chi ascolta. Questo sforzo è importantissimo, perché il brano deve essere pregnante, suggerire, aprire, far vedere qualcosa che non vedevamo. La canzone d’autore è la maniera più rapida per arrivare alla potenza della poesia.

Cantore, è quello che riesce a dare risposte che attraversano lo spazio e il tempo. Omero era un cantore. Per me oggi lo è stato sicuramente Fabrizio De André, lo è Bob Dylan, che infatti ha vinto giustamente il Nobel.

Questo deve dare la scuola: il senso, il significato. Non solo Umanismo, ovvero essere usati o semplicemente aiutati dalla scienza, ma anche Umanesimo, cioè capire il senso, avere il fine.

Se vostro figlio torna a casa e dice di essere stravolto, non credetegli, non esistono insegnanti che li stravolgono.

Alla scuola chiederei innanzi tutto di insegnare che cosa è bello, di divulgare l’armonia, di spiegare il senso dei valori.

Si va a scuola per diventare una persona.

Le parole non sono fiato, evanescenza, convenzione. Le parole sono «cose». Niente esiste se non ha nome, perché siamo noi a far esistere il mondo.

Oggi i ragazzi hanno sempre più un bagaglio tecnico notevole, ma quando si trovano di fronte a Kandinsky, Picasso, a certo pensiero laterale del Novecento che va oltre la misura quadrata della razionalità, si perdono.

Quando insegnavo, molte volte uscivamo dalla classe: le chiamavamo ‘Ore di follia’. Andavamo al parco, camminavamo, un po’ alla peripatetica, e partivamo da un tema, che so: le stelle. Quali autori hanno parlato delle stelle? E dal punto di vista scientifico? E poi: tu che cosa diresti sulle stelle? Inventati qualcosa in questo momento. Ognuno poteva dire la sua. Questo esercizio secondo me serve tantissimo: esula dalla norma, è creativo e ai ragazzi piaceva moltissimo.

Credo che ogni cosa che avviene nel mondo, anche ciò che sembra apparentemente inspiegabile, è un millimetro del metro di Dio.

Sento Dio dentro di me in maniera molto forte. Direi che a parte alcune schermaglie oggi con Lui sono in un buon momento.

Credo che Dio agisca dietro le quinte, non impedendo mai la libertà degli esseri umani, non costringendo nessuno a fare cose contro la propria volontà.

In questo momento non mi preoccupa né soffrire né morire, mi preoccupa soltanto trovare un muro di incomprensione e di ignoranza davanti. L’egoismo mi fa paura