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Siddharta (nell’ultima edizione Adelphi Siddhartha, come nell’originale tedesco) è il più famoso romanzo di Hermann Hesse (1877-1962), lo scrittore tedesco Premio Nobel per la Letteratura. Siddhartha fu pubblicato per la prima volta nel 1922 (in Italia nel ‘45 dall’editore Frassinelli). La storia di Siddharta è liberamente ispirata alla figura di un personaggio storico realmente esistito: Siddharta Gautama, cioè Buddha (VI-V secolo d. C.).
Presento una raccolta delle frasi più belle di Siddharta, tratte dal libro di Hermann Hesse. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Hermann Hesse e Le più belle frasi di Buddha.
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Le frasi più belle di Siddharta, tratte dal libro di Hermann Hesse
E su nessuna cosa al mondo so tanto poco quanto su di me.
Nell’ombra della casa, sulle rive soleggiate del fiume presso le barche, nell’ombra del bosco di Sal, all’ombra del fico crebbe Siddharta, il bel figlio del Brahmino, il giovane falco, insieme all’amico suo, Govinda, anch’egli figlio di Brahmino.
(Incipit di Siddharta)
La maggior parte degli uomini sono come una foglia secca, che si libra nell’aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri pochi sono, come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.
Dio non ti chiederà nel giudicarti: “Sei diventato un Hodler o un Picasso o un ….?”.
Bensì ti chiederà: “Sei davvero stato e diventato quello per cui hai ricevuto talento e predisposizione?”
Ciò che conta è tutto dentro di noi.
Da fuori nessuno ci può aiutare.
Non essere in guerra con se stessi, vivere d’amore e d’accordo con se stessi: allora tutto diventa possibile.
Non solo camminare su una fune, ma anche volare.
Non era il tempo la sostanza di ogni pena, non era forse il tempo la sostanza di ogni paura, e non sarebbe stato superato e soppresso tutto il male, tutto il dolore del mondo, appena si fosse superato il tempo, appena si fosse trovato il modo di annullare il pensiero del tempo?
Un giorno mentre Siddharta meditava sotto al solito fico… gli si avvicinò un viandante che stava cercando la via dell’illuminazione. Si misero a parlare del più e del meno come due vecchi amici quando Siddharta gli chiese: “Qual è la mancanza più grave per l’uomo?” E il viandante pensatore così rispose: “È grave morire senza aver capito la vita. È drammatico vivere senza aver capito la morte!”
Sempre ho sofferto sete di sapere, sempre sono stato pieno di interrogativi.
Troviamo conforti, troviamo da stordirci, acquistiamo abilità con le quali cerchiamo d’illuderci. Ma l’essenziale, la strada delle strade non la troviamo.
Siddharta aveva cominciato ad alimentare in sé la scontentezza. Aveva cominciato a sentire che l’amore di suo padre e di sua madre, e anche l’amore dell’amico suo, Govinda, non avrebbero fatto per sempre la sua eterna felicità, non gli avrebbero dato la quiete, non l’avrebbero saziato, non gli sarebbero bastati.
Così tutti amavano Siddharta. A tutti egli dava gioia, tutti ne traevano piacere. Ma egli, Siddharta, a se stesso non procurava piacere, non era di gioia a se stesso.
Li invidiava per l’unica cosa che a lui mancava e che essi possedevano, per l’importanza ch’essi riuscivano ad attribuire alla loro vita, per la passionalità delle loro gioie e delle loro paure.
Vedeva i mercanti commerciare, i principi andare a caccia, la gente in lutto piangere i suoi morti, le meretrici far copia di sé, i medici affannarsi per i loro ammalati, i sacerdoti stabilire il giorno per la semina, gli amanti amare, le madri allattare i loro bimbi – e tutto ciò non era degno dello sguardo dei suoi occhi, tutto mentiva, tutto puzzava, puzzava di menzogna, tutto simulava significato e felicità e bellezza, e tutto era inconfessata putrefazione. Amaro era il sapore del mondo. La vita, tormento.
Ma le parole non le posso amare. Ecco perché le dottrine non contano nulla per me: non sono né dure né morbide, non hanno colore, non hanno spigoli, non hanno odore, non hanno sapore, non hanno null’altro che parole. Forse è questo ciò che ti impedisce di trovare la pace: le troppe parole.
Serenamente contemplava la corrente del fiume; mai un’acqua gli era tanto piaciuta come questa, mai aveva sentito così forti e così belli la voce e il significato dell’acqua che passa. Gli pareva che il fiume avesse qualcosa di speciale da dirgli, qualcosa ch’egli non sapeva ancora, qualcosa che aspettava proprio lui.
Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l’acqua, senza far nulla, senza agitarsi.
Una meta si proponeva Siddharta: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. Morire a sé stesso, non essere più lui, trovare la pace del cuore svuotato, nella spersonalizzazione del pensiero rimanere aperto al miracolo, questa era la sua meta.
In quell’ora Siddharta cessò di lottare contro il destino, in quell’ora cessò di soffrire.
Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, cui più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e di simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all’Unità.
E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita.
Se vuoi conoscere il tuo passato, sapere che cosa ti ha causato, allora osservati nel presente, che è l’effetto del passato. Se vuoi conoscere il tuo futuro, sapere che cosa ti porterà, allora osservati nel presente, che è la causa del futuro.
Nulla fu, nulla sarà: tutto è; tutto ha realtà e presenza.
Il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, nel mare, in montagna, dovunque in ogni istante, e per lui non vi è che presente, neanche l’ombra del passato, neanche l’ombra dell’avvenire.
Cosa sono i millenni? Un manciata di tempo. Polvere in confronto a un unico sguardo dell’eternità.
Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: esser libero, restare aperto, non aver scopo.
Ho avuto pensieri e princìpi. Tante volte ho sentito in me il sapere, per un’ora o per un giorno così come si sente la vita nel proprio cuore. Ma questo è un pensiero che ho trovato io: la saggezza non è comunicabile. La scienza si può comunicare, ma la saggezza no. Si può trovarla, viverla, si possono fare miracoli con essa, ma spiegarla e insegnarla non si può.
Lungo tempo ho impiegato, o Govinda, e non ne sono ancora venuto a capo, per imparare questo: che non si può imparare nulla! Nella realtà non esiste, io credo, quella cosa che chiamano “imparare”. C’è soltanto, o amico, un sapere, che è ovunque, che è Atman, che è in me e in te e in ogni essere. E così comincio a credere: questo sapere non ha nessun peggior nemico che il voler sapere, che l’imparare.
Lentamente fioriva, lentamente maturava in Siddharta il riconoscimento, la consapevolezza di ciò che realmente sia saggezza, qual fosse la meta del suo lungo cercare.
Non era nient’altro che una disposizione dell’anima, una capacità, un’arte segreta di pensare in qualunque istante, nel bel mezzo della vita, il pensiero dell’unità, sentire l’unità e per così dire respirarla
Tutti sono sottomessi, tutti desiderano obbedire e pensare meno che si può: bambini sono gli uomini.
Luce e ombre attraversavano la sua vista, le stelle e la luna gli attraversavano il cuore.
L’amore mi sembra di tutte la cosa più importante. Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere opera di filosofi. A me importa solo di poterlo amare; a me importa solo di poter considerare me, tutti gli esseri e il mondo con amore, ammirazione e rispetto.
L’amore si può mendicare, comprare, regalare, si può trovarlo sulla strada, ma non si può estorcere.