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Vorrei parlare in questo articolo dedicato alla scrittura aforistica femminile di un’altra aforista, Marcella Tarozzi (il cognome esteso è Marcella Tarozzi Goldsmith), che è la vincitrice dell’edizione 2008 nella sezione opere edite del Premio Torino in Sintesi con la silloge D’un tratto.
Marcella Tarozzi, nata in Emilia nel 1943, ha effettuato i suoi studi in filosofia prima all’Università di Bologna dove ha conseguito la laurea, poi alla Georgetown University di Washington dove ha ottenuto il Dottorato di Ricerca (PhD) sempre in filosofia. Abita e lavora a New York da diversi anni. Nel 1991 ha pubblicato Non Representational Forms of the Comic presso l’editore Peter Lang (New York, Berna, 1991). Ha sviluppato poi i suoi interessi in campo estetico scrivendo diversi articoli e pubblicando un altro libro: The Future of Art—An Aesthetics of the New and the Sublime (Albany: SUNY Press, 1999). Sta lavorando a un libro su Nietzsche, che dovrebbe essere pronto nel 2013. Si diletta anche di acquerelli che dipinge in linee astratte.
L’interesse di Marcella Tarozzi per gli aforismi è di lunga data: ha cominciato a leggere La Rochefoucault quando frequentava la scuola superiore, è lettrice di Lichtenberg, Kraus, Paul Valery, Cioran. Ha cominciato a scriverne lei stessa dopo il suo dottorato. Come aforista ha pubblicato quattro sillogi in lingua italiana: “Aforismi (Società editrice Andromeda, Bologna, 1989), Da un altrove – Aforismi (Società Editrice Andromeda, Bologna, 1998, Il silenzio e la parola – Aforismi (Pendragon, Bologna, 2001), D’un tratto (Joker, Novi Ligure, 2006). Ha scritto anche brevi racconti di carattere filosofico e tiene un diario in italiano da diversi anni.
Come molti altri autori contemporanei Marcella Tarozzi cerca di rinnovare il genere aforistico. Nella silloge D’un tratto la scrittura aforistica mette da parte alcuni modelli tipici dell’aforisma come il motto di spirito, il calembour, l’effetto comico e la pointe paradossale per sperimentarne di nuovi. Gli aforismi della Tarozzi sembrano linee di confine che si aprono dinnanzi ad altre linee, folgorazioni che rimandano ad altre folgorazioni (del resto il titolo della raccolta D’un tratto sembra proprio rimandare al concetto di folgorazione).
Nella prefazione a D’un tratto Sandro Montalto usa l’immagine del “mazziere” ed effettivamente la scrittura aforistica della Tarozzi assomiglia a quella di un mazziere che mescola infinite volte le sue carte alla ricerca del senso ultimo al di là del limite della scrittura e della parola (“Appesa a un filo la parola, con tanto di spartiacque fra senso e non senso” scrive in un aforisma). Così in D’un tratto si trovano decine di variazioni su temi come il tempo, l’eternità, il bello, il sublime, il brutto, la verità, l’essere, l’esistere, il mondo, la psiche, il linguaggio, l’arte, il nulla, il tutto, il silenzio, la libertà, la felicità, Dio, per citarne i principali. Ecco come viene trattato, con ripetute variazioni, il tema del tempo (cito solo da pag. 13 a pag. 25 della silloge D’un tratto).
“Sconfiggere il tempo. Lo si fa se non lo si pensa.”
“Il tempo non saprebbe procacciarsi l’eternità. Un caso di malformazione?”
“Il tempo copia l’eternità, un poco alla volta.”
“Dobbiamo tutto al tempo, tranne la temporalità.”
“Al tempo si dà lo spazio necessario per conoscerci.”
“All’istante: il tempo che per una volta sa quello che vuole.”
“Sorprende il farsi del tempo: sa trattare immancabilmente con se stesso.”
“Il tempo si fa servire, ma che non pretenda di sapere tutto su di noi.”
“Il tempo si permette di trascorrere, gli è impossibile negarsi fino in fondo.”
“Ci ruota intorno il tempo, eppure rimane legato alle sue convinzioni di sempre.”
“Il tempo si intromette dovunque: libero accesso di giorno.”
La forma utilizzata è quella classica della sentenza e dell’apoftegma, ma Tarozzi la svuota dei suoi tratti moralistici e didascalici. In perenne bilico tra la trattazione discorsiva (tipica del saggio filosofico ed estetico) e il bianco ineffabile dei margini (da notare che nessun aforisma va mai oltre la riga), tra la logica dell’argomentazione e il lampo dell’abbreviazione, l’aforisma della Tarozzi muove non dal senso, ma dalla sua indecifrabilità, non è assertivo, ma oracolare, talora enigmatico. Il lettore è così chiamato più che a una riflessione, a una intuizione, più che a un giudizio a un ascolto.
Affinché il lettore comprenda meglio la particolarità della scrittura di Marcella Tarozzi, presento qui di seguito una selezione di aforismi tratti dalla raccolta D’un tratto che – voglio ricordare – ha vinto il Premio Torino in Sintesi 2008 nella sezione opere edite:
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Marcella Tarozzi, D’un tratto, Edizioni Joker, 2006
Sempre attenti a imporre un senso al senso, ne siamo tuttavia costernati.
Sconfiggere il tempo: lo si fa se non lo si pensa.
La morte ci assomiglia ma non sa fare altro.
La realtà: messa lì apposta perché ci si inciampi.
Il tempo copia l’eternità, un poco alla volta.
La sincerità: un concentrato di vero e di imponderabile.
All’istante: il tempo che per una volta sa quello che vuole.
Il silenzio rincorre la parola: si incontrano a mezza strada.
Di mistero in mistero, si scopre il valore dell’inesistente.
La coscienza non si prefigge dei traguardi: se ne sta lì, semplicemente.
Rivolgersi alla felicità è intrattenersi con una sconosciuta.
Superiore all’ironia: il riso ha il potere di sobillare l’esistente.
La felicità dei gatti: desiderano solo loro stessi.
Diverte il linguaggio: ricalca imperfettamente l’umana imperfezione.
Dove si trova il qui e ora? Né qui né ora.
Devastante il mondo morale: non contempla la scioltezza.
Dove dirigersi, a chi rivolgersi se la realtà è nelle mani di sconosciuti?
Una per una le esperienze: le sottrazioni verranno con l’affaticamento.
La mano: chi decide la difficoltà del gesto?
A metà: è d’obbligo proseguire o rituffarsi nell’indesiderato.
Il tempo: un tutore che non si occupa di pedagogia.
Stare attenti a non confondere il tutto e la parte, sono quasi sinonimi.
Una libreria è un luogo dove si battezza la parola.
Lo straordinario non ha bisogno di essere impeccabile.
Esotici e il bene e il male: a metà cammino si pensa ad altro.
L’essere: più ambiguo del nulla.
Rincorrendo la volontà si dimentica la libertà.
E allora il sublime? Troviamogli posto tra gli eventi, non le cose.
Appesa a un filo la parola, con tanto di spartiacque fra senso e non senso.
Se proibiamo l’infelicità, rimarrà lo strazio.
Il canto: il precipitarsi sulla parola.
La filosofia si vanta di scomodare tutte le altre scienze.
Un incanto l’essere se non accompagnato dall’esistente.
Impervio il mondo, della sua rotondità non è convinto.
Niente di più imperfetto del presente, con i suoi minuti contati.
Gli sguardi notano il vero e il falso, il falso prima del vero.
La verità: pienezza e divagazioni.
La bellezza: c’è il pericolo che si fermi alla metafisica.
Proveniente dal nulla il nulla. Si può essere più coerenti?
Avvicinarsi alla pittura: liberi di stravedere.
Si tronca un rapporto nel caso che l’altro trasferisca altrove la sua mente.
La massa: l’identità degli indiscernibili.
Il linguaggio è un giacimento in cui rinchiudere, cioè limitare l’infinito.
Chi vive di ottimismo, ama i tentativi.
Soprappensiero: è così che si confermano gli sperperi della psiche.
Non ispeziona il mondo l’arte, lo avvicina a sé per poi deviarne il corso.
L’ironia: se apocalittica diventa sogghigno.
Ancora da spiegare: la noia e le guerre.
Un appunto: e subito si guasta il rapporto tra io e tu, due verità, due sintassi.
Il mondo: né immacolato né inesistente.
Ai colori si chiede conforto, al linguaggio colore.