Annunci
Umberto Galimberti (Monza, 2 maggio 1942) è un filosofo, saggista e psicoanalista italiano.
Presento una raccolta delle frasi più belle di Umberto Galimberti. Tra i temi correlati Le più belle frasi di Carl Gustav Jung, Frasi, pensieri e citazioni di Platone e Le frasi più belle di Friedrich Nietzsche.
**
Le frasi più belle di Umberto Galimberti
Sono tre quelli che non sono mestieri, ma vocazioni, e per poterli esercitare si dovrebbe prima superare un esame di empatia: l’insegnante, il medico e il giudice.
Gli insegnanti dovrebbero essere assunti con test della personalità, per evitare che i docenti non in grado di insegnare e di appassionare, rovinino in 40 anni di carriera intere generazioni di studenti.
Introduciamo il licenziamento dei cattivi insegnanti, o gli studenti più fortunati andranno all’estero, mentre i peggiori resteranno qui.
La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? E’ folle.
Il male non è tanto nei luoghi della città quanto nell’animo di questi giovani, dove famiglie dai genitori distratti e scuole dai professori annoiati hanno celebrato il loro fallimento.
È come se fotografandosi, i ragazzi cercassero l’identità che non possiedono, e la trovassero più attraverso la loro rete che attraverso i loro occhi.
Non consideriamo liberi quelli che sono schiavi delle loro convinzioni infondate.
Per crescere i figli in modo felice c’è una sola soluzione: le relazioni d’affetto, sia che si tratti di una coppia etero sia che si tratti di una omosessuale. Là dove vige l’amore si cresce bene, là dove vige la violenza o il gelo emotivo si cresce male.
La vergogna è un sentimento fondamentale. Vergogna viene da vere orgognam: temo l’esposizione. Oggi l’esposizione non la si teme più. E allora cosa succede: se io mi comporto in una modalità trasgressiva, bè che male c’è.
La spudoratezza, ormai, nel nostro tempo è diventata una virtù.
Tu hai intercettato la mia follia e io la tua, questo è l’amore.
Siamo affascinati da chi ci fa vedere la nostra pazzia, infatti cosa si dice quando si fa l’amore?
“Mi fai impazzire, con te perdo la testa”
La pazzia è molto più potente della ragione.
Non ci innamoriamo di chiunque, ma solo di chi intercetta l’altra parte di noi stessi e quindi ci svela.
L’amore è tra me e quel fondo abissale che c’è dentro di me, a cui io posso accedere grazie a te.
Individualismo, narcisismo, egoismo: sono tutte figure di solitudine. La socializzazione si è ridotta alla propria parvenza digitale.
Socrate diceva non so niente, proprio perché se non so niente problematizzo tutto. La filosofia nasce dalla problematizzazione dell’ovvio: non accettiamo quello che c’è, perché se accettiamo quello che c’è, ce lo ricorda ancora Platone, diventeremo gregge, pecore.
A differenza di Socrate, Gesù ha paura, non degli uomini che lo uccideranno, né dei dolori che precederanno la morte, Gesù ha paura della morte in sé, e perciò trema davvero dinanzi alla “grande nemica di Dio” e non ha nulla della serenità di Socrate che con calma va incontro alla “grande amica”.
Nella fede religiosa, all’inquietudine dell’intelletto si sostituisce la quiete del credente che, convinto di essere già accampato nella verità, si preclude la possibilità di giungervi
Tra invidia e superbia c’è una sottile parentela dovuta al fatto che il superbo, se da un lato tende a superare gli altri, quando a sua volta viene superato non si rassegna, e l’effetto di questa non rassegnazione è l’invidia.
La filosofia non è un “sapere”, ma un “atteggiamento”. L’atteggiamento di chi non smette di fare domande e di porre in questione tutte le risposte che sembrano definitive.
Chi pretende di guarire dal dolore pretende di guarire dalla condizione umana.
Il nucleo familiare è diventato oggi un nucleo asociale. Quel che succede in casa resta spesso compresso e incomunicato. Quando si esce di casa, ciascuno indossa una maschera, quella convenuta, il cui compito è di non lasciar trasparire proprio nulla dei drammi, delle gioie o dei dolori che si vivono dentro quelle mura ben protette.
– La scuola può essere ancora un luogo di relazione?
– Deve esserlo. Ma va tenuta aperta fino a mezzanotte, in modo che oltre alle lezioni mattutine i ragazzi possano trovarsi a scuola il pomeriggio, la sera, a fare teatro, musica, a fare l’amore.
La fatica di leggere non può competere con la facilità di guardare, e allora, rispetto al libro, la televisione sarà il medium più amichevole perché è quello che “dà meno da fare”.
Nessuna epoca storica, per quanto assolutistica o dittatoriale, ha conosciuto un simile processo di massificazione, perché nessun sovrano assoluto e nessun dittatore era in grado di creare un sistema di condizioni d’esistenza tali dove l’omologazione fosse l’unica possibilità di vita.
Siamo nell’età della tecnica, dove non è possibile vivere se non al prezzo di una completa omologazione al mondo dei prodotti che ci circonda, e da cui dipendiamo come produttori e consumatori.
Questa onnipotenza dei mezzi di comunicazione non ha tenuto conto della pochezza delle cose che gli uomini hanno da comunicare.
La moda è un acceleratore del nichilismo…La pubblicità è una droga di novità; nessun pubblicitario desidera la felicità delle persone, perché le persone felici non consumano.
I ragazzi di oggi sono rassegnati: te l’immagini un giovane del ’68 ad accettare un contratto a progetto?
Viviamo nel mercato : sappiamo cosa è utile, ma non cosa è giusto, cosa è vero e cosa è bello.
La follia non è una malattia: solo da essa può nascere un’idea di cambiamento del mondo.
Filosofia viene tradotta sempre con amore per la saggezza. Ma non è così, è il contrario: è saggezza dell’amore.
Oggi c’è una forma di potere molto più sottile che è sostanzialmente il controllo del pensiero, il controllo delle idee. Questo è molto pericoloso perché io quando ho controllato le idee di tutti coloro che sono subordinati al potere, costoro pensano come il potere, lo applaudono, lo vogliono, lo desiderano, lo adorano. Perché pensano come lui.
Sin da quando siamo nati ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere. E a questo dogma terribile abbiamo sacrificato il nostro corpo, incaricandolo di rappresentare quello che propriamente non siamo, o addirittura abbiamo evitato di sapere.
La felicità, nonostante la pubblicità vi illuda, non viene dall’ ultima generazione di telefonini e di computer, e più in generale di prodotti, ma da uno straccio di relazione in più.
Se il bisogno di rassicurare la propria intrinseca insicurezza genera la fedeltà, il bisogno di non annullarsi nell’altro genera il tradimento.
L’amore non è possesso, perché il possesso non tende al bene dell’altro, né alla lealtà verso l’altro, ma solo al mantenimento della relazione, che, lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella conoscenza di sé, la sacrifica in cambio di sicurezza.
“Cultura”, non è solo un’educazione intellettuale, ma soprattutto educazione delle emozioni e quindi dei comportamenti.
Non ci sarebbero tanti disperati nella vita se tutti, da bambini, fossero stati davvero amati e solo amati.
E’ evidente che più la società si fa tecnologica, più si riducono i posti di lavoro. E paradossalmente quello che e’ sempre stato il sogno più antico dell’uomo, la liberazione dal lavoro, si sta trasformando in un incubo.
Mi occupo di questioni religiose perché le religioni, tutte le religioni, con i loro comandamenti e le loro regole di condotta hanno rappresentato il più grande processo educativo che l’umanità, nel suo complesso, ha conosciuto prima che la ragione si enunciasse come regolatrice di rapporti umani.
Abitare non è conoscere, è sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che non ci ignora, tra cose che dicono il nostro vissuto. Abitare è sapere dove deporre l’abito, dove incontrare l’altro, dove rispondere è cor-rispondere.
Ogni branco è tanto più violento quanto son deboli i suoi componenti presi singolarmente.
L’amore dura finché io non ho scoperto il segreto profondo della persona che amo. Quando lo scopro compiutamente penso che l’amore finisca perché automaticamente come l’altro parla so già dove vuole andare a parare.
Non si dà amore senza possibilità di tradimento, così come non si dà tradimento se non all’interno di un rapporto d’amore. A tradire infatti non sono i nemici e tanto meno gli estranei, ma i padri, le madri, i figli, i fratelli, gli amanti, le mogli, i mariti, gli amici. Solo loro possono tradire, perché su di loro un giorno abbiamo investito il nostro amore.
Le donne hanno il potere di generare figli. Non di rigenerare uomini.
Loro, non possono cambiarli. (Mettiamocelo in testa)
I deliri di onnipotenza, anche se piacevoli, non cessano di essere deliri e, a effetto concluso, presentano il conto.
I libri non servono per sapere, ma per pensare e pensare significa sottrarsi all’adesione acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro significato abituale reso stabile dalla pigrizia dell’abitudine.
In un certo senso l’amore è uno stato di passività (per questo si parla di passione) dove, per il tempo che siamo innamorati, non affermiamo la nostra identità, ma comodamente, la riceviamo dal riconoscimento dell’altro.
I giovani cercano i divertimenti perché non sanno gioire. Ma la gioia è innanzitutto gioia di sé, quindi identità riconosciuta, realtà accettata, frustrazione superata, rimozione ridotta al minimo.
A nessuno è data la possibilità di scegliersi l’epoca in cui vivere, né la possibilità di vivere senza l’epoca in cui è nato, non c’è uomo che non sia figlio del suo tempo e quindi in qualche modo omologato.
Quel che è saltato nella nostra attuale società è il concetto di limite. E in assenza di un limite, il vissuto soggettivo non può che essere di inadeguatezza, quando non di ansia, e infine di inibizione.
L’adolescenza non è solo una stagione della vita, ma una modalità ricorsiva della psiche dove i tratti dell’incertezza, l’ansia per il futuro, l’irruzione delle istanze pulsionali, il bisogno di rassicurazione e insieme di libertà si danno talvolta convegno per celebrare, in una stagione, tutte le possibili espressioni in cui può cadenzarsi la vita.
Alla base dell’assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche del tabacco e dell’alcol, c’è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere. Se questo senso non si dà, se non c’è neppure la prospettiva di poterlo reperire, se i giorni si succedono solo per distribuire insensatezza e dosi massicce di insignificanza, allora si va alla ricerca di qualche anestetico capace di renderci insensibili alla vita.
Il maschio, almeno nel suo immaginario, non è monogamico. Le sue fantasie poligamiche sono forse il retaggio culturale della pratica animale dove, salvo le eccezioni di alcune specie, la monogamia non esiste.
Il tradimento appartiene all’amore come il giorno alla notte.
L’amore si nutre di novità, di mistero e di pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione.
L’amore svanisce perché nulla nel tempo rimane uguale a se stesso.
Si fa presto a dire “amore”. Ma quel che c’è sotto a questa parola lo conosce solo il diavolo.
Vivere a propria insaputa è la cosa peggiore che possa accadere nella propria esistenza.
L’incompetenza si paga più della corruzione.
L’avarizia è il più stupido dei vizi capitali perché gode di una possibilità, o se si preferisce di un potere, che non si realizza mai. Il denaro accumulato dall’avaro, infatti, ha in sé il potere di acquistare tutte le cose, ma questo potere non deve essere esercitato, perché altrimenti non si ha più il denaro e quindi il potere a esso connesso.
A me non piace la definizione di “ateo” perché ad affibbiarmela sono coloro che credono in Dio e guardano il mondo esclusivamente dal loro punto di vista, dividendolo in quanti credono o non credono. In questa etichettatura c’è tutta la prepotenza del loro schema mentale, che fa della loro fede la discriminante tra gli uomini.
Talvolta mi chiedo se la Chiesa crede ancora in Dio. È certo un’affermazione paradossale e provocatoria, ma ha una sua giustificazione: quando la Chiesa interviene massicciamente per promuovere una legislazione favorevole alla sua etica, allora ci possiamo chiedere se chi gestisce il potere ecclesiastico crede più agli strumenti del mondo o all’opera di Dio.
Nella nostra cultura c’è poco orgoglio e molta superbia, poca dignità e molta apparenza, dove “per apparire si è disposti perfino a svendersi e a servire”.
La malattia, prima di essere il campo della competenza dei medici, è il punto di crisi di una biografia.
A differenza della lussuria, della superbia, della gola, l’invidia è forse l’unico vizio che non dà piacere.
L’etica, di fronte alla tecnica, diventa patetica: non si è mai visto che un’impotenza sia in grado di arrestare una potenza. Il problema è: non cosa possiamo fare noi con gli strumenti tecnici che abbiamo ideato, ma che cosa la tecnica può fare di noi.
La tecnica, sorta per liberare l’uomo dalla necessità della natura, è diventata una sorta di seconda natura dal vincolo non meno necessitante.
La tecnica non è più un evento della nostra storia, ma ha già superato la soglia storica, fino a tenere nelle sue mani la possibilità stessa del proseguimento della storia.
Perché non instauriamo una trascendenza orizzontale invece che una trascendenza verticale. Perché invece di parlare con Dio non parlo col prossimo mio. Non era una anche delle massime di Gesù? Quando diceva che nel prossimo c’è l’immagine di Dio. Allora cominciamo a parlare con la gente, insomma, a questo punto. Perché è già trascendenza riuscire a intendersi con un altro. Non c’è bisogno di parlare col Dio ignoto, dove a parlare sono solo io perché tanto lui non risponde, se non le parole che io penso che lui dica. Che sono poi gli esaudimenti dei miei desideri.
Iniettarsi eroina si dice in italiano “bucarsi”. Il corpo si fa “abisso”, che etimologicamente significa “senza fondo”. Allo stesso modo in francese “essere alcolizzato” si dice “bere come un buco (boire comme un trou)”. Tossici e alcolizzati parlano in greco antico e descrivono la loro incapacità di “contenere” con immagini platoniche.
É questa la capacità venuta meno all’uomo d’oggi, che non è in grado di ‘immaginare’ gli effetti ultimi del suo ‘fare’.
La Chiesa si ritiene l’unica depositaria dell’etica. Un’etica prerogativa esclusiva della religione avvicina notevolmente il cristianesimo alla mentalità islamica. Per fortuna noi abbiamo avuto l’illuminismo e lo stato laico che ci hanno parzialmente immunizzato.
Chi tra gli insegnanti è consapevole che gran parte dell’apprendimento dipende non tanto dalla buona volontà, quanto dall’autostima che innesca la buona volontà?
La felicità non dipende tanto dal piacere, dall’amore, dalla considerazione o dall’ammirazione altrui, quanto dalla piena accettazione di sé.
Così era nata la filosofia: la filosofia significava andare in piazza e insegnare alla gente come si fa il buon governo, come si conduce bene l’anima, come si rispetta la natura. La filosofia era nata per questo: insegnare agli uomini queste cose. Socrate faceva così, andava in piazza e parlava con la gente. Poi dopo si è arroccata, è diventata una cosa accademica, autoreferenziale, una dottrina. Un qualcosa che assomiglia molto adesso a una sorta di figlia della teologia.
Il prossimo, sempre meno specchio di me e sempre più “altro”, obbligherà tutti a fare i conti con la differenza, come un giorno, ormai lontano nel tempo, siamo stati costretti a farli con il territorio e la proprietà.
Prima della nascita della ragione, che è cosa recente essendo nata 2500 anni fa con la filosofia (la quale, per distinguersi dalla teologia ha sempre ragionato “come se Dio non fosse”), la religione era un tentativo di reperire dei nessi causali per difendersi dall’imprevedibile e dall’ignoto che ha sempre terrorizzato l’uomo e generato angoscia.
Sotto ogni filosofo sottintendo un folle che vuole giocare un po’ con la sua follia, e al tempo stesso non vuole diventar folle e quindi si arma per tenere a bada attraverso una serie di buoni ragionamenti, che qui si imparano… a tenere a bada la follia.
Quella parola subdola: «crescita», che gli economisti applicano sia ai paesi diseredati che raccolgono tra l’altro i quattro quinti dell’umanità, sia ai paesi già sviluppati che nonostante ciò «devono crescere». Fin dove? E a spese di chi? E a quali costi ambientali? Qui l’economia tace perché il problema non è di sua competenza, e con l’economia tacciono anche le voci degli uomini che alle leggi dell’economia si devono piegare.
Mi chiedo se siamo diventati così comodi grazie alla tecnica, che ci consente di accendere la luce pigiando un tasto, che una sospensione di queste comodità ci fa andar fuori di testa.
Allora siamo la popolazione più fragile del mondo.
La faccia della persona matura è un atto di verità, mentre la maschera dietro cui si nasconde un volto trattato con la chirurgia è una falsificazione che lascia trasparire l’insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi alla vista con la propria faccia. Preferire una velina a una persona matura significa preferire l’anonimato di un corpo a un corpo formato da un carattere, che nell’età matura appare nella sua unicità, facendoci finalmente conoscere quel che davvero una persona è nella sua specifica unicità.
La recensione è un genere letterario da abolire perché induce al riassunto, quindi alla chiusura del libro. I libri invece vanno aperti, sfogliati, dissolti nella loro presunta unità, per offrirli a quella domanda che non chiede “che cosa dice il libro?”, ma “a che cosa fa pensare questo libro?
Io non sono un teologo, ma un filosofo della Storia che segue il metodo “genealogico” di Nietzsche, il quale, a differenza di Platone, non si chiede, ad esempio, «che cos’è l’anima», ma: «Come è venuto al mondo questo concetto, che storia ha avuto, che significati ha assunto, che effetti di realtà ha prodotto?», persuaso come sono che l’essenza di una cosa, il suo senso è nella sua storia.
Cosa ci ha insegnato la pandemia?Niente! Torneremo al precedente stile di vita con la foga di chi ha vissuto un periodo di astinenza.
Il negazionismo è una forma di pazzia. E coi pazzi non è facile ragionare. Si può persuadere chi nega la realtà che la realtà è differente? Molto difficilmente.
Il razzismo, l’antisemitismo e il neonazismo, tre nozioni che indicano il grado zero dello sviluppo dell’umanità.
Quando si lasciano i migranti in mare 8 giorni dicendo che stanno facendo una crociera si sta oltrepassando il limite di umanità e quando si passa quel limite tutto è possibile.
Io avuto il vantaggio di essere nato povero, in una famiglia di 10 figli, il padre è morto, la madre era maestra, [avevamo] con 60.00 lire al mese e dovevamo vivere in 10, più la mamma. Quindi tutti avevamo dovuto incominciare a lavorare fin da piccoli. Io poi ero destinato a fare il metalmeccanico fine, perché non andavo tanto bene a scuola. Poi mi ha salvato un prete, che mi ha messo in un seminario, e lì ho potuto studiare senza grande successo, al punto che arrivato in seconda liceo non riuscivo a tollerare l’autorità sopra di me. Sono uscito da questo seminario e mi sono messo da solo a portare cinque anni di ginnasio, più tre di liceo, mi sono fatto dare un po’ di lezioni di trigonometria, perché non capivo da solo come funzionava. Mi sono presentato all’esame di maturità, da privatista, senza una scuola alle spalle. Ho preso 10 in filosofia, 10 in storia, il mio tema è stato pubblicato nella Gazzetta Varesina: un successo spaventoso. Allora, ho incominciato a credere in me stesso, sempre a partire da uno strato di povertà, perché c’è gente che nasce professore universitario già in culla. Volevo fare medicina, ma era troppo lunga e non c’erano soldi. Grazie alla maturità, ho vinto due borse di studio: una dell’Università Cattolica e una della Provincia di Milano. 400.000 e 400.000 lire: decisi di fare filosofia..