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Frasi, citazioni e aforismi di Grazia Deledda

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Grazia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) è stata una scrittrice italiana, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 1926, con la seguente motivazione: “Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”.

Presento una raccolta di frasi, citazioni e aforismi di Grazia Deledda. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Elsa Morante, Frasi, citazioni e aforismi di Giovanni Verga, Le frasi più belle di Italo Svevo e Le frasi più belle di Italo Calvino.

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Frasi, citazioni e aforismi di Grazia Deledda

Se vostro figlio vuole fare lo scrittore o il poeta sconsigliatelo fermamente. Se continua minacciatelo di diseredarlo. Oltre queste prove, se resiste, cominciate a ringraziare Dio di avervi dato un figlio ispirato, diverso dagli altri.
(Grazia Deledda, Discorso in occasione della consegna del Premio Nobel)

Ho avuto tutte le cose che una donna può chiedere al suo destino, ma grande sopra ogni fortuna la fede nella vita e in Dio. Ho vissuto coi venti, coi boschi, colle montagne. Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo. Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente. Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo
(Grazia Deledda, Discorso in occasione della consegna del Premio Nobel)

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La via del male, 1896

Anche nella sua anima regnava una luce vaga, che talvolta si estingueva completamente: e davanti a lui si stendeva, interminabile e misteriosa come nel sogno, la via del male.

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Elias Portolu, 1900

Il matrimonio d’amore è il matrimonio di Dio, quello di convenienza è il matrimonio del diavolo.

Mettiti sull’orlo del mare, e conta e conta tutti i granelli della terra: quando li avrai contati saprai che essi sono un nulla in confronto degli anni dell’eternità.

Il vento leggero che stormiva nei boschi, lontano, gli sembrava una voce confusa, ora dolce, ora paurosa. Che diceva? che diceva il vento? Che mormorava la selva? Egli avrebbe voluto sentir distinta quella voce, e si angosciava, s’inteneriva, s’irritava, non riuscendovi.

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Amori moderni, 1907

Le più grandi cose si dicono in silenzio. Guarda la luna.

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Canne al vento, 1913

Solo le foglie delle canne si movevano sopra il ciglione, dritte rigide come spade che s’arrotavano sul metallo del cielo.

“Ma perché questo, Efix, dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?”
“Sì”, egli disse allora, “siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.”
“Sì, va bene, ma perché questa sorte?”
“E il vento, perché? Dio solo lo sa”.

La vita passa e noi la lasciamo passare come l’acqua del fiume, e solo quando manca ci accorgiamo che manca.

E come i bambini ed i vecchi si mise a piangere senza sapere il perché, – di dolore ch’era gioia, di gioia ch’era dolore.

Egli sentì le labbra di lei bagnate di lacrime lasciargli sulle dita come l’impronta di un fiore umido di rugiada.

Ah, per questo non amo neppure tornare laggiù; mi pare che ci ho lasciato qualche cosa e che non la ritroverei più…

“Adattarsi bisogna» disse Efix versandogli da bere. “Guarda tu l’acqua: perché dicono che è saggia? perché prende la forma del vaso ove la si versa”.
“Anche il vino, mi pare!”
“Anche il vino, sì! Solo che il vino qualche volta spumeggia e scappa; l’acqua no”.
“Anche l’acqua, se è messa sul fuoco a bollire”, disse Natòlia.

“E le mie padrone? Non s’accorgono?”
“Loro? Sono come i santi di legno nelle chiese. Guardano, ma non vedono: il male non esiste per loro”.

L’amore è quello che lega l’uomo alla donna, e il denaro quello che lega la donna all’uomo.

“Il rimedio è in noi” sentenziò la vecchia. “Cuore, bisogna avere, null’altro…”

Da una muraglia nera una finestra azzurra vuota come l’occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico roseo di sole nascente.

Efix mangiava e raccontava, con parole incerte, velate di menzogna timida; ma quando ebbe gettato le briciole e il fondo del bicchiere sul pavimento, – poiché la terra vuole sempre la sua piccola parte del nutrimento dell’uomo, – si drizzò un po’ sulla schiena e i suoi occhi si circondarono di rughe raggianti

Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo.

Un usignuolo cantò sull’albero solitario ancora soffuso di fumo. Tutta la frescura della sera, tutta l’armonia delle lontananze serene, e il sorriso delle stelle ai fiori e il sorriso dei fiori alle stelle, e la letizia fiera dei bei giovani pastori e la passione chiusa delle donne dai corsetti rossi, e tutta la malinconia dei poveri che vivono aspettando l’avanzo della mensa dei ricchi, e i dolori lontani e le speranz di là, e il passato, la patria perduta, l’amore, il delitto, il rimorso, la preghiera, il cantico del pellegrino che va e va e non sa dove passerà la notte ma si sente guidato da Dio, e la solitudine verde del poderetto laggiù, la voce del fiume e degli ontani laggiù, l’odore delle euforbie, il riso e il pianto di Grixenda, il riso e il pianto di Noemi, il riso e il pianto di lui, Efix, il riso e il pianto di tutto il mondo, tremavano e vibravano nelle note dell’usignuolo sopra l’albero solitario che pareva più alto dei monti, con la cima rasente al cielo e la punta dell’ultima foglia ficcata dentro una stella.

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Le colpe altrui, 1914

La famiglia ricomposta? Il vaso rotto riattaccato col mastice, incapace a contenere più il liquido: aria soltanto.

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Marianna Sirca, 1915

Il cuore le si sbatteva dentro quasi avesse messo le ali e anelasse a volar via.

Del resto tutti nella vita siamo così, in carcere, a scontare la colpa stessa di esser vivi.

I pensieri di lei si ritirano nel loro nascondiglio più segreto: nessuno al mondo deve saperli, e questo non tanto per orgoglio quanto perché lei ama la sua anima come la sua casa, che tutto sia in ordine, pulito, chiuso nelle casse, appartenente a lei sola.

Doveva essere bello nelle sere d’inverno stendersi sulle stuoie davanti al fuoco di tronchi, e ascoltare la voce della foresta in colloqui selvaggi col vento.

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Il flauto nel bosco, 1923

Sentivo i suoi passi, dietro di me, come quelli di un bambino; mi raggiunse mi toccò lievemente col muso per avvertirmi ch’era lì, e come per chiedere il permesso di accompagnarmi. Mi volsi e gli accarezzai la testa di velluto; e subito ho sentito che finalmente anch’io avevo nel mondo un amico.

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La fuga in Egitto, 1925

Tutti siamo impastati di bene e di male, ma quest’ultimo bisogna vincerlo. (…) L’acciaio che è l’acciaio viene temprato e ridotto a spada, da chi vuol vincere il nemico.

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La chiesa della solitudine, 1936

Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti?

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Cosima, 1936

Ci sono molte donne che vivono nel ricordo di un amore fantastico, e l’amore vero è per esse un mistero grande e inafferrabile come quello della divinità

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Varie

Tutta la notte nevicò, e il mondo, come una grande nave che fa acqua, parve sommergersi piano piano in questo mare bianco. A noi pareva di essere entro la grande nave: si andava giù, nei brutti sogni, sepolti a poco a poco, pieni di paura ma pure cullati dalla speranza in Dio.
E la mattina dopo, il buon Dio fece splendere un meraviglioso sole d’inverno sulla terra candida, ove i fusti dei pioppi parevano davvero gli alberi di una nave pavesata di bianco.
(Un dono di Natale)

Il mattino d’agosto era purissimo: il giorno prima aveva piovuto, e nel bosco regnava una dolce frescura: le felci, l’erba, i tronchi, le rocce lavate, esalavano un profumo quasi irritante; la brezza dava marezzi argentei alle chiome degli elci; il cielo sorrideva azzurro come un lago negli sfondi sereni.
(Mattino d’estate)

Infanzia!… È forse questa una parola magica e misteriosa, un geroglifico orientale, inteso indistintamente dall’anima, dalla mente, dal cuore, nei quali desta ricordi soavi, dolcissimi, benché sfumati tra le nebbie del passato, e sorrisi vagolanti e dolci come quei ricordi, e sussulti di rimpianto e dimenticanze del presente?
(Memorie Infantili)

Mutiamo tutti, da un giorno all’altro, per lente e inconsapevoli evoluzioni, vinti da quella legge ineluttabile del tempo che oggi finisce di cancellare ciò che ieri aveva scritto nelle misteriose tavole del cuore umano.
(Versi e prose giovanili)

Intendo ricordare la Sardegna della mia fanciullezza, ma soprattutto la saggezza profonda ed autentica, il modo di pensare e di vivere, quasi religioso di certi vecchi pastori e contadini sardi (…) nonostante la loro assoluta mancanza di cultura, fa credere ad una abitudine atavica di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose di là della vita. Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato più limpide e consolanti. Sono le grandi verità fondamentali che i primi abitatori della terra dovettero scavare da loro stessi, maestri e scolari a un tempo, al cospetto dei grandiosi arcani della natura e del cuore umano…

Siamo il regno ininterrotto del lentisco, delle onde che ruscellano i graniti antichi, della rosa canina, del vento, dell’immensità del mare. Siamo una terra antica di lunghi silenzi, di orizzonti ampi e puri, di piante fosche, di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta. Noi siamo sardi.

Cade una foglia che pare
tinta di sole, che nel cadere
ha l’iridescenza di una farfalla;
ma appena giunta a terra
si confonde con l’ombra, già morta.
(Poesie)