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Filosofo e saggista, maestro indiscusso dell’aforisma a cui ha affidato tutti i suoi pensieri (componendo un’opera frammentaria, disgregata, a schegge, asistematica), Emil Cioran nacque l’8 aprile 1911 a Rasinari (Sibiu) in Transilvania.
Visse dal 1937 a Parigi (“la città ideale per essere un fallito”) con lo statuto di apolide, poiché non volle mai chiedere la cittadinanza francese. Emil Cioran morì a Parigi il 20 giugno del 1995.
Considerato un filosofo fuori e contro la filosofia, Emil Cioran (o anche E.M. o EM Cioran “ho rinunciato al mio nome di battesimo e al suo posto metto sempre le iniziali E.M. A ognuno le sue manie”) ama definirsi un “idolatra del dubbio”, “un dubitatore in ebollizione”. Le sue opere sono state pubblicate in lingua italiana dall’editore Adelphi.
Presento una raccolta delle frasi e aforismi più belli di Emil Cioran (di molti aforismi c’è anche l’originale in lingua francese). Tra i temi correlati si veda Gli aforismi più belli di Karl Kraus, Gli aforismi più belli di Georg Christoph Lichtenberg, Frasi, aforismi e massime di François de La Rochefoucauld e Le frasi più belle di Friedrich Nietzsche.
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Le frasi e gli aforismi più belli di Emil Cioran
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Sillogismi dell’amarezza (Syllogismes de l’amertume, 1952)
La tristezza: un appetito che nessun dolore sazia.
[La tristesse : un appétit qu’aucun malheur ne rassasie.]
Lo spermatozoo è il bandito allo stato puro.
[Le spermatozoïde est le bandit à l’état pur.]
Siamo tutti dei commedianti: sopravviviamo ai nostri problemi.
[Nous sommes tous des farceurs : nous survivons à nos problèmes]
Perché frequentare Platone, quando un sassofono può farci intravedere altrettanto bene un altro mondo?
[À quoi bon fréquenter Platon, quand un saxophone peut aussi bien nous faire entrevoir un autre monde ?]
Il segreto del mio adattamento alla vita? Ho cambiato disperazioni come si cambia di camicia.
[Le secret de mon adaptation à la vie ? – J’ai changé de désespoir comme de chemise.]
Perché ritirarsi e abbandonare la partita, quando restano ancora tante persone da deludere?
[Pourquoi nous retirer et abandonner la partie, quand il nous reste tant d’êtres à décevoir ?]
Se c’è qualcuno che deve tutto a Bach, questi è proprio Dio.
[S’il y a quelqu’un qui doit tout à Bach, c’est bien Dieu.]
Obiezione contro la scienza: questo mondo non merita di essere conosciuto.
[Objection contre la science : ce monde ne mérite pas d’être connu.]
Senza l’idea del suicidio, mi sarei ucciso subito.
Sperare significa smentire l’avvenire.
[Espérer, c’est démentir l’avenir]
All’interno di ogni desiderio lottano un monaco e un macellaio.
[Un moine et un boucher se bagarrent à l’intérieur de chaque désir.]
I miei dubbi li ho acquisiti con fatica: le mie delusioni, come se mi attendessero da sempre, sono arrivate da sé.
[Mes doutes, je les ai acquis péniblement ; mes déceptions, comme si elles m’attendaient depuis toujours, sont venues d’elles même.]
Annoiarsi è masticare tempo.
[S’ennuyer c’est chiquer du temps.]
Incredibile che la prospettiva di avere un biografo non abbia indotto nessuno a rinunciare ad avere una vita.
[Il est incroyable que la perspective d’avoir un biographe n’ait fait renoncer personne à avoir une vie.]
Nelle prove cruciali la sigaretta è un aiuto più efficace dei Vangeli.
[Dans les épreuves cruciales, la cigarette nous est d’une aide plus efficace que les évangiles.]
Il pallore ci mostra fino a che punto il corpo può capire l’anima.
[La pâleur montre jusqu’où le corps peut comprendre l’âme.]
Appena adolescente, la prospettiva della morte mi gettava nell’angoscia; per sfuggirvi mi precipitavo al bordello o invocavo gli angeli. Ma, con l’età, ci si abitua ai propri terrori, non si fa più niente per liberarsene, ci si imborghesisce nell’Abisso.
Chi si uccide per una puttana fa un’esperienza più completa e più profonda dell’eroe che mette a soqquadro il mondo.
Fallire la propria vita significa accedere alla poesia – senza il supporto del talento.
Il Divenire: un’agonia senza epilogo.
In questo universo, i nostri assiomi hanno solo un valore di cronaca.
In un mondo senza malinconia gli usignoli si metterebbero a ruttare.
La libertà è il bene supremo solo per quelli che sono animati dalla volontà di essere eretici.
La noia è un’angoscia larvale, un umor nero, un odio sognante.
La carne è incompatibile con la carità: l’orgasmo trasformerebbe un santo in lupo.
Migliaia di volte mi sono ritirato in quel ripostiglio che è il cielo; migliaia di volte ho ceduto al desiderio di soffocarmi in dio.
Nella mia infanzia, ci divertivamo, i miei compagni ed io, ad osservare il becchino al lavoro. A volte ci passava un cranio con cui giocavamo a pallone. Era per noi una gioia che nessun pensiero funereo veniva a offuscare.
Nella ricerca del tormento, nell’accanimento alla sofferenza, solo il geloso può competere con il martire. Eppure, si canonizza l’uno e si ridicolizza l’altro.
Ogni occidentale tormentato fa pensare ad un eroe dostoevskiano con un conto in banca.
Onan, Sade, Masoch – che fortunati! I loro nomi, al pari delle loro imprese, non tramonteranno mai.
Se Noè avesse avuto il dono di leggere il futuro, non c’è alcun dubbio che si sarebbe fatto colare a picco.
Senza Dio tutto è nulla. E Dio? Nulla supremo.
[Tout sans Dieu est néant ; et Dieu n’est que le néant suprême.]
Vago attraverso i giorni come una puttana in un mondo senza marciapiedi.
Ho tolto di mezzo Dio per bisogno di raccoglimento, mi sono sbarazzato di un ultimo seccatore.
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Squartamento (Écartèlement, 1979)
Allo zoo. – Tutte queste bestie hanno un contegno decente, all’infuori delle scimmie. Si sente che l’uomo non è lontano.
[Au zoo. Toutes ces bêtes ont une tenue décente, hormis les singes. On sent que l’homme n’est pas loin.]
Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo.
[Un livre doit remuer des plaies, en provoquer même. Un livre doit être un danger.]
Un uomo che si rispetti non ha patria.
[Un homme qui se respecte n’a pas de patrie.]
Niente rende modesti, neppure la vista di un cadavere.
[Rien ne rend modeste, pas même la vue d’un cadavre.]
Chi non ha sofferto non è un essere: tutt’al più un individuo.
Si è e si resta schiavi finché non si è guariti dalla mania di sperare.
[On est et on demeure esclave aussi longtemps que l’on n’est pas guéri de la manie d’espérer.]
Un libro che, dopo aver demolito tutto, non demolisca anche se stesso, ci avrà esasperato invano.
[Un livre qui, après avoir tout démoli, ne se démolit pas lui-même, nous aura exaspérés en vain.]
La morte è uno stato di perfezione, il solo alla portata di un mortale.
[La mort est un état de perfection, le seul à la portée d’un mortel.]
Morire a sessanta o a ottant’anni è più duro che a dieci o a trenta. L’assuefazione alla vita, ecco la difficoltà. Perché la vita è un vizio. Il più grande che ci sia. Il che spiega perché si faccia tanta fatica a sbarazzarsene.
L’apparizione della vita? Una follia passeggera, un tiro mancino, una fantasia degli elementi, un ghiribizzo della materia.
All’Inferno, il cerchio meno affollato ma più duro di tutti, deve essere quello in cui non si può dimenticare il Tempo un solo istante.
Fondare una famiglia. Credo che mi sarebbe stato più facile fondare un impero.
La conversazione è feconda soltanto tra spiriti dediti a consolidare le loro perplessità.
La speranza è la forma normale del delirio.
La timidezza, fonte inesauribile di disgrazie nella vita pratica, è la causa diretta, anzi unica, di ogni ricchezza interiore.
[La timidité, source inépuisable de malheurs dans la vie pratique, est la cause directe, voire unique de toute richesse intérieure.]
La vecchiaia, in definitiva, non è che la punizione di essere vissuti.
[La vieillesse, en définitive, n’est que la punition d’avoir vécu.]
Proverbio cinese: “Quando un solo cane si mette ad abbaiare a un’ombra, diecimila cani ne fanno una realtà”. Da mettere in epigrafe a ogni commento sulle ideologie.
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L’inconveniente di essere nato (De l’inconvénient d’être né, 1973)
Se potessimo vederci con gli occhi degli altri, scompariremmo all’istante.
[Si l’on pouvait se voir avec les yeux des autres, on disparaîtrait sur-le-champ.]
Soltanto chi non ha approfondito nulla può avere delle convinzioni.
[N’a de convictions que celui qui n’a rien approfondi.]
I libri andrebbero scritti unicamente per dire cose che non si oserebbe confidare a nessuno.
[On ne devrait écrire des livres que pour y dire des choses qu’on n’oserait confier à personne.]
Più gli uomini si allontanano da Dio, più progrediscono nella conoscenza delle religioni.
[Plus les hommes s’éloignent de Dieu, plus ils avancent dans la connaissance des religions.]
La coscienza è molto più della scheggia, è il pugnale nella carne.
[La conscience est bien plus que l’écharde, elle est le poignard dans la chair.]
È chiaro come il sole che Dio era una soluzione e che non ne troveremo mai una altrettanto soddisfacente.
[Il est évident que Dieu était une solution, et qu’on n’en trouvera jamais une autre qui soit aussi satisfaisante.]
L’uomo accetta la morte, ma non l’ora della propria morte. Morire in qualunque momento, tranne quando bisogna morire.
[L’homme accepte la mort, mais non l’heure de sa mort. Mourir n’importe quand, sauf quand il faut que l’on meure.]
Permettendo l’uomo, la natura ha commesso molto più che un errore di calcolo: ha commesso un attentato contro se stessa.
[En permettant l’homme, la nature a commis beaucoup plus qu’une erreur de calcul : un attentat contre elle-même]
L’aforisma? Un fuoco senza fiamma. Si capisce che nessuno vi si voglia riscaldare.
[L’aphorisme ? Un feu sans flamme. On comprend que personne ne veuille s’y réchauffer.]
Dio soltanto ha il privilegio di abbandonarci. Gli uomini possono solo mollarci.
[Dieu seul a le privilège de nous abandonner. Les hommes ne peuvent que nous lâcher.]
Abbiamo perduto nascendo quanto perderemo morendo. Tutto.
[Nous avons perdu en naissant autant que nous perdrons en mourant. Tout.]
Il diritto di sopprimere tutti quelli che ci infastidiscono dovrebbe figurare al primo posto nella costituzione della città ideale.
A differenza di Giobbe non ho maledetto il giorno della mia nascita; gli altri giorni, in compenso, li ho coperti tutti di anatemi.
Il fallimento, sempre essenziale, ci svela a noi stessi, ci permette di vederci come ci vede Dio, mentre il successo ci allontana da quanto c’è di più intimo in noi e in tutto.
Aver commesso tutti i crimini, tranne quello di essere padre.
Bisogno fisico di disonore. Mi sarebbe piaciuto essere figlio di boia.
Disfare, de-creare, è il solo compito che l’uomo possa assegnarsi, se aspira, come tutto lascia supporre, a distinguersi dal Creatore.
L’Occidente, un marciume che sa di buono, un cadavere profumato.
L’uomo emana un odore speciale: fra tutti gli animali, soltanto lui puzza di cadavere.
Non posseggo la fede, per mia fortuna. Se l’avessi, vivrei nella paura costante di perderla. Quindi, lungi dall’aiutarmi, essa mi nuocerebbe soltanto.
La lucidità non estirpa il desiderio di vivere, tutt’altro, rende solo inadatti alla vita.
Non è umile colui che odia se stesso.
Un’idea, un essere, qualsiasi cosa si incarni perde il suo volto, tende al grottesco.
I peggiori misfatti vengono commessi per entusiasmo, stato morboso responsabile di quasi tutte le sventure, pubbliche e private.
Una sola cosa conta: imparare a essere perdenti.
La mia facoltà di essere deluso oltrepassa l’intendimento. Essa, che mi fa capire il Buddha, è la medesima che mi impedisce di seguirlo.
Di solito sono così sicuro che tutto sia privo di consistenza, di fondamento, di giustificazione, che chi osasse contraddirmi, foss’anche l’uomo che stimo di più, mi apparirebbe come un ciarlatano o un rimbambito.
Dio: una malattia dalla quale ci si crede guariti perché non ne muore più nessuno.
Essere in vita – improvvisamente sono colpito dalla stranezza di questa espressione, come se essa non si applicasse a nessuno.
Il pensiero della precarietà mi accompagna in ogni circostanza: stamane, imbucando una lettera, mi dicevo che era indirizzata a un mortale.
Quello che so a sessant’anni lo sapevo altrettanto bene a venti. Quarant’anni di un lungo, superfluo lavoro di verifica…
Le notti in cui abbiamo dormito è come se non fossero mai esistite. Restano nella memoria solo quelle in cui non abbiamo chiuso occhio: notte vuol dire notte insonne.
Non vale la pena uccidersi, dato che ci si uccide sempre troppo tardi.
I dolori immaginari sono di gran lunga i più reali, dato che ne abbiamo un bisogno costante e li inventiamo perché non c’è modo di farne a meno.
Non faccio niente, d’accordo. Ma vedo passare le ore – e questo è meglio che cercare di riempirle.
Alberi massacrati. Sorgono case. Facce, facce dappertutto. L’uomo si estende. L’uomo è il cancro della terra.
Se la morte avesse solo lati negativi, morire sarebbe un atto impraticabile.
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Storia e utopia (Histoire et utopie, 1960)
Darei tutti i paesaggi del mondo per quello della mia infanzia.
[Je donnerais tous les paysages du monde pour celui de mon enfance.]
L’ambizione è una droga che fa di colui che vi si dedica un demente in potenza.
[L’ambition est une drogue qui fait de celui qui s’y adonne un dément en puissance.]
Utopia, ricordiamocelo, significa da nessuna parte.
Tutto si può soffocare nell’uomo, salvo il bisogno di assoluto, che sopravviverebbe alla distruzione dei templi e perfino alla scomparsa della religione sulla terra.
Per raggiungere non tanto la felicità quanto l’equilibrio, dovremmo liquidare una buona parte dei nostri simili, praticare quotidianamente il massacro, sull’esempio dei nostri fortunatissimi avi.
Volete costruire una società in cui gli uomini non si nocciano più reciprocamente? Lasciateci entrare soltanto degli abulici.
La storia non è forse, in ultima istanza, il risultato della nostra paura della noia, di quella paura che ci farà sempre prediligere il piccante e la novità del disastro, e preferire qualsiasi disgrazia al ristagno?
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Lacrime e santi (Des larmes et des saints, 1937-1986)
Credo di non avere mai perso un’occasione di essere triste.
[Je ne crois pas avoir raté une seule occasion d’être triste.]
L’unico argomento contro l’immortalità è la noia.
[Le seul argument contre l’immortalité est l’ennui.]
Il dovere di un uomo solo è di essere ancora più solo.
Né abbastanza infelice per essere poeta, né abbastanza indifferente per essere filosofo, io sono soltanto lucido, abbastanza però per essere condannato.
Disprezzo il cristiano perché è capace di amare i suoi simili da vicino. A me, per riscoprire l’uomo ci vorrebbe il Sahara.
L’imbarazzo che proviamo davanti agli infelici è l’espressione della nostra certezza che la sofferenza costituisce il segno distintivo di un essere, la sua originalità. Non si diventa, infatti, uomo grazie alla scienza, all’arte o alla religione, ma grazie al rifiuto lucido della felicità, alla nostra fondamentale incapacità di essere felici.
Signore, sei tu nient’altro che un errore del cuore, come il mondo è un errore della mente?
Se la verità non fosse così tediosa, la scienza avrebbe fatto presto a mettere da canto Dio. Ma Dio, come i santi, è un’occasione per sfuggire all’opprimente banalità del vero.
Tutto manca di sostanza, e la vita è soltanto una piroetta nel vuoto.
Un filosofo sfugge alla mediocrità solo grazie allo scetticismo o alla mistica – le due forme della disperazione di fronte alla conoscenza. La mistica è un’evasione dalla conoscenza, lo scetticismo una conoscenza priva di speranza. Due modi di dire che il mondo non è una soluzione.
Dio ha creato il mondo per paura della solitudine; è questa l’unica spiegazione possibile della Creazione.
Dio si insedia nei vuoti dell’anima. Sbircia i deserti interiori, perché a somiglianza della malattia egli predilige occupare i punti di minor resistenza.
Che non ci sia abbastanza sofferenza, quaggiù? Così si direbbe, a giudicare dallo zelo dei santi, esperti nell’arte dell’autoflagellazione.
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Confessioni e anatemi (Aveux et anathèmes, 1987)
Sono talmente appagato dalla solitudine che il minimo appuntamento è per me una crocifissione.
[Tant la solitude me comble que le moindre rendez-vous m’est une crucifixion.]
Se obbedissi al primo impulso, passerei le giornate a scrivere lettere di ingiurie e di addio.
[Si j’obéissais à mon premier mouvement, je passerais mes journées à écrire des lettres d’injures et d’adieu.]
Il disprezzo è la prima vittoria sul mondo; il distacco l’ultima, la suprema.
[Le mépris est la première victoire sur le monde ; le détachement, la dernière, la suprême.]
Si impara di più in una notte in bianco che in un anno di sonno.
[On apprend plus dans une nuit blanche que dans une année de sommeil.]
Respireremmo finalmente meglio se un bel mattino ci dicessero che la quasi totalità dei nostri simili si è volatilizzata come per incanto.
Nous respirerions enfin mieux si un beau matin on nous apprenait que la quasi-totalité de nos semblables se sont volatilisés comme par enchantement.
Più si è sofferto, meno si rivendica. Protestare è segno che non si è attraversato alcun inferno.
Il fatto che la vita non abbia alcun senso è una ragione di vivere − la sola, del resto.
Non è grazie al genio ma grazie alla sofferenza, e solo grazie ad essa, che smettiamo di essere una marionetta.
Non si abita un paese, si abita una lingua. Una patria è questo, e niente altro.
[On n’habite pas un pays, on habite une langue. Une patrie, c’est cela et rien d’autre.]
Un silenzio improvviso nel mezzo di una conversazione ci riporta d’un tratto all’essenziale: ci rivela a quale prezzo dobbiamo pagare l’invenzione della parola.
[Un silence abrupt au milieu d’une conversation nous ramène soudain à l’essentiel : il nous révèle de quel prix nous devons payer l’invention de la parole]
Alla minima contrarietà, e a maggior ragione al minimo dispiacere, bisogna precipitarsi nel cimitero più vicino, dispensatore immediato di una calma che si cercherebbe invano altrove. Un rimedio miracoloso, per una volta.
Divorare una biografia dopo l’altra per persuadersi meglio dell’inutilità di qualsiasi impresa, di qualunque destino.
La musica esiste solo fintantoché dura l’ascolto, come Dio finché dura l’estasi.
L’arte suprema e l’essere supremo hanno questo in comune: dipendono interamente da noi.
A nessuna sorte avrei potuto adattarmi. Ero fatto per esistere prima della mia nascita e dopo la mia morte, ma non durante la mia esistenza.
L’orgasmo è un parossismo; la disperazione anche. L’uno dura un istante; l’altra una vita.
[L’orgasme est un paroxysme; le désespoir aussi. L’un dure un instant; l’autre, une vie.]
Di tutto ciò che si prova, niente dà tanto l’impressione di essere al cuore stesso del vero quanto gli accessi di disperazione senza ragione: a paragone, tutto sembra frivolo, sofisticato, privo di sostanza e d’interesse.
Non aver realizzato nulla, e morire sfiniti.
Pubblicare un libro comporta lo stesso genere di noie di un matrimonio o di un funerale.
Finché ci sarà ancora un solo dio in piedi, il compito dell’uomo non sarà finito.
Essere o non essere… Né l’uno né l’altro.
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Il funesto demiurgo (Le mauvais démiurge, 1969)
Siamo tutti in fondo a un inferno, dove ogni attimo è un miracolo.
[Nous sommes tous au fond d’un enfer dont chaque instant est un miracle.]
Non si tratta tanto di combattere l’appetito di vivere, quanto il gusto della «discendenza». I genitori sono dei provocatori, o dei pazzi. Che l’ultimo dei malnati abbia facoltà di dare vita, di «mettere al mondo» – può esserci qualcosa di più demoralizzante?
[Ce n’est pas tant l’appétit de vivre qu’il s’agit de combattre, que le goût de la “descendance”. Les parents, les géniteurs, sont des provocateurs ou des fous. Que le dernier des avortons ait la faculté de donner la vie, de “mettre au monde”, – existe-t-il rien de plus démoralisant ?]
È semplice chiacchiera ogni conversazione con chi non ha sofferto.
Il tormento, per alcuni, è una necessità, un bisogno, un appetito, un compiacimento.
[Le tourment chez certains est un besoin, un appétit, et un accomplissement.]
Si distrugge una civiltà soltanto quando si distruggono i suoi dèi.
[On ne détruit une civilisation que lorsqu’on détruit ses dieux.]
La scomparsa degli animali è un fatto di una gravità senza precedenti. Il loro carnefice ha invaso il paesaggio; non c’è posto che per lui. L’orrore di vedere un uomo là dove si poteva contemplare un cavallo!
Forse la follia è soltanto un dispiacere che abbia smesso di evolversi.
La sorte di chi si è ribellato troppo è di non aver più energie se non per la delusione.
Siamo stati felici soltanto nelle epoche in cui, avidi di annientamento, con entusiasmo accettavamo il nostro niente.
Soffrire è produrre conoscenza.
Concepire un pensiero, un solo e unico pensiero − ma che mandasse in frantumi l’universo.
Lei, chi è? − Io sono uno straniero per la polizia, per Dio, per me stesso.
L’ossessione del suicidio è propria di colui che non può né vivere né morire, e la cui attenzione non si allontana mai da questa duplice impossibilità.
Non esiste un mezzo per dimostrare che è preferibile essere piuttosto che non essere.
La differenza fra il teorico della fede e il credente è grande quanto quella fra lo psichiatra e il matto.
Precipitato fuori dal sonno dalla domanda: “Dove va, questo attimo?”. “Alla morte”, fu la mia risposta. E subito tornai a dormire.
Quando si sa che ogni problema è soltanto un falso problema, si è pericolosamente vicini alla salvezza.
Se si eccettuano alcuni casi aberranti, l’uomo non è propenso al bene: quale dio ve lo spingerebbe? È costretto a vincersi, a farsi violenza, per poter compiere il sia pur minimo atto non inquinato dal male.
La psicanalisi sarà un giorno totalmente screditata, su questo non c’è dubbio. Eppure, avrà distrutto i nostri ultimi resti d’ingenuità. Dopo la psicanalisi, non si potrà mai più essere innocenti.
Frivolo e incongruente, dilettante in tutto, avrò conosciuto a fondo soltanto l’inconveniente di essere nato.
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Quaderni (Cahiers 1957-1972)
Tutte le volte che non penso alla morte ho l’impressione di barare, di ingannare qualcuno in me.
[Toutes les fois que je ne songe pas à la mort, j’ai l’impression de tricher, de tromper quelqu’un en moi.]
Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che cercano il senso della vita senza trovarlo e quelli che l’hanno trovato senza cercarlo.
[Spiegare qualsiasi cosa con Dio è cedere a una soluzione di comodo. Dio non spiega niente, questa è la sua forza.] Expliquer quoi que ce soit par Dieu, c’est céder à une solution de facilité. Dieu n’explique rien, c’est là sa force.Per paura di essere uno qualsiasi, ho finito col non essere niente.
[Par peur d’être quelconque, j’ai fini par n’être rien.]
C’è in me una nostalgia di qualcosa che non esiste nella vita e nemmeno nella morte, un desiderio che su questa terra niente appaga, fuorché, in certi momenti, la musica, quando evoca le lacerazioni di un altro mondo.
L’altro: uno che mi impedisce di essere io. Quando si è soli, si è illimitati, si è come Dio. Appena c’è qualcuno, si cozza contro un limite, e presto non si è più niente, si è solo qualcosa.
La vita mi è sempre parsa enigmatica e insignificante, profonda e irreale; un nulla che invita allo stupore.
Un dio comincia a diventare falso nel momento in cui nessuno si degna di farsi ammazzare per lui.
Quando si è soli, anche se non si fa niente, non si ha l’impressione di perdere tempo. In compagnia, invece, lo si sciupa quasi sempre.
Vi è una certa bassezza d’animo a pretendere che, quando siamo infelici, gli altri si interessino alle nostre disgrazie.
Ci vuole uno sforzo quasi sovrumano per poter accusare soltanto noi stessi: ma se lo facciamo, abbiamo la netta sensazione di avvicinarci alla verità. Ahimè! non per questo diventiamo più modesti, semmai più orgogliosi.
Si è se stessi solo quando gli uomini ci voltano le spalle.
Mi intendo pienamente soltanto con quelli che, senza essere credenti, hanno attraversato una crisi religiosa da cui sono rimasti segnati per sempre.
I libri di storia invitano al cinismo quanto quelli di biologia e anche di più.
Trascinarsi pian piano come una lumaca e lasciare la scia, con modestia, applicazione e, in fondo con indifferenza… nella voluttà tranquilla e nell’anonimato.
Bisogna stancare il corpo, affinché la mente non sappia più da dove prendere energia per funzionare, vaneggiare o approfondire.
Lo scettico è la disperazione del diavolo. Il fatto è che lo scettico, non essendo alleato con nessuno, non potrà giovare né al bene né soprattutto al male. Non coopera con niente, nemmeno con se stesso.
Una religione è viva soltanto prima che vengano elaborati i dogmi. Si crede davvero soltanto finché si ignora a che cosa esattamente si deve credere.
Il pessimismo è un segno di squilibrio mentale, come d’altronde l’ottimismo.
Niente mi sembra più assurdo che andare da qualche parte a cercare la saggezza. Se non la trovo nella mia stanzetta sotto il tetto, non la troverò certo sulle cime dell’Himalaya.
Il vero lettore è quello che non scrive. Soltanto lui è capace di leggere ingenuamente – unico modo di sentire un libro.
Ciò che rende interessante un libro è la quantità di sofferenza che contiene. Non sono le idee, sono i tormenti dell’autore a catturarci; sono le sue grida, i suoi silenzi, il suo smarrimento, le sue contorsioni, le sue frasi cariche di insolubile. Di regola, è falso tutto ciò che non nasce dalla sofferenza.
Conta solo il libro che si pianta come un coltello nel cuore del lettore.
Tutti sono condannati, eppure tutti vanno avanti. In questo paradosso sta tutta la bellezza, tutta la giustificazione del mondo.
Spesso mi capita di pensare, durante una cena, in mezzo alla folla, a un concerto, in un giardino: «Tutta questa gente è condannata a morire, non ha scampo». E questa ovvietà, a seconda dell’umore del momento, mi dà sollievo o mi prostra.
Chi ha il gusto del dubbio ha il gusto della tortura. Nello scetticismo c’è innegabilmente una componente masochistica.
A dire il vero, non è la morte, è la malattia quello che temo, l’immensa umiliazione legata al fatto di languire nei paraggi della morte.
È una idiozia totale pretendere di rinunciare all’io, all’amor proprio, alla vanità e all’orgoglio; è impossibile superarli, e quando si crede di averli vinti, si cade in una serie di menzogne senza fine. L’io è incurabile. Non parliamone più. Non si guarisce dall’io.
Datemi dubbi e ancora dubbi. Più che il mio cibo, sono la mia droga. Non posso farne a meno. Ne sono intossicato a vita. Perciò, quando ne trovo uno, uno qualsiasi, mi ci avvento sopra, lo divoro, lo incorporo nella mia sostanza.
Ogni giorno vado verso il Dubbio come altri vanno in ufficio.
Più leggo – e leggo troppo, ahimè! – più trovo che «non ci siamo», che il «vero» sfugge a tutti questi libri che la mia pigrizia divora. Il «vero» bisogna trovarlo in se stessi, non altrove. Ma in me non incontro che dubbio e riflessione sul dubbio.
Un libro è fecondo e durevole solo se è suscettibile di più interpretazioni diverse. Le opere che si possono definire sono essenzialmente effimere. Un’opera vive grazie ai malintesi che provoca.
Lo verifico ogni giorno: si può aver pietà degli uomini, ma amarli è impossibile. È qui, su questo punto cruciale, che il cristianesimo sbaglia.
La noia è l’incontro con sé stessi – attraverso la percezione della propria nullità.
I silenzi inattesi che calano nel bel mezzo di una conversazione vi riportano subito all’essenziale, vi rivelano tutto ciò che l’uomo ha perduto inventando la parola.
Fare è difficile, disfare è facile. Senza questa facilità il male non esisterebbe. E neanche la morte.
Una forma invidiabile di gloria, forse tra le più belle: legare il proprio nome al crollo di una religione.
Il credente e il miscredente soffrono di una stessa forma di orgoglio: cambia solo il contenuto. Entrambi si credono detentori della verità; altrimenti non potrebbero vivere. Ma verità è una parola che non si dovrebbe usare. Ricorrervi è presunzione, anzi spudoratezza.
La verità, bisogna pur dirlo, è intollerabile, l’uomo non è fatto per sostenerla; così la evita come la peste. – Che cos’è la verità? Ciò che non aiuta a vivere. È esattamente il contrario di un aiuto.
Saper dosare la banalità e il paradosso: è tutta qui l’arte del frammento.
La verità, bisogna pur dirlo, è intollerabile, l’uomo non è fatto per sostenerla; così la evita come la peste. – Che cos’è la verità? Ciò che non aiuta a vivere. È esattamente il contrario di un aiuto.
Si può concepire un Dio arbitrario, vendicativo, capriccioso come Yahweh o Zeus, ma non un Dio padre, buono, sollecito come ha fama di essere quello dei cristiani. Se c’è un miracolo, è che questa figura ideale di Padre − mai giustificata dalla realtà, in nessun momento − si sia potuta giustificare per duemila anni.
Qualcuno ha detto molto giustamente: «Io sono quello che non ho fatto». Con questo si deve intendere che gli atti che non abbiamo compiuto, per il fatto stesso che vi pensiamo di continuo, sono il solo contenuto del nostro essere. In altri termini, io sono i miei rimpianti.
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Sommario di decomposizione (Précis de décomposition, 1949)
La vita ispira più paura della morte: è lei il grande Ignoto.
[La vie inspire plus d’effroi que la mort : c’est elle qui est le grand inconnu.]
Date uno scopo preciso alla vita e perderà all’istante il suo fascino.
[Donnez un but précis à la vie : elle perd instantanément son attrait.]
La funzione degli occhi non è quella di vedere, ma di piangere; e per vedere realmente dobbiamo chiuderli.
[La fonction des yeux n’est pas de voir mais de pleurer ; et pour voir réellement il nous faut les fermer.]
Ogni assoluto – personale o astratto – è un modo di eludere i problemi.
[Tout absolu – personnel ou abstrait – est une façon d’escamoter les problèmes.]
Provate a essere liberi: morirete di fame. La società vi tollera soltanto a patto che siate successivamente servili e dispotici.
[Essayez d’être libre : vous mourrez de faim. La société ne vous tolère que si vous êtes successivement serviles et despotiques.]
Le certezze vi abbondano: sopprimetele, sopprimete soprattutto le loro conseguenze, e ricostruirete il paradiso.
L’amore – un incontro di due salive… Tutti i sentimenti attingono il loro assoluto dalla miseria delle ghiandole.
Se tutti coloro che abbiamo ucciso col pensiero scomparissero davvero, la terra non avrebbe più abitanti.
Se cerco la data più mortificante per l’orgoglio dello spirito, se scorro l’inventario delle intolleranze, non trovo niente di paragonabile a quell’anno 529 in cui, per ordine di Giustiniano, fu chiusa la Scuola di Atene. Soppresso ufficialmente il diritto alla decadenza, credere diventa un obbligo… È il momento più doloroso nella Storia del Dubbio.
L’idea che ho potuto – come tutti – essere sinceramente cristiano, fosse anche per un solo secondo, mi getta nello smarrimento. Il Salvatore mi annoia. Sogno un universo immune da intossicazioni celesti, un universo senza croce né fede.
Dovunque una cosa respiri vi è un’infermità in più: non c’è palpito che non confermi lo svantaggio di essere.
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La tentazione di esistere (La tentation d’exister, 1956)
La Verità? Un incaponirsi da adolescenti o un sintomo di senilità.
[La Vérité? Une marotte d’adolescents, ou un symptôme de sénilité.]
L’esperienza del vuoto è la tentazione mistica del non credente, la sua possibilità di preghiera, il suo momento di pienezza.
[L’expérience du vide est la tentation mystique de l’incroyant, sa possibilité de prière, son moment de plénitude.]
Creare una letteratura significa creare una prosa.
[Créer une littérature c’est créer une prose.]
C’è solo una cosa peggiore della noia: la paura della noia.
Pensare significa smettere di venerare, significa levarsi contro il mistero e proclamarne il fallimento.
La plebe vuol essere stordita da invettive, minacce e rivelazioni, da discorsi roboanti: ama gli imbonitori.
Non si abdica da un giorno all’altro: è necessaria un’atmosfera di distacco, accuratamente predisposta, una leggenda della disfatta.
Per alcuni la felicità è una sensazione cosi insolita che appena la provano, si allarmano e s’interrogano su questo nuovo stato; nulla di simile nel loro passato: è la prima volta che si avventurano fuori della sicurezza del peggio.
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La caduta nel tempo (La Chute dans le temps, 1964)
Una civiltà esordisce col mito e termina nel dubbio.
[Une civilisation débute par le mythe et finit par le doute.]
Se si avesse una certa tendenza ad assolvere il creatore, a considerare questo mondo come accettabile e anzi soddisfacente, bisognerebbe sempre fare le proprie riserve sull’uomo, il punto nero della creazione.
[Si on penchait à absoudre le créateur, à considérer ce monde comme acceptable et même satisfaisant, il faudrait encore faire des réserves sur l’homme, ce point noir de la création.]
Se ciascuno di noi confessasse il suo desiderio segreto, quello che ispira tutte le sue azioni ei suoi progetti, direbbe: “Voglio essere lodato”. Eppure nessuno si indurrà a confessarlo, perché è meno disonorevole confessare un crimine che ammettere una debolezza così pietosa e umiliante.
[Si chacun de nous avouait son désir le plus secret, celui qui inspire tous ses projets et tous ses actes, il dirait: “je veux être loué.” Nul ne s’y résoudra, car il est moins déshonorant de commettre une abomination que de proclamer une faiblesse aussi pitoyable et aussi humiliante.]
Nessuno si rimette dal male di nascere, piaga capitale se mai ve ne furono.
[Personne ne se remet du mal de naître, plaie capitale s’il en fut.]
Vi è qualcosa di sacro in ogni essere che non sa di esistere, in ogni forma di vita indenne da coscienza. Colui che non ha mai invidiato il vegetale ha solo sfiorato il dramma umano.
Sapere che si è mortali significa in realtà morire due volte, anzi, tutte le volte che si sa di dover morire.
A tal punto il dubbio su di sé travaglia gli esseri che questi, per porvi rimedio, hanno inventato l’amore, tacito patto fra due infelici per sopravvalutarsi, per incensarsi spudoratamente.
Non vi è che questo pullulare di moribondi affetti da longevità, tanto più detestabili in quanto sanno organizzare così bene la loro agonia.
Il paradiso è assenza dell’uomo.
Ognuno di noi è il prodotto dei suoi mali passati e, se è ansioso, dei suoi mali futuri.
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Al culmine della disperazione (Pe culmile disperãrii, 1934)
La bestialità della vita mi ha calpestato e schiacciato, mi ha tagliato le ali in pieno volo e derubato di tutte le gioie cui avevo diritto.
Una lacrima ha radici più profonde di un sorriso.
Vorrei perdere la ragione a un unico patto: essere sicuro di diventare un pazzo allegro, brioso ed eternamente di buon umore, senza problemi né ossessioni, che ride senza motivo dalla mattina alla sera.
Ci sono due modi di sentire la solitudine: sentirsi soli al mondo o avvertire la solitudine del mondo.
L’insonnia è una vertiginosa lucidità che riuscirebbe a trasformare il Paradiso stesso in un luogo di tortura.
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Intervista con Fernando Savater (Escribir para despertar, El Pais, 23 ottobre 1977)
Lo scrivere, per poco che valga, mi ha aiutato a passare da un anno all’altro, perché le ossessioni espresse si attenuano e in parte vengono superate. Sono certo che se non fossi stato un imbrattacarte mi sarei ucciso da un pezzo. Scrivere è un enorme sollievo. E pubblicare anche.
Ciò che ho amato innanzitutto della Romania è stato il suo lato estremamente primitivo. Non mancavano, certo, persone civilizzate, ma io preferivo gli illetterati, gli analfabeti…
La musica ungherese, tzigana, mi commuove profondamente. Io sono un miscuglio di ungherese e di rumeno. Il popolo rumeno, curiosamente, è il popolo più fatalista del mondo.
Io credo che un libro debba essere davvero una ferita, che debba cambiare in qualche modo la vita del lettore. Il mio intento, quando scrivo un libro, è di svegliare qualcuno, di fustigarlo. Poiché i libri che ho scritto sono nati dai miei malesseri, per non dire dalle mie sofferenze, è proprio questo che devono trasmettere in qualche maniera al lettore. No, non mi piacciono i libri che si leggono come si legge un giornale: un libro deve sconvolgere tutto, rimettere tutto in discussione.
Credo che la filosofia non sia più possibile se non come frammento. Sotto forma di esplosione. Ormai non è più possibile mettersi a elaborare un capitolo dopo l’altro in forma di trattato.
La noia è una vertigine, ma una vertigine tranquilla, monotona; è la rivelazione della futilità universale, è la certezza, spinta fino allo stupore o fino alla chiaroveggenza suprema, che non si può, non si deve fare niente né in questo mondo né in quell’altro, non esiste al mondo niente che possa servirci o soddisfarci.
Non dimentichi di dire che io sono soltanto un marginale, uno che scrive per svegliare. Lo riferisca: i miei libri aspirano a svegliare.
Un libro che lascia il lettore uguale a com’era prima di leggerlo è un libro fallito.