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Le frasi più celebri di Giuseppe Garibaldi

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Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Caprera, Arcipelago di La Maddalena, 2 giugno 1882), generale, patriota e condottiero, è considerato uno protagonisti assoluti del Risorgimento e dell’Unità d’Italia.

Giuseppe Garibaldi è noto anche con l’appellativo di «eroe dei due mondi» per le sue imprese militari compiute sia in Europa sia in America Meridionale. Di lui il rivoluzionario Che Guevara dirà: “L’unico eroe di cui il mondo ha mai avuto bisogno si chiama Giuseppe Garibaldi”.

Presento una raccolta delle frasi più celebri di Giuseppe Garibaldi. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi sull’Italia e gli italiani, Frasi, citazioni e aforismi sul 2 giugno – Festa della Repubblica, Frasi, citazioni e aforismi sulla patria e Frasi, citazioni e aforismi sulla rivoluzione.

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Le frasi più celebri di Giuseppe Garibaldi

Sì! Se i nostri padri eressero il campanile di Giotto e la cupola di Brunelleschi, noi aiutati dalla concordia del pensiero e delle opere, possiamo lasciare ai nostri figli un monumento anche più splendido e sontuoso: una Italia libera e forte.

Tu, Italia! hai molti preti, molte malve, molti epuloni, che non lavorano, e mangiano per cinquanta alle spalle dei poveri; tu hai molti ladri, piccoli e grandissimi, e cotesti costituiscono il tuo abbassamento e le tue miserie!

E che serve all’Italia d’aver dei bei porti e delle terre ubertose, quando i suoi governi ad altro non pensano che a far dei soldi per pascere le classi privilegiate, ed obbligar colla forza, coll’astuzia e col tradimento alla miseria ed al disonore le classi laboriose?

I Governanti sono generalmente cattivi, perché d’origine pessima e per lo più ladra.

I popoli ben governati e contenti non insorgono. Le insurrezioni, le rivoluzioni, sono la risorsa degli oppressi e degli schiavi e chi le fa nascere sono i tiranni.

Obbedisco.
(Bezzecca, 9 agosto 1866. Telegramma con cui Giuseppe Garibaldi risponde al generale Alfonso La Marmora che gli aveva intimato di fermare la sua inarrestabile avanzata verso Trento contro gli austriaci nella Terza guerra di indipendenza)

Qui si fa l’Italia o si muore.
(Durante il sanguinoso combattimento di Calatafimi, 15 maggio 1860, il generale Nino Bixio suggerisce la ritirata, ma Giuseppe Garibaldi non è d’accordo e, rivolto al suo fido ufficiale, pronuncia questa storica frase)

Roma o morte!
(Frase pronunciata da Giuseppe Garibaldi in occasione del discorso tenuto durante il raduno delle Camicie Rosse a Marsala, il 19 luglio del 1862, annunciando la partenza dei volontari garibaldini dalla Sicilia per la risalita della Penisola alla conquista di Roma)

Giustizia! Santa parola, prostituita, derisa dai potenti della terra!

È sempre la storia di Socrate, di Cristo e di Colombo! Ed il mondo rimane sempre preda delle miserabili nullità che lo sanno ingannare.

La storia del Papato è storia di briganti.

Se sorgesse una società del demonio, che combattesse despoti e preti, mi arruolerei nelle sue file.

È stato il prete che ha avuto il merito di educare gli italiani all’umiliazione ed al servilismo. Mentre lui si faceva baciare la pantofola dagli imperatori, chiedeva agli altri esercitassero l’umiltà cristiana.

Cristo gettò le basi dell’uguaglianza tra gli uomini e tra i popoli e noi dobbiamo essere buoni cristiani. Ma noi faremmo un sacrilegio, se durassimo nella religione dei preti di Roma. Essi sono i più fieri e i più temibili nemici dell’Italia.

L’Italia non deve rimanere nell’obbrobrio, e meglio è morire che vivere schiavi dello straniero.

Il dispotismo sorregge la logora sua esistenza colla discordia dei popoli. Uniamoci tutti in nome di Dio! Ed il mostro nutrito di sangue umano rovescerà nell’abisso per non più risorgere.

Gli uomini nella sventura sono tutti fratelli, e la causa dei popoli oppressi è una sola.
Uniamoci dunque, e la nostra voce suoni potente a scuotere i troni di tutti i despoti.

Le società operaie molto hanno giovato all’Italia, moltissimo devono giovare per l’avvenire; il lavoro è virtù; il lavoro è libertà; benedetti coloro che lavorano!

Il lavoro ci farà liberi, la libertà ci farà grandi.

In tutti i tempi, quasi, i popoli si son governati coll’ignoranza e la violenza – cioè coi preti e coi soldati.

Non sono nato alle pubbliche assemblee; ma se v’è radunanza alla quale ami trovarmi, è quella degli operai. In mezzo a quei semplici cuori, io mi sento in famiglia.

Lavoro, Patria, Libertà: ecco il programma vostro, operai, e di tutti gli uomini che non credono creato il mondo per satollare la loro ingordigia e la loro ambizione.

La repubblica è il governo della gente onesta, e se ne vide la prova in tutte le epoche. Esse durano mentre virtuose, e cadono quando corrotte e piene di vizi.

O libertà! libertà! quale regina dell’universo può vantarsi d’avere al suo seguito il corteo d’eroi che tu possiedi in cielo?

Nemico della pena di morte ed amico della pace e della fratellanza umana, mi trovo a fare la guerra, che è l’antitesi de’ miei principii. Amico della pace, certamente; ma nemico dei ladri, e considero come tali, l’Austria, il Bonaparte, e più che ladro il Papa.

Un brigante onesto è un mio ideale.

Esordire con fermezza è già metà della battaglia.

Io son fatto per romper i coglioni a mezza umanità, e l’ho giurato; sì! Ho giurato per Cristo! Di consacrar la mia vita all’altrui perturbazione, e già qualcosa ho conseguito, ed è nulla a paragon di ciò che spero, se mi lasciano fare, o se non possono impedirmi il farlo.

L’Istruzione dobbiam reclamarla obbligatoria, gratuita e laica. Senza questa condizione, la scuola, dominata dalla setta clericale, pervertirebbe invece di educare. Lo Stato non può favorire le dottrine della fede cieca, che s’insinua coi primi insegnamenti, e prepara la schiavitù dell’anima e del pensiero.

Le scuole torrebbero alla miseria ed alla ignoranza tante povere creature che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il loro grado di civiltà, sono condannate dall’egoismo del calcolo, e dalla cattiva amministrazione delle classi privilegiate e potenti, all’abbrutimento, alla prostituzione dell’anima e della materia.

In Germania non v’è più un solo individuo che non sappia leggere e scrivere. La Francia grida: istruzione ad ogni costo. E l’Italia prodiga il suo erario a pagare dei vescovi e simili agenti delle tenebre.

Quanto valga l’uomo di coraggio è cosa incredibile! Un uomo può mettere in fuga un esercito e non è esagerazione. Io ho veduto degli eserciti colti dal panico fuggire davanti non ad un uomo solo ma a meno d’un uomo, davanti ad un pericolo immaginario.

Siate pulito, valoroso, sprezzatore della morte, generoso, e certo avrete non solo il plauso, ma l’affetto della bellezza!

Tiranni e preti, conventi e carceri, carceri e sgherri, vi è tale affinità di famiglia tra cotesti flagelli del genere umano, da non distinguerli, e da considerarli la stessa emanazione dell’inferno.

Il prete è l’assassino dell’anima poiché in tutti i tempi egli ha fomentato l’ignoranza e perseguito la scienza.

Il prete degrada Dio.

Non esiste il benché minimo villaggio ove risiede un prete, che non sia un focolare di reazione, una scuola d’ignoranza e di tradimenti alla patria.

I preti attizzano gli uni contro gli altri popoli a sbranarsi, trucidarsi, distruggersi e condannano senza pietà alle pene dell’inferno i novecento milioni d’esseri umani che non appartengono alla loro bottega.

La maggior parte delle guerre, e le più sanguinose, furono, e sono fomentate dai preti.

Il prete che insegna Dio è un mentitore, poiché nulla egli sa di Dio.

Egli, sacerdote dell’ignoranza, persecutore della sapienza, insegna Dio! Ma se Dio avesse voluto rivelarsi all’uomo lo avrebbe fatto ai Kepleri, ai Galilei, ai Newton, non a questi miserabili adoratori del ventre.

I clericali sono sudditi e militi di una potenza straniera, autorità mista ed universale, spirituale e politica, che comanda e non si lascia discutere, semina discordie e corrompe.

Il fenomeno della insaziabile tendenza pretina al solo godimento dei beni materiali è cosa a tutti nota, mentre pur tutti sanno egualmente che per il resto del mondo, cioè per chi non è prete, essi predicano e millantano i beni spirituali d’una vita avvenire colla gloria del paradiso!

Io sono cristiano, sono un buon cristiano, e parlo a dei buoni cristiani; io amo e venero la religione di Cristo, perché Gesù Cristo è venuto al mondo per sottrarre l’umanità alla servitù, che non è lo scopo per cui Dio l’ha creata. Ma il papa, il quale vuole che gli uomini siano schiavi, e chiede ai potenti della terra ceppi e catene per gli Italiani, il papa misconosce Cristo; misconosce la sua propria religione.

Per i preti la Nazione Italiana fu sempre divisa, non poté mai unificarsi, ad onta degli sforzi de’ nostri grandi di tutte le epoche, e fu perciò in tutte le epoche dominata da stranieri, che i preti stessi chiamarono in Italia in loro aiuto contro le popolazioni irritate dalle enormezze dei falsi leviti.

Papa Pio IX, quel metro cubo di letame, è la più nociva fra le creature perché egli più di nessun altro è l’ostacolo al progresso umano, alla fratellanza fra gli uomini e dei popoli.

Non tutti i preti sono malvagi, ma è pur forza confessarlo: i buoni sono rarissimi, e quei pochi buoni sono nell’incapacità di far bene, perché non protetti e quindi impauriti dalle persecuzioni dei malvagi.

Nel mondo intero sarà possibile la fratellanza umana ove sia liberato dai preti.

Il socialismo è il sole dell’avvenire.

Se non vi fosse storia romana, ove imparammo una patria comune, se giovane non avessi vagato tra le macerie del gigante delle grandezze terrestri, io non saprei di essere Italiano. E dove è, cosa è questa Italia senza Roma?

Chi negherà che le popolazioni dell’Italia meridionale non fossero migliori, perché meglio governate, nel 1860 che non lo sieno al giorno d’oggi? Allora, appena si sospettava il brigantaggio, e non v’erano prefetti, non gendarmi, non birri. Oggi all’incontro con quell’immensità di satelliti che minano le finanze dell’Italia, esiste nella parte meridionale della penisola l’anarchia, il brigantaggio e la miseria. Povere popolazioni!

La spada è un delitto, come la pena di morte è un abuso, come la conquista è una ingiuria. Facciamo nostri i frutti della terra dove nascemmo, per farne libero scambio con altri. Facciamo della guerra un anacronismo, e del lavoro un inno allo Eterno. Quando le campane e i cannoni saranno divenuti macchine produttrici, il dispotismo disarmato tornerà nell’ombra donde uscì, per la disperazione degli uomini, e l’alba della felicità biancheggierà l’orizzonte, per irradiar quindi l’orbe universo.

Il valore è sempre accompagnato dalla generosità. Il valoroso soldato Italiano dev’essere magnanimo con tutti, e massime colle popolazioni tra cui soggiorna, e tra le quali transita.

Vi sono dei momenti di parossismo durante la pugna nei quali la morte perde tutto il suo orrore e ammiri tale che sarebbe fuggito dinanzi ad un cavaliere disarmato, non far caso di una grandine fitta di fucilate che lo prendono a bersaglio.

Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se estenuati da fatica o malattia, questa è la più bella virtù del forte verso il debole.

Favorito dalla fortuna, io ebbi l’onore nei due mondi di combattere accanto ai primi soldati, ed ho potuto persuadermi che la pianta uomo nasce in Italia, non seconda a nessuno.

Io sono per l’arbitrato internazionale, cioè per l’assoluta abolizione della guerra fra nazioni e nazioni.

Non vi fidate della diplomazia; cotesta vecchia senza cuore vi inganna certamente!

Come tutto divien bello al sole della gioventù e della primavera.

Muoio col dolore di non vedere redente Trento e Trieste.
(Ultime parole di Giuseppe Garibaldi prima di morire)