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Silvio Pellico (Saluzzo, 24 giugno 1789 – Torino, 31 gennaio 1854) è stato uno scrittore e patriota italiano, noto soprattutto come autore de Le mie prigioni, in cui Silvio Pellico descrive la sua esperienza di detenzione nel carcere dello Spielberg.
Le mie prigioni ebbe una grande diffusione non solo in Italia, ma anche in Europa, e il primo ministro austriaco Metternich affermò che il libro danneggiò l’immagine dell’Austria più di una battaglia persa.
Presento una raccolta delle frasi e citazioni più belle di Silvio Pellico, autore de Le mie prigioni. Tra i temi correlati Le frasi più celebri di Giuseppe Garibaldi, Frasi, citazioni e aforismi sull’Italia e gli italiani e Frasi, citazioni e aforismi sul carcere e la prigione.
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Le frasi e citazioni più belle di Silvio Pellico, autore de Le mie prigioni
Le mie prigioni, 1832
Il venerdì 13 ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano le tre pomeridiane. Mi si fece un lungo interrogatorio per tutto quel giorno e per altri ancora
(Incipit de Le mie prigioni)
Lo svegliarsi la prima notte in carcere è cosa orrenda.
Rassegnarmi a tutto l’orrore d’una lunga prigionia, rassegnarmi al patibolo, era nella mia forza. Ma rassegnarmi all’immenso dolore che ne avrebbero provato padre, madre, fratelli e sorelle, ah! questo era quello a cui la mia forza non bastava.
La sventura non degrada l’uomo, se ei non è dappoco, ma anzi lo sublima; – che, se potessimo entrare nei giudizi di Dio, vedremmo essere, molte volte più da compiangersi i vincitori che i vinti, gli esultanti che i mesti, i doviziosi che gli spogliati di tutto.
L’amicizia e la religione sono due beni inestimabili! Abbelliscono anche le ore de’ prigionieri, a cui più non risplende verisimiglianza di grazia!
Lo spettacolo di una creatura umana, alla quale s’abbia amore, basta a temprare la solitudine.
La donna quando è ciò che deve essere, è per me una creatura si sublime! Il vederla, l’udirla parlare, mi arricchisce la mente di nobili fantasie. Ma avvilita, spregevole, mi perturba, mi affligge, mi spezza il cuore.
Il vivere libero è assai più bello del vivere in carcere; chi ne dubita? Eppure anche nelle miserie d’un carcere, quando ivi si pensa che Dio è presente, che le gioie del mondo sono fugaci, che il vero bene sta nella coscienza e non negli oggetti esteriori, puossi con piacere sentire la vita.
Se Dio esiste, una conseguenza necessaria della sua giustizia è un’altra vita per l’uomo, che patì in un mondo così ingiusto.
Gli spiriti volgari fuggono i ragionamenti seri: se una nobile verità traluce loro, sono capaci di applaudirla un’istante, ma tosto dopo ritorcono da essa lo sguardo, e non resistono alla libidine di ostentar senno, ponendo quella verità in dubbio e scherzandola.
Non v’è grandezza d’animo, non v’è giustizia senza idee moderate, verso uno spirito più tendente a sorridere che ad adirarsi degli avvenimenti di questa breve vita. L’ira non ha qualche valore, se non nel caso rarissimo, che sia presumibile d’umiliare con essa un malvagio e di ritrarlo nell’iniquità
Curioso fatto, che il vivere arrabbiato piaccia tanto! Vi si pone una specie d’eroismo. Se l’oggetto contro cui ieri si fremeva è morto, se ne cerca subito un altro. “Di chi mi lamenterò oggi? chi odierò? sarebbe mai quello il mostro?… Oh gioia! l’ho trovato”.
Malattia epidermica del mondo! L’uomo si reputa migliore aborrendo gli altri.
Un giorno è presto passato, e quando la sera uno si mette a letto senza fame e senza acuti dolori, che importa se quel letto è piuttosto fra mura che si chiamino prigione, o fra mura che si chiamino casa o palazzo?
Avviene in prigione come nel mondo. Quelli che pongono la lor saviezza nel fremere, nel lagnarsi, nel vilipendere, credono follia il compatire, l’amare, il consolarsi con belle fantasie che onorino l’umanità ed il suo Autore.
Ma siamo sempre lì: di tutto puossi abusare: e quando mai l’abuso di cosa ottima dovrà far dire ch’ella in sé è malvagia?
Io non posso parlare del male che affligge gli altri uomini, ma quanto a quello che toccò in sorte a me da vivo, bisogna ch’io confessi che, esaminatolo bene, lo trovai sempre ordinato a qualche mio giovamento.
Il vero bene sta nella coscienza e non negli oggetti esteriori.
Chi opera per sincera coscienza può errare, ma è puro innanzi a Dio.
Spiriti più nobili del suo, io non ne avea mai conosciuti; pari al suo pochi. Un grande amore per la giustizia, una grande tolleranza, una gran fiducia nella virtù umana e negli aiuti della Provvidenza, un sentimento vivissimo del bello in tutte le arti, una fantasia ricca di poesia, tutte le più amabili doti di mente e di cuore si univano per rendermelo caro.
Purtroppo sovente gli uomini s’aborrano, perché reciprocamente non si conoscono; e se scambiassero insieme qualche parola, uno darebbe fiducialmente il braccio all’altro.
Vi sono certi posti sociali, ove può esservi molto più elevata educazione per le maniere, ma non virtù!
Il vero pregare non è borbottare molte parole alla guisa de’ pagani, ma adorar Dio con semplicità, sì in parole, sì in azioni, e fare che le une e le altre sieno l’adempimento del suo santo volere.
L’innocenza è veneranda, ma quanto lo è pure il pentimento!
La somma solitudine può tornar vantaggiosa all’ammendamento d’alcune anime; ma credo che in generale lo sia assai più se non ispinta all’estremo, se mescolata di qualche contatto colla società.
Non v’è dubbio che ogni condizione umana ha i suoi doveri. Quelli d’un infermo sono la pazienza, il coraggio e tutti gli sforzi per non essere inamabile a coloro che gli sono vicini.
Oh qual brama ha il prigioniero di veder creature della sua specie! La religione cristiana, che è sì ricca d’umanità, non ha dimenticato di annoverare fra le opere di misericordia il visitare i carcerati.
La disgrazia di non piangere è una delle più crudeli ne’ sommi dolori.
Io amo appassionatamente la mia patria, ma non odio alcun’altra nazione. La civiltà, la ricchezza, la potenza, la gloria sono diverse nelle diverse nazioni; ma in tutte havvi aniime obbidienti alla gran vocazione dell’uomo, di amare e compiangere e giovare.
Sia benedetta la Provvidenza, della quale gli uomini e le cose, si voglia o non si voglia, sono mirabili stromenti ch’ella sa adoprare a fini degni di sé.
Un’anima umana, nell’età dell’innocenza, è sempre rispettabile.
Una diffidenza moderata può esser savia: una diffidenza oltrespinta, non mai.
Un governo è cattivo? Non vi è altro compenso che l’andarsene, o restare soggetti alle sue leggi senza aver parte ai suoi errori, e perseverare nella pratica d’ogni virtù, non escluso il sacrifizio della vita se occorra, anziché rendersi complice di qualsiasi iniquità.
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Dei doveri degli uomini, 1834
Ad amare l’umanità, è d’uopo saper mirare, senza scandalezzarsi, le sue debolezze, i suoi vizi.
Tutto ciò che impari, t’applica a impararlo con quanta più profondità è possibile. Gli studi superficiali producono troppo spesso uomini mediocri e presuntuosi.
Chi mente, se anche non scoperto, ha la punizione in sé medesimo; egli sente che tradisce un dovere e si degrada.
All’idea del dovere l’uomo non può sottrarsi; ei non può non sentire l’importanza di questa idea. Il dovere è attaccato inevitabilmente al nostro essere; ce n’avverte la coscienza fin da quando cominciamo appena ad avere uso di ragione.
Il primo dei nostri doveri è l’amore della verità, e la fede in essa.
La verità è Dio. Amar Dio ed amare la verità sono la stessa cosa.
Non volerti sforzare ad avere amici. È meglio non averne alcuno che doversi pentire d’averli scelti con precipitazione. Ma quando uno n’hai trovato, onoralo di elevata amicizia.
Per credere, è d’uopo voler credere, è d’uopo amare fortemente il vero.
Perdonando un torto ricevuto, si può cangiare un nemico in amico.
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Varie
Amore è di sospetti fabbro.
(Francesca da Rimini)
Vederti, udirti, e non amarti… umana
cosa non è.
(Francesca da Rimini)
Nelle sciagure (e tanto più quando le sciagure non sono somme) l’avvilirsi non è da uomo né da cristiano.
(Epistolario)
Non v’è in terra virtù senza pianto.
(La redenzione)