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Edmondo De Amicis (Oneglia, 21 ottobre 1846 – Bordighera, 11 marzo 1908) è conosciuto per essere l’autore del romanzo Cuore, uno dei testi più popolari della letteratura mondiale per ragazzi.
Cuore venne pubblicato per la prima volta nel 1886 e rese Edmondo De Amicis lo scrittore più letto d’Italia. Il libro ha la forma di un diario fittizio di un ragazzo di terza elementare che racconta lo svolgersi del proprio anno scolastico 1881-1882 dal 17 ottobre al 10 luglio.
Presento una raccolta delle frasi più belle di Edmondo De Amicis. Tra i temi correlati si veda Le frasi più belle di Pinocchio, Frasi, citazioni e aforismi di Alessandro Manzoni e Frasi, citazioni e aforismi di Giovanni Verga.
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Le frasi più belle di Edmondo De Amicis
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Cuore (1886)
Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesi di vacanza in campagna! Mia madre mi condusse questa mattina alla Sezione Baretti a farmi inscrivere per la terza elementare: io pensavo alla campagna e andavo di mala voglia.
Tutte le strade brulicavano di ragazzi; le due botteghe di libraio erano affollate di padri e di madri che compravano zaini, cartelle e quaderni, e davanti alla scuola s’accalcava tanta gente che il bidello e la guardia civica duravan fatica a tenere sgombra la porta. Vicino alla porta, mi sentii toccare una spalla: era il mio maestro della seconda, sempre allegro, coi suoi capelli rossi arruffati, che mi disse: – Dunque, Enrico, siamo separati per sempre?
E fra questi il tuo maestro è il primo, dopo i tuoi parenti.
Amalo come ameresti un mio fratello, amalo quando ti accarezza e quando ti rimprovera, quando è giusto e quando ti par che sia ingiusto, amalo quando è allegro e affabile, e amalo anche di più quando lo vedi triste.
Amalo sempre.
Pronuncia sempre con riverenza questo nome – maestro – che dopo quello di padre, è il più nobile, il più dolce nome che possa dare un uomo a un altro uomo.
E ha daccanto una faccia tosta e trista, uno che si chiama Franti, che fu già espulso da un’altra sezione
Mentre il maestro dava a Garrone la brutta copia del Tamburino sardo, il racconto mensile di gennaio, da trascrivere, egli gittò sul pavimento un petardo che scoppiò facendo rintronar la scuola come una fucilata. Tutta la classe ebbe un riscossone. Il maestro balzò in piedi e gridò: – Franti! fuori di scuola! – Egli rispose: – Non son io! – Ma rideva. Il maestro ripeté: – Va’ fuori! – Non mi muovo, – rispose
Il Direttore guardò fisso Franti, in mezzo al silenzio della classe, e gli disse con un accento da far tremare: – Franti, tu uccidi tua madre! – Tutti si voltarono a guardar Franti. E quell’infame sorrise.
L’educazione d’un popolo si giudica innanzi tutto dal contegno ch’egli tiene per la strada. Dove troverai la villania per le strade, troverai la villania nelle case.
Coraggio… piccolo soldato dell’immenso esercito. I tuoi libri sono le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana.
L’uomo che pratica una sola classe sociale, è come lo studioso che non legge altro che un libro.
Non vi lasciate entrare in corpo il serpe dell’invidia: è un serpe che rode il cervello e corrompe il cuore.
Immagina pure che ti siano destinati nella vita molti giorni terribili; il più terribile di tutti sarà il giorno in cui perderai tua madre.
Non sperar serenità nella tua vita, se avrai contristato tua madre.
O Enrico, bada: questo è il più sacro degli affetti umani, disgraziato chi lo calpesta. L’assassino che rispetta sua madre ha ancora qualcosa di onesto e di gentile nel cuore, il più glorioso degli uomini, che l’addolori e l’offenda, non è che una vile creatura.
Ecco il primo giorno. Ancora nove mesi. Quanti lavori, quanti esami mensili, quante fatiche! – Avevo proprio bisogno di trovar mia madre all’uscita, e corsi a baciarle la mano. Essa mi disse: – Coraggio, Enrico! Studieremo insieme. – E tornai a casa contento.
Dare la vita per il proprio paese, come il ragazzo lombardo, è una grande virtù; ma tu non trascurare le piccole virtù, figliuolo.
Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli.
Solo uno poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise.
I poveri amano l’elemosina dei ragazzi perché non li umilia, e perché i ragazzi che han bisogno di tutti, somigliano a loro… L’elemosina d’un uomo è un atto di carità: ma quella d’un fanciullo è insieme una carità e una carezza.
Ed io soggiunsi: – In un’ora che son stato con lui non ha pronunciato cinquanta parole, non m’ha mostrato un giocattolo, non ha riso una volta; eppure ci son stato volentieri. – E mio padre rispose: – È perché lo stimi.
Chi rispetta la bandiera da piccolo, la saprà difendere da grande.
La patria è una così grande e sacra cosa, che se un giorno io vedessi te tornar salvo da una battaglia combattuta per essa, salvo te, che sei la carne e l’anima mia, e sapessi che hai conservato la vita perché ti sei nascosto alla morte, io tuo padre, che t’accolgo con un grido di gioia quando torni dalla scuola, io t’accoglierei con un singhiozzo d’angoscia, e non potrei amarti mai più, e morirei con quel pugnale nel cuore.
Garibaldi fu maestro, marinaio, operaio, negoziante, soldato, generale, dittatore. Era grande, semplice e buono. Odiava tutti gli oppressori, amava tutti i popoli, proteggeva tutti i deboli; non aveva altra aspirazione che il bene, rifiutava gli onori, disprezzava la morte, adorava l’Italia.
Allora capirai che egli è sempre stato il tuo migliore amico, che quando era costretto a punirti, ne soffriva più di te, e che non t’ha mai fatto piangere che per farti del bene; e allora ti pentirai, e bacerai piangendo quel tavolino su cui ha tanto lavorato, su cui s’è logorata la vita per i suoi figliuoli. Ora non capisci: egli ti nasconde tutto di sé fuorché la sua bontà e il suo amore. Tu non lo sai che qualche volta egli è così affranto dalla fatica che crede di non aver più che pochi giorni da vivere, e che in quei momenti non parla che di te, non ha altro affanno in cuore che quello di lasciarti povero e senza protezione!
La tua parola irriverente m’è entrata nel cuore come una punta d’acciaio.
Primo d’aprile. Tre soli mesi ancora. Questa è stata una delle più belle mattinate dell’anno.
3 giugno. Domani è la festa nazionale. Oggi è un lutto nazionale. Ieri sera è morto Garibaldi. Sai chi era?
Addio. 10 luglio. Al tocco ci trovammo tutti per l’ultima volta alla scuola a sentire i risultati degli esami.
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Varie
Una casa senza libreria è una casa senza dignità, una città senza librai, un villaggio senza scuole, una lettera senza ortografia.
(Pagine sparse)
Il destino di molti uomini dipese dall’esserci stata o non esserci stata una biblioteca nella loro casa paterna.
(Pagine sparse)
Nel cuore delle donne non ci vede chiaro che l’esaminatore disinteressato.
(Amore e ginnastica)
Amo i tuoi mari splendidi e le tue Alpi sublimi, amo i tuoi monumenti solenni e le tue memorie immortali; amo la tua gloria e la tua bellezza.
Se di tutti gli affetti gentili e di tutte le azioni oneste e generose di cui andiamo superbi si potesse scoprire il primo e vero germe, noi lo scopriremmo quasi sempre nel cuore di nostra madre.
(La vita militare)
Una ragazza è sempre un mistero: non c’è che affidarsi al suo viso e all’ispirazione del proprio cuore.
(Amore e ginnastica)
L’amore dei libri è fonte, per sé solo, di mille piaceri vivissimi, piaceri della vista, del tatto, dell’odorato. Certi libri, si gode a palparli, a lisciarli, a sfogliarli, a fiutarli.
Il vino aggiunge un sorriso all’amicizia
ed una scintilla all’amore.
(Il vino)
Carnevale, giorno sempre triste per me che amo la quiete ed il silenzio.
(Il soldato Poggio)
Mia madre ha sessant’anni,
e più la guardo e più mi sembra bella.
(A mia madre)
Ah, se fossi pittore,
Farei tutta la vita il suo ritratto!
(A mia madre)
Tu avevi ieri una madre in terra: oggi hai un angelo altrove. Tutto ciò che è bene sopravvive, cresciuto di potenza, alla vita terrena. Quindi anche l’amore di tua madre. Essa t’ama ora più che mai.
(Morte di una madre)
Vanno, ignari di tutto, ove li porta
la fame, in terre ove altra gente è morta;
come il pezzente cieco o vagabondo
erra di porta in porta,
essi così vanno di mondo in mondo.
(Gli emigranti)
Piovete, baci, onnipotente arcana
melodia che accompagna e che consola
il pianto eterno della razza umana.
La vita per sé sola è un supplizio per noi, che non possiamo stare un’ora senza far nulla, senza distrarci, senza affannarci a cercare divertimenti? Abbiamo paura di noi stessi? Abbiamo qualche cosa dentro che ci tormenta?
(Marocco)
Nessuna città presenta una così disordinata varietà di forme, una così capricciosa mescolanza di bello, di brutto, di magnifico, di povero, di triste, di strano, di grande, di uggioso.
(Ricordi di Londra)
Che lezione di modestia è questo viaggiare!
(Ricordi di Londra)
Qual è dunque il più sicuro mezzo di arrivare alla rigenerazione delle classi povere? Io ne vedo uno soltanto che sia incontrastabile: l’istruzione, l’educazione!
(Ricordi di Londra)
Guai a chi viene a Parigi troppo giovane, senza uno scopo fermo, con la testa in tumulto e con le tasche vuote.
(Ricordi di Parigi)
Parigi non si vede mai per la prima volta; si rivede. Non ricorda nessuna città italiana; eppure non par straniera.
(Ricordi di Parigi)
Si riconoscono al primo sguardo mille piccole raffinatezze di comodità e d’eleganza, che rivelano un popolo pieno di bisogni e di capricci, per il quale il superfluo è più indispensabile del necessario e che gode la vita con un’arte ingegnosa.
(Ricordi di Parigi)
O divina Sicilia! Quanti Italiani, che hanno corso il mondo per diletto, morirono o moriranno senza averti veduta!
(Viaggio in Sicilia)
Frasi fatte. Come mai chi le rimastica non ci sente il rancidume che ammorba la bocca e vince lo stomaco?
(L’idioma gentile)