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Come scrive Lichtenberg in uno dei suoi aforismi “Ogni volta che muore un uomo di talento, provo dolore perché il mondo ne ha più bisogno del cielo.

Un anno fa, precisamente la domenica sera di un 6 settembre, moriva Beno Fignon “capelli bianchi e sguardo fanciullo” come scrive di lui Pierangelo Sequeri. Nato nel 1940 a Montereale Valcellina in Friuli (in dialetto friulano scriverà alcune delle sue poesie più belle), milanese di adozione, Beno Fignon è stato un  attivo sindacalista (nel libro “Lei domani sciopera. Memorie del consiglio di fabbrica della sede centrale della Dalmine di Milano” l’autore racconta la sua esperienza sindacale presso la sede centrale della Dalmine a Milano, a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’80).  In campo letterario e artistico la sua memoria resta legata alla fotografia (Cellina, il fiume degli Dei, un libro fotografico sulla Valcellina), alla poesia (ha pubblicato diversi libri dal lontano Isla de Pasqua a Dialet, da Li’ castelanis a Erosmetro, per arrivare alle due raccolte più recenti Sine glossa, 1993 e Il sole insiste, 2005) e all’aforisma (sulla forma breve Beno Fignon scriverà “Da ragazzo più che lanciare grosse pietre nel fiume, amavo scagliare pugni di sassolini. Anzichè quindi provocare note da basso tuba, ottenevo un arpeggio”). Tra le diverse raccolte di aforismi si ricordano Aforismi, 1999, Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità 2003 (2° edizione: 2004), e Capaci di intendersi e di volare (2006).

Quello che caratterizza l’opera di Beno Fignon è prima di tutto la sua inquietudine religiosa. Studioso dei libri sacri, in particolare del Vangelo, Beno Fignon ha scritto poesie segnate da un soffio religioso, ma anche negli aforismi è difficile trovare una sola pagina che non finisca per rinviare a Dio. L’aforisma diventa lo strumento privilegiato di una inchiesta su Dio che però è anche un gioco, un modo di sdrammatizzare. Così nella stessa pagine Beno Fignon può interrogarsi su Dio con religioso stupore:

“Interrogare l’angelo senza perché. Con un perché interrogare il diavolo”

“Dio ha mille nomi ed è in mille misteri, ma solo al Dio cristiano è possibile dare del tu, spingere una porta e incontrarlo”

Oppure essere ironico e smitizzante

Dio ne ha fatte di tutti i colori ma non il grigio del buon senso”

L’Allah della mia cara amica yemenita è così palestrato che il mio Cristo mingherlino e crocefisso avrà sempre la peggio”

L’aforisma eleva verso il cielo ma è anche un colpo di dadi, una combinazione casuale di parole che smonta i luoghi comuni della religione (“l’aforisma spalanca le fessure di paradossi vitali che la religione, talvolta, ha troppo cura di rimuovere”), ironizzando su ciò che è sacro. Un pensiero alto sul divino che viene suddiviso in tanti piccoli pensieri ironici.

Beno Fignon è anche un aforista che non ha paura a parlare dei grandi temi etici e sociali. Le sue arguzie morali hanno sempre la semplicità e la spontaneità del cuore e al tempo stesso tradiscono (da buon sindacalista) una forte tensione per la giustizia sociale:

I nostri avi erano poveri e affaticati, ma non avevano il rantolo perpetuo dell’opulenza”.

Nel suo aforisma polifonico e pluringuistico (tra afasie e affabulazioni e affanni) non manca il Beno Fignon poeta, quello in cui – come scrive Pierangelo Sequeri – “il pensiero religioso e la tradizione poetica si lasciano trafiggere insieme”. Sono molti gli aforismi lirici che Beno Fignon ha scritto, e alcuni di essi hanno addirittura il timbro dell’haiku (Fignon è un attento conoscitore del genere, tanto che in versione friuliana ha pubblicato il libro “Haiku Furlans. Poesia dei magredi“):

“Le foglie falliscono continuamente per esaltare la misericordiosa primavera di Dio”

E’ per far spuntare un fiore che la stella fissa la terra”

“Il fiume e il vento portano mille verità all’albero e al monte”

Come scrive Pontiggia nel libro Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità “gli autori di aforismi compongono con le loro tessere, ciascuna autonoma, il mosaico di un autoritratto. I più deboli ci offrono un catalogo di arguzie anonime, come il frigorifero di una casa di campagna dove tutti i cibi, dopo l’ultima incursione, sono scaduti e vanno gettati via”. Beno Fignon appartiene sicuramente alla schiera dei primi

In ricordo di Beno Fignon si sono svolte diverse iniziative tra cui “Su le alis de sisillis/ Sulle ali delle rondini” (link)che si è svolto a Magnago il 9 settembre di quest’anno con letture di testi e concerto dei fisarmonicisti (Beno Fignon era un appassionato suonatore della fisarmonica).  Per ricordare Beno Fignon, Aforisticamente presenta qui di seguito una selezione di aforismi tratti da Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità, Rubettino Editore, 2004. Come scrive bene Gino Ruozzi “nel libro Beno Fignon opta per una suddivisione tematica in quattordici sezioni e per una numerazione non in successione (l’aforisma con cui si apre la raccolta ha il n. 296 e quello con cui si chiude il n. 972; il n. 1è a p. 34, tra il n. 758 e il n. 764); altra particolarità è che i testi, tutti separati dallo spazio bianco, sono giustifi cati al centro e i più lunghi talvolta producono un effetto grafico simile a quello della poesia, perciò quasi più di epigramma che di aforisma”.

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Beno Fignon, Mille e un respiro. Aforismi, afasie, affanni, affabulazioni, affabilità, Rubettino Editore, 2004

420.

Il giusto che si pensa tale non conoscerà la salvezza.
Il peccatore che si pensa tale non sarà condannato.

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387.

Appena lo circoscrivi, Dio evade.
Resta la voce che lo cerca.

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352.

Le sue ferite. Le nostre feritoie.

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328.

Cristo non ha detto “Beati i timidi”.

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714.

I nostri avi erano poveri e affaticati,
ma non avevano il rantolo perpetuo dell’opulenza.

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195.

Emigrati. Quando l’Africa ha spinto l’Italia
sono nate le Dolomiti.

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257.

Ho sognato la metastasi del bene.

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961.

De Amicis oggi scriverebbe ancora “Cuore”?
Più probabilmente “Stomaco”.

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758.

Spacciatori. Quanti di noi non si spacciano per buoni?

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774.

A volte mi circondano persone che mi tirano giù perché sono basso. Altre volte mi tirano giù perché sono alte.

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709.

Capire è il vero possesso.

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779.

Cosa praticano nella realtà di ogni giorno
gli uomini più biechi? Romanzi Rosa.

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167.

Parolaio infuocato.
Sotto il fuoco, quasi sempre, la cenere.

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293.

I partiti. Ormai sono tutti arrivati.

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6.

Anche quando il potere non alza la voce parla a voce alta.

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382.

I politici si occupano solo dell’emergenza e solo per emergere.

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538.

Per piangere si usano ben 65 muscoli, per ridere soltanto 19,
disse l’amico con una larva di sorriso.

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819.

Autobiografie. Bisognerebbe avere il coraggio di scriverle quando si è nessuno e non si ha niente da dire.

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778.

La palla del bambino che rimbalza in un cortile altrui
e viene fatta a pezzi, fa molto padania.

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364.

Siamo stati dèi? Molto di più. Avevamo dodici anni.

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8.

Anche il bene più grande è imperfetto.
Anche il male più piccolo è perfetto.

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918.

L’uomo che non sa giocare, detto homo de-ludens.

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98.

“Ha gli occhi spietati di chi si sente amato sopra ogni cosa”.
(Elias Canetti)
Ha gli occhi lessati di chi si sente amata sopra ogni cosa.

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369.

Anche la foto ai bambini fatta dalla mamma
è diversa da quella del papà.

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251

Lo zaino, anziché sulle spalle, lo tengono sul fondo schiena.
Non avrebbero vinto la guerra del ’15/18.

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995.

Quando si è giovani e si sbaglia, si presume, si spreca, basta allungare la mano e prendere dal mucchietto un altro anno di vita.

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4.

La poesia giova all’umanità.
I poeti nuocciono alla poesia.

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600.

Ma quali orizzonti! Nicchie. Ovunque.

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921.

Se uno è brutto ha il compito di dire agli altri che sono belli.
E non è un compito da niente.

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395.

Il fiume e il vento portano mille verità all’albero e al monte.

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271.

Quel ciliegio fra le banche metropolitane
con i suoi rialzi primaverili.

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543.

Le foglie falliscono continuamente
per esaltare la misericordiosa primavera di Dio.

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542.

L’Allah della mia cara amica yemenita è così palestrato
che il mio Cristo mingherlino e crocefisso
avrà sempre la peggio.

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424.

Dio ne ha fatte di tutti i colori, ma non il grigio del buon senso.

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