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Le frasi più belle di Susan Sontag

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Susan Sontag (nata a New York il 16 gennaio 1933 e morta a New York il 28 dicembre 2004) è stata una scrittrice, filosofa e attivista statunitense.

Presento una raccolta delle Frasi più belle di Susan Sontag sull’arte, la letteratura, la fotografia, la malattia, la sessualità e la morte. Tra i temi correlati si veda Frasi femministe, le 60 più belle, famose e profonde sulla donna e Frasi, citazioni e aforismi di Oriana Fallaci.

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Le frasi più belle di Susan Sontag

Viviamo in una cultura in cui all’intelligenza viene negata del tutto la sua rilevanza.

Ciò che più è bello in molti uomini virili è qualcosa di femminile; ciò che più è bello nelle donne con femminilità è qualcosa di mascolino.

Fa male amare. È come accettare di farsi scorticare sapendo che in qualunque momento l’altra persona può andarsene via con la tua pelle.

Amare il proprio lavoro è un modo di amare se stessi, e rende più liberi di amare gli altri. Ma attenzione alla differenza tra amare il proprio lavoro ed esserne semplicemente assorbiti.

Un giudizio è un grido di impotenza. Quando non si può far niente per cambiare una situazione, cosa resta se non giudicarla?

L’amore muore perché la sua nascita è stata un errore.

La mia biblioteca è un archivio di desideri.

La depressione è la melanconia senza il suo fascino.

Il cancro: la malattia che non bussa prima di entrare.

L’interpretazione è la vendetta dell’intelligenza sull’arte.

La malattia è il lato notturno della vita

La crisi dell’AIDS è la prova di un mondo in cui nulla di importante è soltanto regionale, locale, limitato; in cui tutto ciò che può circolare circolare, e ogni problema è, o è destinato a diventare, mondiale.

Arte = un modo per entrare in contatto con la propria follia.

La vita ideale: fare solo cose indispensabili.

Il difetto più grande: la mancanza di generosità.

Non si impara con l’esperienza − perché la sostanza delle cose cambia continuamente.

Invidio i paranoici: hanno davvero la sensazione che la gente presti la loro attenzione.

Per quelli che vivono senza consolazioni religiose sulla morte e senza un sentimento della morte come fatto naturale, la morte è il mistero osceno, il supremo affronto, la cosa che non è possibile controllare. Si può soltanto negarla.

La paura di invecchiare viene nel momento in cui si riconosce di non vivere la vita che si desidera. Equivale alla sensazione di abusare del presente.

La noia non è che il contrario della fascinazione: entrambe dipendono dall’essere al di fuori piuttosto che dentro una situazione, e l’una conduce all’altra.

A mancarci è l’immaginazione, l’empatia: non siamo riusciti a fare nostra questa realtà.

Dove voglio indirizzare la mia vitalità? Verso i libri o il sesso, verso l’ambizione o l’amore, verso l’ansia o la sensualità? Non posso avere tutto.

La mia idea di scrittore: qualcuno interessato a tutto.

La verità è che Mozart, Pascal, l’algebra booleana, Shakespeare, il regime parlamentare, le chiese barocche, Newton, l’emancipazione delle donne, Kant, Marx ei balletti di Balanchine non riscattano ciò che questa particolare civiltà ha operato nel mondo La razza bianca è il cancro della storia dell’umanità.

Per me, la letteratura è una vocazione, persino una specie di salvezza. Mi collega a un’impresa che ha più di 2.000 anni.

Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese.

La vita è un film; la morte è una fotografia.

La verità è sempre qualcosa che viene detto, non qualcosa che viene conosciuto. Se non ci fossero né parole né scritti, non ci sarebbe verità su nulla.

L’opera di Kafka è stata sottoposta a un saccheggio di massa da parte di non meno di tre eserciti di interpreti.

La razza bianca è il cancro della storia umana; è la razza bianca ed essa sola – con le sue ideologie e le sue invenzioni – che sradica civiltà autonome ovunque proliferi, che ha sconvolto l’equilibrio ambientale del pianeta, e adesso minaccia l’esistenza stessa della vita.

La nostra è un’epoca nostalgica e i fotografi sono promotori attivi della nostalgia.

Il pittore costruisce, il fotografo rivela.

La fotografia è un’arte elegiaca, un’arte crepuscolare. Quasi tutti i suoi soggetti, per il solo fatto di essere fotografati, sono tinti di pathos.

Da quando sono state inventate le macchine fotografiche, esiste nel mondo un particolare eroismo: l’eroismo della visione.

La fotografia è diventata un divertimento praticato quasi quanto il sesso e la danza.

Fotografare significa appropriarsi della cosa che si fotografa. Significa stabilire con il mondo una relazione particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di potere.”

Fare una fotografia significa partecipare della mortalità di un’altra persona (o di un’altra cosa) ed è proprio isolando un determinato movimento che tutte le fotografie attestano l’inesorabile azione dissolvente del tempo.

Fotografare significa attribuire importanza. Non esiste probabilmente soggetto che non si possa rendere bello; non si può inoltre eliminare la tendenza, insita in tutte le fotografie, ad attribuire valore ai loro soggetti.

Una fotografia è insieme una pseudopresenza e l’indicazione di un’assenza.

La paura della sessualità è il nuovo registro dell’universo di paura, sponsorizzato dalla malattia, in cui ognuno vive.

I libri sono dei divertenti piccoli pezzi portatili di pensiero.

Non è del tutto sbagliato dire che non esistono brutte fotografie, ma solo foto meno interessanti, meno rivelanti, meno misteriose.

Un testo appena dattiloscritto, nel momento stesso in cui è finito, comincia a puzzare. È un corpo morto – deve essere seppellito – imbalsamato, a caratteri di stampa. Corro a impostare il dattiloscritto, non appena è finito, anche se sono le quattro del mattino.

La compassione è un’emozione instabile. Deve essere tradotto in azione, altrimenti appassisce.

Leggere e ascoltare musica: trionfi del mio uscire da me stessa.

Dodici anni fa, quando scoprii di essere affetta da cancro, ciò che mi irritò particolarmente fu il constatare quanto la reputazione di questa malattia aumentasse la sofferenza di quelli che ne sono colpiti. Molti pazienti con i quali parlavo durante la mia iniziale degenza in ospedale, manifestavano un senso di ripugnanza e una sorta di vergogna.

Non è la sofferenza in quanto tale ad essere temuta più profondamente, ma la sofferenza che degrada.

Quasi ogni secolo è stato caratterizzato da almeno una malattia ricettacolo delle paure più profonde. La peste, che si è presentata in forma epidemica in Europa tra il ’300 e il ‘700, di cui parlano Boccaccio e Manzoni. La TBC e la Sifilide nell’800. La follia, il cancro, l’Aids nel ‘900.

Le teorie che vogliono le malattie causate da stati mentali e curabili con la forza di volontà sono sempre un segno di quanto poco si conoscono gli aspetti fisici di un morbo. Psicologizzare permette un controllo su esperienze ed eventi che di fatto sono poco o niente controllabili. L’interpretazione psicologica erode la realtà della malattia.

Una battuta spiritosa che si sente spesso negli ospedali per cancerosi, in bocca sia ai medici sia ai pazienti, è: «La cura è peggio della malattia».

Le concezioni punitive della malattia sono particolarmente attive per quanto concerne il cancro. Le metafore chiave delle descrizioni del cancro sono attinte dal linguaggio bellico. Si fanno “lotte” o “crociate” contro il cancro. Il cancro è la malattia “omicida”. I cancerosi sono “vittime del cancro”. Le cellule cancerose “invadono”, “colonizzano” istituendo “piccoli avamposti”. Difficilmente le “difese” del corpo sono così robuste da annientare il cancro. Le cellule cancerose possono “sferrare un nuovo attacco” contro l’organismo. Anche le cure hanno un che di militare.

I film di fantascienza non riguardano la scienza. Riguardano il disastro, che è uno dei più antichi soggetti dell’arte.

Per Cioran lo stile aforistico è più un principio di conoscenza che un principio di realtà: è destino di ogni idea profonda essere rapidamente messa in scacco da un’altra idea, da essa stessa implicitamente generata.

L’arte oggi è un nuovo tipo di strumento, uno strumento per modificare la coscienza e organizzare nuovi modi di sensibilità. E i mezzi per praticare l’arte sono stati radicalmente ampliati. … I pittori non si sentono più confinati alla tela e alla pittura, ma impiegano capelli, fotografie, cera, sabbia, pneumatici di bicicletta, i loro spazzolini da denti…

Tutte le guerre moderne, anche quando i loro obiettivi sono quelli tradizionali, come l’ingrandimento territoriale o l’acquisizione di risorse, sono presentate come scontri di civiltà, guerre culturali, con ciascuna parte che rivendica la superiorità e caratterizza l’altra come barbara.

Gli Stati Uniti sono una società genericamente religiosa. Cioè, negli Stati Uniti non è importante a quale religione si aderisce, purché se ne abbia una.