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Presento una raccolta di frasi, citazioni e aforismi sulla peste. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi su virus e batteri, Frasi, citazioni e aforismi sulla malattia e l’essere malati, Frasi, citazioni e aforismi sulla quarantena e Frasi, citazioni e aforismi sull’epidemia.
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Frasi, citazioni e aforismi sulla peste
Ed ecco che apparve ai miei occhi un cavallo livido, chi lo cavalcava era chiamato Peste e Ade lo seguiva.
(Apocalisse di San Giovanni)
La carestia, la peste e la guerra sono i tre ingredienti più famosi di questo mondo.
(Voltaire)
La peste aveva ricoperto ogni cosa: non vi erano più destini individuali, ma una storia collettiva, la peste, e dei sentimenti condivisi da tutti.
(Albert Camus, La peste)
I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati.
(Albert Camus, La peste)
Il sole incessante, le ore dedicate al sonno e alle vacanze, non invitavano più come prima alle feste dell’acqua e della carne; suonavano vuote, invece, nella città chiusa e silenziosa; avevano perduto il metallico splendore delle stagioni felici. Il sole della peste stingeva tutti i colori e fugava ogni gioia.
(Albert Camus, La peste)
Se fosse stato un terremoto! Una buona scossa e non se ne parla più … Si contano i morti, i vivi, e il gioco è fatto. Ma questa porcheria di peste! Anche coloro che non l’hanno la portano nel cuore.
(Albert Camus, La peste)
Bisogna sorvegliarsi senza tregua per non essere spinti, in un minuto di distrazione, a respirare sulla faccia d’un altro e a trasmettergli il contagio. Il microbo, è cosa naturale. Il resto, la salute, l’integrità, la purezza, se lei vuole, sono un effetto della volontà e d’una volontà che non si deve mai fermare. L’uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile. E ce ne vuole di volontà e tensione per non essere mai distratti; sì, Rieux, essere appestati è molto faticoso.
(Albert Camus, La peste)
Aveva soltanto guadagnato di aver conosciuto la peste e di ricordarsene, di aver conosciuto l’amicizia e di ricordarsene, di conoscere l’affetto e di doversene ricordare un giorno. Quanto l’uomo poteva guadagnare, al gioco della peste e della vita, era la conoscenza e la memoria.
(Albert Camus, La peste)
Dal momento in cui la peste aveva chiuso le porte della città, non erano più vissuti che nella separazione, erano stati tagliati fuori dal calore umano che fa tutto dimenticare. Con gradazioni diverse, in tutti gli angoli della città, uomini e donne avevano aspirato a un ricongiungimento che non era, per tutti, della stessa natura, ma che, per tutti, era egualmente impossibile
(Albert Camus, La peste)
In verità, tutto per loro diventava presente; bisogna dirlo, la peste aveva tolto a tutti la facoltà dell’amore e anche dell’amicizia; l’amore, infatti, richiede un po’ di futuro, e per noi non c’erano più che attimi.
(Albert Camus, La peste)
E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura…
(Giovanni Boccaccio, descrivendo la peste)
Atene fu distrutta dalla paura della peste, non dalla peste.
(Tucidide)
La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia.
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)
Cominciarono prima nel borgo di porta Orientale, poi in ogni quartiere, a farsi frequenti le malattie, le morti con accedenti strani, di spasimi, di palpitazioni, di letargo, di delirio, con quelle insegne funeste di lividi e di bubboni, morti per lo più celeri, violente, repentine, senza alcun indizio antecedente di malattia.
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)
Il tribunale della sanità fece segregare e sequestrare in casa la di lui famiglia; i suoi vestiti e il letto in cui era stato allo spedale, furon bruciati. Due serventi che l’avevano avuto in cura, e un buon frate che l’aveva assistito, caddero anch’essi ammalati in pochi giorni, tutt’e tre di peste. Il dubbio che in quel luogo s’era avuto, fin da principio, della natura del male, e le cautele usate in conseguenza, fecero sì che il contagio non vi si propagasse di più.
Ma il soldato ne aveva lasciato di fuori un seminìo che non tardò a germogliare.
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)
Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un’intera famiglia. Nell’ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, i cadaveri di quella famiglia furono, d’ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza. Un grido di ribrezzo, di terrore, s’alzava per tutto dove passava il carro; un lungo mormorìo regnava dove era passato; un altro mormorìo lo precorreva. La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi fede da sé, ogni giorno di più; e quella riunione medesima non dové servir poco a propagarla.
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)
E’ stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo piú
(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)
I terremoti, le inondazioni, le carestie, le pestilenze sono applicazioni di cieche leggi della natura: cieche, perché la natura materiale non ha intelligenza né libertà.
(Papa Giovanni XXIII)
Più contagiosa che la peste la paura si diffonde in un batter d’occhio.
(Nikolaï Gogol)
Non importa se hai preso l’influenza o contratto la Peste del 1300, tua nonna ti risponderà sempre «Eh sta girando in questo periodo».
(diegoilmaestro, Twitter)
La peste genera se stessa, si riproduce instancabilmente, nonostante e proprio attraverso i tentativi di debellarla – in realtà nascondendola, schiacciandola sulla fragile parete della dimenticanza e della rimozione. L’umanità non è che quella sottile striscia di terra che si stende tra un’ondata e l’altra della peste – emergendo allo scoperto soltanto quando la marea si ritira, prima di risalire e sommergerci di nuovo. Che in alcune stagioni la peste – questa peste nell’uomo e dell’uomo – dilegui, si ritiri, scompaia, è una nostra impressione. Essa è sempre stata lì, in agguato, in attesa di ritornare a esplodere più forte di prima
(Roberto Esposito)
La peste è la metafora del male. Del male che viene da fuori, o dall’alto, come le frecce scagliate da Apollo sui Greci in partenza per Troia. Ma anche, e soprattutto, del male che nasce, e cresce, dentro di noi.
(Roberto Esposito)
Peste, paura della “morte fisica”. Per la peste vigeva la legge del “tutto o nulla”: se non la si evitava, si moriva. Ma si poteva morire anche di angoscia o di paura, come certificava nel 1348 un anonimo cronista spettatore della “peste nera”, annoverando tra le cause di morte lo «sbigottimento delle genti».
(Giorgio Cosmacini)
Gli antichi hanno battezzato «peste» un cataclisma fisico, politico e mentale che affligge l’insieme di una società. Questa malattia mortale inaugura l’Iliade di Omero, riappare nella Tebe di Eschilo, nell’Atene di Tucidide e nell’Italia di Lucrezio. Il Rinascimento, con Boccaccio, Margherita di Navarra e infine Shakespeare, la evoca di nuovo come elemento fondatore in cui la letteratura esplora nuovi modi di esistere e di resistere, mentre il vecchio universo crolla senza speranza di ritorno.
(André Glucksmann)
Mai pestilenza era stata più fatale e più orribile. Il sangue era il suo avatar e il suo sigillo: il rossore e l’orrore del sangue. Erano acuti dolori e improvvisi capogiri, e poi un abbondante sudore sanguigno fino alla dissoluzione. Le macchie scarlatte sul corpo e specialmente sul volto della persona colpita erano il bando di peste che escludeva la vittima da ogni aiuto e da ogni pietà da parte dei suoi simili. E l’attacco, il progredire e la fine del male erano gli episodi di mezz’ora in tutto.
(Edgar Allan Poe)
E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s’avventava a’ sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate. E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l’usare cogli infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator transportare.
(Giovanni Boccaccio)
Nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun’altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.
(Giovanni Boccaccio)
Fu scritto che in Venezia morirono cento mila persone, nel Padovano circa un terzo degli abitanti, due terzi in Bologna, ed ottanta mila in Siena e ne’ sobborghi. In un codice vaticano fu registrato, che in alcuni luoghi di cento persone appena dieci ne rimasero in vita, ed in altri soltanto cinque.
(Fausto Coppi sulla peste del 1348)
È scoppiata un’epidemia di quelle più maligne
con bubboni che appestano uomini, donne e bambini ,
l’infezione è trasmessa da topi usciti dalle fogne
ma hanno visto abilissime mani lanciarli dai tombini ,
son le solite mani nascoste e potenti,
che lavorano sotto, che sono sempre presenti.
(Giorgio Gaber)
Una tal causa di contagio un tale
mortifero bollor già le campagne
ne’ cecropi confin rese funeste,
fe’ diserte le vie, di cittadini
spopolò la città.
(Lucrezio)
Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia.
(Primo Levi)
Il fascismo è un virus, come il virus della peste, del colera e del tifo.
(Bertholt Brecht)
La verità, bisogna pur dirlo, è intollerabile, l’uomo non è fatto per sostenerla; così la evita come la peste.
(E.M. Cioran)
Peste della patria è il giornalismo che accetta le notizie senza vagliarle, quando pur non le inventa.
(Cesare Cantù)
Guerra, peste e carestia, vanno sempre in compagnia.
(Proverbio)
Anne biseste fame, morte e peste – Anno bisesto fame, morte e peste.
(Proverbio molisano)
Cometa porta sulla terra o peste o fame o guerra.
(Proverbio)
Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po’ di retorica. Nel primo caso l’abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio.
(Albert Camus, La peste)