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Frasi, citazioni e aforismi di Ray Bradbury

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Presento una raccolta di frasi, citazioni e aforismi di Ray Bradbury. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Stephen King e Le frasi più belle di Neil Gaiman.

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Frasi, citazioni e aforismi di Ray Bradbury

Noi siamo un’impossibilità in un universo impossibile – We are an impossibility in an impossible universe.

Se vuoi scrivere, se vuoi creare, devi essere il più sublime pazzo che Dio abbia mai prodotto e messo in circolazione.
Devi scrivere ogni singolo giorno della tua vita.
Devi leggere libri terribilmente stupidi e libri splendidi, e lasciare che si impegnino in artistiche lotte dentro la tua testa, ora rozzi, ora geniali.
Devi aggirarti per le biblioteche e dare la scalata alle pile di libri per annusare il loro profumo e indossarli come cappelli sulla tua pazza testa.
Ti auguro di duellare con la tua Musa Creativa per tutta la vita.
Ti auguro di non essere mai abbandonato dalla stupidità e dalla follia.
Possa tu convivere con il delirio e trarre da esso grandi storie.
In definitiva, possa tu essere innamorato per i prossimi ventimila giorni, e da quell’amore ricreare un mondo.

Continuiamo ad essere imperfetti, pericolosi e terribili, e anche meravigliosi e fantastici. Ma stiamo imparando a cambiare.

Se non sei innamorato di quello che stai facendo, non farlo; cerca ciò che ami.

Il trucco è di essere perdutamente, follemente innamorati per tutto il tempo.

Quando non si può avere la realtà, un sogno vale la realtà.

Senza biblioteche cosa abbiamo? Nessun passato e nessun futuro.

Nelle biblioteche ci sono persone, non libri. È qualcosa di molto personale. Guardi un libro di Charles Dickens e tu sei Charles Dickens. E quando hai in mano uno specchio vedi te stesso ma il tuo nome è Charles Dickens. Quando apri il libro la persona che l’ha scritto salta fuori e diventa te. Lui è te. Guardi uno specchio, diventi Shakespeare, Dickinson o Robert Frost. Ecco cos’è una biblioteca. Trovi tutti quegli autori che possono guidarti nell’oscurità, e ti dicono: “Ecco li c’è la luce”. Vai in una biblioteca e scopri te stesso.

La televisione è quella bestia insidiosa, quella Medusa in grado di paralizzare un miliardo di persone a occhi sbarrati ogni sera, quella sirena che canta, chiama e alletta, promettendo così tanto e concedendo, in definitiva, così poco.

Tutta questa filosofia, è anche peggio dei romanzi… pensatori, filosofi, dicono tutti esattamente le stesse cose… – Soltanto io ho ragione, gli altri sono tutti imbecilli! – In un secolo ti dicono che il destino dell’uomo è prestabilito, il secolo dopo ti dicono che ha libertà di scelta. È soltanto questione di moda la filosofia, è come le gonne corte quest’anno, le gonne lunghe l’anno prossimo.

Le anime non possono essere vendute. Possono solo essere perse e mai più ritrovate.

Dovete sapere quando accettare il rifiuto e rifiutare l’accettazione.
(Consiglio agli scrittori)

Le mie storie arrivano di corsa e mi mordono alle gambe. Io rispondo buttandomi a scrivere qualsiasi cosa che succede durante il morso. Quando finisco, l’idea molla la presa e scappa via.

Non pensare. Il pensiero è nemico della creatività. È consapevole di sé, e ciò che è consapevole di sé è schifoso. Tu non puoi provare a fare le cose. Devi semplicemente fare le cose.

L’autocoscienza è la nemica di tutta l’arte, che si tratti di agire, scrivere, dipingere o vivere se stessi, che è la più grande di tutte le arti.

La fantascienza è il genere letterario più importante nella storia del mondo, perché è la storia delle idee, la storia della nascita della nostra civiltà.

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L’estate incantanta (Dandelion Wine, 1957)

Alcune persone diventano tristi terribilmente giovani. Non c’è nessuna ragione speciale, sembrano quasi nascere in quel modo. Hanno più lividi, si stancano più velocemente, piangono più velocemente, si ricordano più a lungo e, come dicevo, sonno più tristi più di qualunque altro giovane al mondo. Lo so, perché sono uno di loro.

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Lo zen nell’arte della scrittura (Zen in the Art of Writing, 1986)

Devi restare sbronzo quando scrivi in modo che la realtà non possa distruggerti.

Ogni mattina salto giù dal letto e cado su una mina. La mina sono io. Dopo l’esplosione, trascorro il resto della giornata mettendo insieme i pezzi.

Ogni giorno della tua vita leggi poesie. La poesia è buona perché esercita muscoli che non usi abbastanza spesso. La poesia espande i sensi e li riporta a condizioni primordiali. Fai sì che tu ti renda conto del tuo naso, del tuo occhio, del tuo orecchio, della tua lingua, della tua mano. E, dopo tutto, la poesia è metafora compatta e similitudine. Tali metafore, come i fiori di carta giapponesi possono espandersi all’esterno in forme gigantesche.

E cosa ci insegna la scrittura? Innanzitutto, ci ricorda che siamo vivi e che questo è un dono e un privilegio, non un diritto.

La vita è come la biancheria intima, dovrebbe essere cambiata due volte al giorno.

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L’uomo illustrato (The Illustrated Man, 1951)

Ho sempre pensato che si muoia giorno per giorno e ogni giorno è come una scatola, vedi, ordinata e numerata; non devi mai tornare indietro a sollevare il coperchio, perché si muore, almeno duemila volte nella vita,

Noi pensiamo, non sono pazzo oggi. Ho imparato la lezione. Lo sono stato ieri, ma non stamattina. Poi l’indomani scopriamo che, sì, siamo stati pazzi anche quel giorno. Penso che l’unico modo in cui si può crescere ed andare avanti in questo mondo è di accettare il fatto che non siamo perfetti e vivere di conseguenza.

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Fahrenheit 451 (1953)

Ci si domanda il perché di tante cose, ma guai a continuare: si rischia di condannarsi all’infelicità.

Vai sull’orlo del dirupo e salta. Mentre cadi scoprirai come costruire le tue ali – First you jump off the cliff and build your wings on the way down.

Un libro è una pistola carica – A book is a loaded gun.

Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive.

La maggior parte di noi non può correre dappertutto, parlare con chiunque, conoscere tutte le città del mondo, perché non ha il tempo, i soldi e neppure tanti amici. Le cose che cerca, Montag, sono nel mondo, ma il solo modo in cui l’uomo medio può conoscere è leggendo un libro.

Le cose che voi cercate, Montag, sono su questa terra, ma il solo modo per cui l’uomo medio potrà vederne il novantanove per cento sarà un libro.

Che cos’è il fuoco? È un mistero. Gli scienziati ci dicono un monte di assurdità complicate relativamente a frizione e molecole. Ma non lo sanno realmente. La sua vera bellezza è nel fatto che il fuoco distrugge responsabilità e conseguenze. Un problema diventa troppo arduo? Presto, gettalo nelle fiamme e non se ne parli più.

Clarisse McClellan disse:
“Posso chiederle da quanto tempo fa il pompiere?”
“Da quando avevo vent’anni, dieci anni fa”.
“E ha mai letto uno dei libri che ha bruciato?”
Lui rise. “E’ contro la legge!”
“Ma certo”.
“E’ un buon lavoro. Lunedì bruci Lugones, mercoledì Maupassant, venerdì Verne, bruciali tutti e poi brucia le ceneri. E’ il nostro slogan ufficiale”.

Non devi bruciare libri per distruggere una cultura. Fai in modo che la gente smetta di leggerli.

La gente assimila sempre meno. Tutti sono sempre più impazienti, più agitati e irrequieti. Le autostrade e le altre strade d’ogni genere sono affollate di gente che va un po’ da per tutto, ovunque, ed è come se non andasse in nessun posto. I profughi della benzina, gli erranti del motore a scoppio.

Alle volte mi coglie il dubbio che gli automobilisti non sappiano che cosa sia l’erba, o come siano i fiori, perché non li hanno mai visti, non ci sono mai passati vicino con lentezza.

Il televisore è “reale”, è immediato, ha dimensioni. Vi dice lui quello che dovete pensare, e ve lo dice con voce di tuono. Deve avere ragione, vi dite: sembra talmente che l’abbia!

«…sapete cosa ho scoperto?»
«Che cosa?»
«Che la gente non dice nulla»
«Oh, parlerà pure di qualche cosa, la gente!»
«No, vi assicuro. Parla di una gran quantità di automobili, parla di vestiti e di piscine e dice che sono una meraviglia! Ma non fanno tutti che dire le stesse cose e nessuno dice qualcosa di diverso dagli altri…»

La nostra civiltà si sta facendo a pezzi. Stai lontano dalla centrifuga.

Non possiamo dire in quale preciso momento nasca l’amicizia. Come ne riempire una caraffa gocci a goccia, c’è finalmente una stilla che la fa traboccare, così in una sequela di atti gentili ce n’è infine uno che fa traboccare il cuore.

Riempiti gli occhi di meraviglie, vivi come se dovessi cadere morto fra dieci secondi! Guarda il mondo: è più fantastico di qualunque sogno studiato e prodotto dalle più grandi fabbriche.

Insomma, il fatto è che questa è l’epoca della carta igienica. Ti soffi il naso su una persona, la appallottoli, la getti via, tiri la catena e lo sciacquone se la porta via, allunghi la mano per un’altra persona, ti soffi, l’appallottoli, tiri la catena. Tutti si soffiano nella giubba del vicino

Io ho diciassette anni e sono pazza. Mio zio dice che le due cose vanno sempre insieme. Quando qualcuno ti chiede quanti anni hai, mi ha detto, tu di’ sempre diciassette e che sei pazza.

Sono tanto sicuri di poter continuare così per un pezzo! Ma non continueranno. Ignorano che tutto ciò è soltanto un’unica immensa meteora, che fa una bella scia fiammeggiante nello spazio, ma prima o poi dovrà colpire il suolo. Vedono soltanto la scia di fiamma, il bagliore, come lo vedevi tu.

Non c’è nulla di magico, nei libri; la magia sta solo in ciò che essi dicono, nel modo in cui hanno cucito le pezze dell’Universo per mettere insieme così un mantello di cui rivestirci.

Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta

La chiusura lampo ha spodestato i bottoni e un uomo ha perduto quel po’ di tempo che aveva per pensare, al mattino, vestendosi per andare al lavoro, ha perso un’ora meditativa, filosofica, perciò malinconica.

Se nascondi la tua ignoranza, nessuno ti darà una bastonata, ma tu non imparerai mai.

I buoni scrittori toccano spesso la vita. I mediocri la sfiorano con una mano fuggevole. I cattivi scrittori la sforzano e l’abbandonano.

Chi non crea non può fare a meno di distruggere. E’ una cosa antica come la storia e la delinquenza giovanile.

C’era un buffissimo uccello, chiamato Fenice, nel più remoto passato, prima di Cristo, e questo uccello ogni quattro o cinquecento anni si costruiva una pira e ci si immolava sopra. Ma ogni volta che vi si bruciava, rinasceva subito poi dalle sue stesse ceneri, per ricominciare. E a quanto sembra, noi esseri umani non sappiamo fare altro che la stessa cosa, infinite volte, ma abbiamo una cosa che la Fenice non ebbe mai. Sappiamo la colossale sciocchezza che abbiamo appena fatta, conosciamo bene tutte le innumerevoli assurdità commesse in migliaia di anni e finché sapremo di averle commesse e ci sforzeremo di saperlo, un giorno o l’altro la smetteremo di accendere i nostri fetenti roghi e di saltarci sopra. Ad ogni generazione, raccogliamo un numero sempre maggiore di gente che si ricorda.

No, non era felice. Non era felice. Si ripeté le parole mentalmente. Riconobbe che questa era veramente la situazione. Egli portava la sua felicità come una maschera e quella ragazza se n’era andata per il prato con la maschera e non c’era modo di andare a battere alla sua porta per riaverla.

E’ questo il bello di morire: se non hai più niente da perdere, corri tutti i rischi che vuoi.

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Cronache marziane (The Martian Chronicles, 1950)

Fusero religione, arte e scienza, perché alla base, la scienza non è che la spiegazione di un miracolo che non riusciamo mai a spiegare e l’arte è un’interpretazione di quel miracolo.

Il mio cuore batte, il mio stomaco ha fame, la mia bocca ha sete. No, né morti né vivi, tu e io. Più vivi di ogni altra cosa. Ma presi in mezzo, direi. Due sconosciuti che si sfiorano nelle tenebre della notte, ecco che cosa siamo. Due sconosciuti in cammino.

I robot: sessuati ma privi di sessualità, battezzati ma senza nome. Con ogni particolare preso a prestito dall’umanità meno l’umanità stessa, i robot fissavano i coperchi inchiodati delle casse con la scritta “Franco di porto” in una morte che non era nemmeno morte, perché non c’era mai stata la vita.

Gli uomini di Marte si accorsero che per sopravvivere avrebbero dovuto dimenticare la solita domanda: Perché vivere? La vita era risposta a se stessa. La vita era propagazione di maggior vita e di un vivere la miglior vita possibile. La vita era bella ora e non abbisognava di discussioni e di analisi.

La vita sulla Terra non s’è mai composta di qualcosa di veramente onesto e nobile. La scienza è corsa troppo innanzi agli uomini e troppo presto, e gli uomini si sono smarriti in un deserto meccanizzato, come bambini che si passino di mano in mano congegni preziosi, che si balocchino con elicotteri e astronavi a razzo; dando rilievo agli aspetti meno degni, dando valore alle macchine anziché al modo di servirsi delle macchine.

Non è logico che gli uomini debbano accettare un Dio, vero o non vero che sia, con una pelle di colore diverso dalla loro.

C’era come un odore di Tempo, Nell’aria della notte. Tomàs sorrise all’idea, continuando a rimuginarla. Era una strana idea. E che odore aveva il Tempo, poi? Odorava di polvere, di orologi e di gente. E che suono aveva il Tempo? Faceva un rumore di acque correnti nei recessi bui d’una grotta, di voci querule, di terra che risuonava con un tonfo cavo sui coperchi delle casse, e battere di pioggia. E, per arrivare alle estreme conseguenze: che aspetto aveva il Tempo? Era come neve che cade senza rumore in una camera buia, o come un film muto in un’antica sala cinematografica, cento miliardi di facce cadenti come palloncini di capodanno, giù, sempre più giù, nel nulla. Così il tempo odorava, questo era il rumore che faceva, era così che appariva. E quella notte – Tomàs immerse una mano nel vento fuori della vettura – quella notte tu quasi lo potevi toccare, il Tempo.