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Le frasi più belle di Francesco Petrarca

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Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374) può essere legittimamente considerato il fondatore della lirica moderna, grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere (denominato anche “Rerum vulgarium fragmenta”), un’opera composta a più riprese nel corso di tutta la vita del poeta e che comprende 366 componimenti in versi italiani.

A proposito di Francesco Petrarca, il poeta inglese Lord Byron scrisse ironicamente: “Se Laura fosse stata la moglie del Petrarca, lui avrebbe scritto sonetti tutta la vita?”.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Francesco Petrarca, tratte dalle sue poesie (Canzoniere e Trionfi) e dalle sue epistole e dai suoi trattati. Tra i temi correlati si veda Le frasi e i versi più celebri della Divina Commedia e Le poesie più belle e famose di Giacomo Leopardi.

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Le frasi più belle di Francesco Petrarca tratte dalle sue poesie (Canzoniere e Trionfi) e dalle sue epistole.

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Canzoniere

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo, ove piacque,
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare al bel fianco colonna.
(Canzoniere, CXXVI)

Pace non trovo, et non ho da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.
(Canzoniere, CXXXIV)

Seguite i pochi, e non la volgar gente.
(Canzoniere, LXXVIII)

Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, e l’anno,
e la stagione, e ’l tempo, e l’ora, e ’l punto,
e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto
da’ duo begli occhi che legato m’hanno;
e benedetto il primo dolce affanno
ch’i’ebbi ad esser con Amor congiunto,
e l’arco, e le saette ond’i’ fui punto,
e le piaghe che ’nfin al cor mi vanno.
(Canzoniere, LXI)

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?
(Canzoniere, XC)

Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro, che pur voce humana.
(Canzoniere, XC)

Il bel paese
ch’Appennin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe.
(Canzoniere, CXLVI)

La vita fugge, et non s’arresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi dànno guerra, et le future anchora;
(Canzoniere, CCLXXII)

Cosa bella e mortal passa e non dura.
(Canzoniere, CCXLVIII, 8)

Femina è cosa mobil per natura;
ond’io so ben, ch’un’amoroso stato
in cor di donna picciol tempo dura
(Canzoniere, CL)

S’amor non è, che dunque è quel ch’io sento?
Ma s’egli è amor, perdio, che cosa et quale?
Se bona, onde l’effecto aspro mortale?
Se ria, onde sí dolce ogni tormento?
S’a mia voglia ardo, onde ’l pianto e lamento?
S’a mal mio grado, il lamentar che vale?
O viva morte, o dilectoso male,
come puoi tanto in me, s’io no ’l consento?
(Canzoniere, CXXXII)

Quanto piace al mondo è breve sogno.
(Incipit Canzoniere)

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,
del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ‘l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
(Incipit Canzoniere)

Allor fui preso; e non mi spiacque poi,
Sì dolce lume uscia degli occhi suoi.
(Canzoniere, XXIII)

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co’llui.
(Canzoniere XXXV)

Che s’aspetti non so, né che s’agogni,
Italia, che suoi guai non par che senta:
vecchia, otïosa et lenta,
dormirà sempre, et non fia chi la svegli?
(Canzoniere, LIII)

Povera, e nuda vai, Filosofia,
Dice la turba al vil guadagno intesa.
(Canzoniere, VII)

O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie diürne,
fonte se’ or di lagrime nocturne,
che ’l dí celate per vergogna porto
(Canzoniere, CCXXXIV)

Quand’io veggio dal ciel scender l’Aurora
co la fronte di rose et co’ crin’ d’oro,
Amor m’assale, ond’io mi discoloro,
et dico sospirando: Ivi è Laura ora.
(Canzoniere, CCL)

Un bel morir tutta la vita honora.
(Canzoniere, CCVII)

Qui non palazzi, non teatro, o loggia,
Ma ’n lor vece un’abete, un faggio, un pino
Tra l’erba verde, e ’l bel monte vicino,
Onde si scende poetando.
(Canzoniere, X)

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
(Canzoniere, XXXV)

L’aura che ’l verde lauro et l’aureo crine
soavemente sospirando move.
(Canzoniere, CCLXXXVIII)

Quando avrò queto il cor’, asciutti gli occhi,
Vedrem ghiacciare il foco, arder la neve.
(Canzoniere, VII)

Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sì spesse veggio,
piacemi almen che’ miei sospir’ sian quali
spera ‘l Tevero et l’Arno,
e ‘l Po, dove doglioso et grave or seggio.
(Canzoniere, CXXVIII)

Questo nostro caduco e fragil bene
ch’è vento ed ombra ed à nome beltade.
(Canzoniere, CCCX)

Regnano i sensi e la ragione è morta.
(Canzoniere, CCXI)

Mille trecento ventisette, a punto
su l’ora prima, il dí sesto d’aprile,
nel laberinto intrai, né veggio ond’esca.
(Canzoniere, CCXI, Francesco Petrarca descrive il momento in cui vede Laura nella Chiesa di Santa Chiara ad Avignone: ciò avviene nel venerdì santo del 1327, il 6 aprile)

Veggio ‘l meglio ed al peggior m’appiglio.
(Sonetto XVII)

Non era l’andar suo cosa mortale
Ma d’angelica forma.
(Sonetto, XLI)

Seguite i pochi, e non la volgar gente.
(Canzoniere, LXVII)

Vergine bella che di sol vestita,
Coronata di stelle, al sommo Sole
Piacesti si, che ‘n te sua luce ascose,
Amor mi spinge a dir di te parole.
(Canzoniere, CCCLXVI, poesia conclusiva del Canzoniere)

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Trionfi

La ragione non ha luogo
Contro la forza della passione.
(Trionfo dell’amore – Triumphus Cupidinis)

So, seguendo ’l mio foco ovunque e’ fugge,
arder da lunge ed agghiacciar da presso;
so come Amor sovra la mente rugge,
e come ogni ragione indi discaccia,
e so in quante maniere il cor si strugge
(Trionfo dell’amore – Triumphus Cupidinis)

Passan vostri triunfi e vostre pompe,
Passan le signorie, passano i regni;
Ogni cosa mortal Tempo interrompe.
(Trionfo del tempo – Triumphus Temporis)

Passa il penser sì come sole in vetro,
anzi più assai, però che nulla il tene
(Trionfo dell’eternità – Triumphus Eternitatis)

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Secretum

Sento qualcosa di insoddisfatto nel mio cuore, sempre.
[Sentioque inexpletum quiddam in precordiis meis semper] (da Secretum)

Sarò presente a me stesso quanto più potrò, e raccoglierò gli sparsi frammenti della mia anima e dimorerò in me, con attenzione.
(da Secretum)

Ventosa gloria è il cercar fama dalla splendidezza delle parole.
(da Secretum)

Tra le molte sciocchezze che sin qui t’uscirono di bocca, una ve n’ha che principalmente mi move a sdegno, ed è l’affermare che alcuno possa essere o divenire infelice contro sua voglia.
(da Secretum)

L’ animo tuo è dominato da una cotal peste che i moderni chiamano accidia e gli antichi dissero egritudo.
(da Secretum)

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Epistole

Non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero superiore al necessario; ma succede anche coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità di possederne.
(dalle Epistole, a Giovanni Anchiseo)

L’oro, l’argento, i gioielli, la ricca veste, il palazzo di marmo, il bel podere, i dipinti, il destriero dall’elegante bardatura, e le altre cose del genere, recano con sé un godimento inerte e superficiale; I libri ci offrono un godimento molto profondo, ci parlano, ci danno consigli e ci si congiungono, vorrei dire, di una loro viva e penetrante familiarità. E il singolo libro non insinua soltanto se stesso nel nostro animo, ma fa penetrare in noi anche i nomi di altri, e così l’uno fa venire il desiderio dell’altro
(dalle Epistole, a Giovanni Anchiseo)

Libri: Li interrogo e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso e mi ricordano che i giorni corrono veloci e che la vita fugge via. (…) E di tanti doni, piccolo è il premio che mi chiedono: di aver libero accesso alla mia casa e di viver con me, dacché la nemica fortuna ha lasciato loro nel mondo rari rifugi e pochi e pavidi amici.
(dalle Epistole, a Giovanni Anchiseo)

Non trovando in tutta la città luogo alcuno di quiete e di riposo ritirati nella tua camera e in te stesso; veglia con te, parla e taci con te, passeggia o dimora con te; non temere di esser solo, se sei teco, che se non sei teco, anche in mezzo al popolo, saresti solo
(Dalle Epistole)

Ho sempre avuto il massimo disprezzo per le ricchezze, non perché non mi piacessero, ma perché odiavo le fatiche e le preoccupazioni che ne derivano.
(Lettera ai posteri – Posteritati)

Molte saranno le voci e le opinioni; ognuno tende infatti a parlare non per amor di verità ma come gli aggrada.
(Lettera ai posteri – Posteritati)

L’adolescenza mi illuse, la gioventù mi traviò, ma la vecchiaia mi ha corretto e con l’esperienza mi ha messo bene in testa che era vero quel che avevo letto tanto tempo prima; che i godimenti dell’adolescenza sono vanità.
(Lettera ai posteri – Posteritati)

Mi travagliò quand’ero molto giovane, un amore fortissimo; ma il solo, e fu puro; e più a lungo ne sarei stato travagliato se la morte, crudele ma provvidenziale, non avesse spento definitivamente quella fiamma quand’ormai era languente.
(Lettera ai posteri – Posteritati)

Roma, Atene, sono per me, nella mia mente, la mia patria. Qui tutti gli amici che ho o che ho avuto, e non solo quelli con cui ho vissuto e con cui ho avuto familiarità, ma anche quelli che sono morti molti secoli prima di me e ho conosciuto solo grazie alla lettura, dei quali ammiro o le imprese e l’animo o i costumi e la vita o la lingua e l’ingegno. (…) Così libero e sicuro vado vagando e sono solo con tali compagni: sono dove voglio essere, ogni volta che mi è possibile, e sono con me stesso.
(Epistole ai familiari – Familiares)

Non sono né vivo né sano, né morto né malato; allora soltanto comincerò a vivere e a star bene, quando troverò l’uscita di questo labirinto.
(Epistole ai familiari – Familiares)

Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta: “Ti odierò, se posso; se no, t’amerò contro voglia”.
(da Ascesa al Monte Ventoux ­in Epistole ai familiari – Familiares)

E qui, sebbene infermo del corpo, io vivo dell’animo pienamente tranquillo lontano dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo, e a Dio rendendo lodi e grazie.
(Lettera al fratello in Epistole ai familiari – Familiares)

Il mondo, più che io lo giro, e meno mi piace.
(Epistole ai familiari – Familiares)

La fatica perseverante e la continua applicazione sono il cibo del mio spirito; quando comincerò a riposare e a rallentare il mio lavoro, allora cesserò anche di vivere.
(dalle Epistole, in risposta a Boccaccio che lo esortava a smettere di studiare poiché ormai più che settantenne)

A che ti giova insegnare agli altri, se intanto tu per primo non ascolti te stesso?
(dalle Epistole, Lettera a Cicerone)

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Varie

Il saggio muta consiglio, ma lo stolto resta della sua opinione.
(da Ecloghe)

I libri fecero diventare dotti alcuni, altri pazzi.
(De remediis utriusque fortunae)