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Niccolò di Bernardo dei Machiavelli noto semplicemente come Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 – Firenze, 21 giugno 1527) è stato uno storico, politico e scrittore.
Niccolò Machiavelli è considerato il fondatore della scienza politica moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più famosa, Il Principe.
Nel monumento eretto a Machiavelli nel 1797 in Santa Croce venne scritto: “Tanto nomini nullum par elogium – A tanto nome, nessun elogio adeguato”.
Presento una raccolta delle frasi più belle e famose di Niccolò Machiavelli. Tra i temi correlati si veda Le frasi più celebri di Leonardo da Vinci, Le frasi più belle e famose di Sun Tzu, Frasi, citazioni e aforismi sulla politica e Frasi, citazioni e aforismi sul fine e i mezzi.
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Le frasi più belle e famose di Niccolò Machiavelli
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Il principe (1513)
Gli uomini in universale giudicano più agli occhi che alle mani, perché tocca a vedere a ciascuno, a sentire a’ pochi.
Ognuno vede quel che tu pari; pochi sentono quel che tu sei. E quelli pochi non ardiscono opporsi alla opinione di molti.
E debbasi considerare, come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini.
Nasce da questo una disputa: s’egli è meglio essere amato che temuto, o temuto che amato. Rispondesi, che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché egli è difficile, che e’ stiano insieme, è molto più sicuro l’esser temuto che amato, quando s’abbi a mancare dell’un de’ duoi.
Sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna, troverà sempre chi si lascerà ingannare.
Sopra tutto astenersi dalla roba d’altri; perché li uomini dimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio.
Le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno: e’ benefizii si debbono fare a poco a poco, acciò che si assaporino meglio.
Gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere, perché si vendicano delle leggieri offese; delle gravi non possono: sicché l’offesa che si fa all’uomo, deve essere in modo, che ella non tema la vendetta.
E’ comune defetto degli uomini, non fare conto, nella bonaccia, della tempesta.
Quanto sia laudabile in un Principe mantenere la fede, e vivere con integrità, e non con astuzia, ciascuno lo intende. Nondimeno si vede per esperienzia, ne’ nostri tempi, quelli Principi aver fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà.
Pertanto ad un Principe è necessario saper ben usare la bestia e l’uomo.
Essendo adunque un Principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quella pigliare la volpe e il lione; perchè il lione non si defende da’ lacci, la volpe non si defende da’ lupi. Bisogna adunque essere volpe a cognoscere i lacci, e lione a sbigottire i lupi.
Chi diviene patrone di una città consueta a vivere libera, e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella.
Gli uomini offendono o per paura, o per odio.
Fondamenti essenziali di tutti gli Stati sono le buone leggi e le buone armi, e non ci possono essere buone leggi dove non ci sono le buone armi.
Li uomini hanno meno respetto ad offendere uno che si facci amare che uno che si facci temere; perché l’amore è tenuto da uno vincolo di obbligo, il quale, per essere gli uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto: ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai.
Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se li uomini fussono tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono: ma perché sono tristi, e non la osservarebbano a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro.
Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che rispettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarla
E senza quella occasione la virtù dell’animo loro si saria spenta, e senza quella virtù l’occasione sarebbe venuta invano.
La guerra non si leva, ma si differisce con vantaggio d’altri.
Tutti i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono.
La natura de’ popoli è varia, ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermargli in quella persuasione.
Perché in ogni città si trovano questi duoi umori diversi, e nascono da questo, che il popolo desidera non esser comandato nè oppresso da’ grandi, e i grandi desiderano comandare e opprimere il popolo; e da questi duoi appetiti diversi surge nelle città uno de’ tre effetti, o Principato, o Libertà, o Licenza.
Uno uomo, che voglia fare in tutte le parti professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessità
Debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare; acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore: e fare come gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per poter con l’aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro
Il fine giustifica i mezzi.
(Frase attribuita a Niccolò Machiavelli. Questa frase però non è presente in nessuno dei testi scritti di Machiavelli. Una frase simile si trova già in Ovidio: “exitus acta probat”)
Nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi, dove non è giudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci adunque un Principe conto di vivere e mantenere lo Stato; i mezzi saranno sempre giudicati onorevoli, e da ciascuno lodati.
(In questa passo del Principe si trova il concetto del “fine che giustifica i mezzi”)
Chi è cagione che uno diventi potente, rovina; perché quella potenza è causata da colui o con industria, o con forza, e l’una e l’altra di queste due è sospetta a chi è diventato potente.
Giudico potere esser vero, che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che ancora ella ne lasci governare l’altra metà, o poco meno, a noi. Ed assomiglio quella ad fiume rovinoso, che quando ei si adira, allaga i piani, rovina gli arbori e gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a quell’altra; ciascuno gli fugge davanti, ognuno cede al suo furore, senza potervi ostare; e benché sia così fatto, non resta però che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi possino fare provvedimenti e con ripari, e con argini.
Ma la poca prudenza degli uomini comincia una cosa che, per sapera allora di buono, non si accorge del veleno che vi è sotto.
Li uomini mutano volentieri signore, credendo migliorare; e questa credenza gli fa pigliare l’arme contro a quello; di che s’ingannono, perché veggono poi per esperienzia avere peggiorato.
Vogliono bene essere tuoi soldati mentre che tu non fai guerra; ma, come la guerra viene, o fuggirsi o andarsene. La qual cosa doverrei durare poca fatica a persuadere, perché ora la ruina di Italia non è causata da altro che per essere in spazio di molti anni riposatasi in sulle arme mercennarie.
Non v’è nulla di più difficile da realizzare, né di più incerto esito, né più pericoloso da gestire, che iniziare un nuovo ordine di cose. Perché il riformatore ha nemici tra tutti quelli che traggono profitto dal vecchio ordine, e solo dei tiepidi difensori in tutti quelli che dovrebbero trarre profitto dal nuovo.
E però uno principe savio debba pensare uno modo, per il quale li sua cittadini, sempre et in ogni qualità di tempo, abbino bisogno dello stato e di lui: e sempre poi li saranno fedeli.
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Istorie fiorentine (1520-1525)
La natura degli uomini superbi e vili è, nelle prosperità esser insolenti e nelle avversità abietti e umili.
Comincionsi le guerre quando altri vuole, ma non quando altri vuole si finiscono
Sono solamente quelle guerre giuste che sono necessarie, e quelle armi sono pietose dove non è alcuna speranza fuora di quelle.
Coloro che vincono, in qualunque modo vincono, mai non ne riportono vergogna.
Non fu mai savio partito fare disperare gli uomini, perché chi non spera il bene non teme il male.
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Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513-1519)
Il popolo molte volte desidera la rovina sua, ingannato da una falsa specie di bene: e come le grandi speranze e gagliarde promesse facilmente lo muovono.
Nessuna cosa essere più vana e più incostante che la moltitudine.
Non è per questo che io giudichi che non si abbia adoperare l’armi e le forze; ma si debbono riservare in ultimo luogo dove e quando gli altri modi non bastino.
Li buoni esempli nascano dalla buona educazione[3], la buona educazione, dalle buone leggi.
E veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio; perché altrimente non sarebbero accettate: perché sono molti i beni conosciuti da uno prudente, i quali non hanno in sé ragioni evidenti da poterli persuadere a altrui. Però gli uomini savi, che vogliono tôrre questa difficultà, ricorrono a Dio
Dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini, o che sia sostenuto dal timore d’uno principe che sopperisca a’ difetti della religione
La natura ha creati gli uomini in modo che possono desiderare ogni cosa, e non possono conseguire ogni cosa: talché, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfazione d’esso.
Perché simile principe non può fondarsi sopra a quello che vede ne’ tempi quieti, quando e’ cittadini hanno bisogno dello stato; perché allora ognuno corre, ognuno promette, e ciascuno vuole morire per lui, quando la morte è discosto; ma ne’ tempi avversi, quando lo stato ha bisogno de’ cittadini, allora se ne truova pochi.
Una repubblica senza cittadini riputati non può stare, né può governarsi in alcun modo bene; dall’altro canto, la riputazione de’ cittadini è cagione della tirannide delle repubbliche.
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Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua (pubblicato postumo nel 1730)
Semprechè io ho potuto onorare la patria mia, eziandio con mio carico e pericolo, l’ho fatto volentieri, perché l’uomo non ha maggiore obbligo nella vita sua.
E veramente colui il quale con l’animo e con le opere si fa nimico della sua patria, meritamente si può chiamare parricida, ancora che da quella fosse suto offeso.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale converte i vocaboli ch’ella ha accattati da altri, nell’uso suo, ed è sì potente, che i vocaboli accattati non la disordinano ma la disordina loro, perchè quello ch’ella reca da altri, lo tira a se in modo, che par suo,
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La mandragola, commedia teatrale (1518)
E’ non è mai alcuna cosa sì desperata, che non vi sia qualche via da poterne sperare.
Chi dice che egli è dura cosa l’aspettare, dice el vero.
Dicono el vero quelli che dicono che le cattive compagnie conducono li uomini alle forche.
Le donne si sogliono con le buone parole condurre dove altri vuole.
Le più caritative persone che sieno sono le donne, e le più fastidiose. Chi le scaccia, fugge e fastidii e l’utile; chi le intrattiene, ha l’utile ed e fastidii insieme.
Per molto tempo non ho detto ciò che pensavo, né penso sempre ciò che dico, e se invero mi accade talvolta di dire la verità, la nascondo tra tante menzogne che è difficile scoprirla.
Oh dolce notte, oh sante
ore notturne e quete,
ch’i disïosi amanti accompagnate;
in voi s’adunan tante
letizie, onde voi siete
sole cagion di far l’alme beate.
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Lettere
Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandargli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de Principatibus.
(Lettera a Francesco Vettori, 10 dicembre 1513, in cui annuncia la nascita de Il Principe)
Nacqui povero, ed imparai prima a stentare che a godere.
(Lettera a Francesco Vettori)
E poiché la fortuna vuol fare ogni cosa, ella si vuole lasciarla fare, stare quieto e non le dare briga, e aspettar tempo che la lasci fare qualche cosa agl’huomini; e all’hora starà bene a voi durare più fatica, vegliar più le cose, e a me partirmi di villa e dire: eccomi.
(Lettera a Francesco Vettori)
Et veramente la Fortuna mi ha condotto in luogo, che io ve ne potrei rendere iusto ricompenso; perché, standomi in villa, io ho riscontro in una creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile, et per natura et per accidente, che io non potrei né tanto laudarla, né tanto amarla, che la non meritasse più.
(Lettera a Francesco Vettori)
E della fede mia non si doverebbe dubitare; perché, avendo sempre osservato la fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatrè anni, che io ho, non debbe poter mutare natura: e della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia.
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Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati (1503)
La istoria è la maestra delle azioni nostre.
Il mondo fu sempre ad un modo abitato da uomini che hanno avuto sempre le medesime passioni, e sempre fu chi serve e chi comanda, e chi serve mal volentieri, e chi serve volentieri, e chi si ribella ed è ripreso.
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Dell’arte della guerra (1519-1520)
Quello che giova al nemico nuoce a te, e quel che giova a te nuoce al nemico.
Niuno partito è migliore che quello che sta nascoso al nemico infino che tu lo abbia eseguito.
Sapere nella guerra conoscere l’occasione e pigliarla, giova più che niuna altra cosa.
Consigliati, delle cose che tu dèi fare, con molti; quello che dipoi vuoi fare conferisci con pochi.
Può la disciplina nella guerra più che il furore.
Meglio è vincere il nemico con la fame che col ferro, nella vittoria del quale può molto più la fortuna che la virtù.
Difficilmente è vinto colui che sa conoscere le forze sue e quelle del nemico.
Più vale la virtù de’ soldati che la moltitudine; più giova alcuna volta il sito che la virtù.
Colui che seguita con disordine il nemico poi ch’egli è rotto, non vuole fare altro che diventare, di vittorioso, perdente.
Gli uomini, il ferro, i danari e il pane sono il nervo della guerra; ma di questi quattro sono più necessarj i primi due, perchè gli uomini e il ferro truovano i danari e il pane, ma il pane e i danari non truovano gli uomini e il ferro.
Avvezza i tuoi soldati a spregiare il vivere delicato e il vestire lussurioso.
Niuno senza invenzione fu mai grande uomo nel mestiero suo.
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Clizia (1525)
Se nel mondo tornassino i medesimi uomini, come tornano i medesimi casi, non passerebbono mai cento anni, che noi non ci trovassimo un’altra volta insieme a fare le medesime cose che ora.
Quanto è più propinquo l’uomo ad un suo desiderio più lo desidera, e, non lo avendo, maggior dolore sente
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La mente di un uomo di stato (raccolta di aforismi tratta dalle opere di Niccolò Machiavelli, pubblicata da Stefano Bertolini nel 1771)
Il ministro deve morire più ricco di buona fama e di benevolenza, che di tesoro.
Il ministro deve essere alieno dalle rapine pubbliche, e del bene comune aumentatore.
Il ministro deve amministrare il suo grado a util pubblico, e non a sua propria utilità.
Governare è far credere.
Il riformatore delle leggi deve operare con prudenza, giustizia e integrità, e comportarsi in modo che nella riforma vi sia il bene, la salute, la pace, la giustizia e l’ordinato vivere dei popoli.
Deve stimarsi poco vivere in una città dove possano meno le leggi che gli uomini
Le buone leggi fanno civili i popoli.
Nelle condennagioni si deve usare umanità, discrezione e misericordia.
Non fu mai partito savio condurre il nemico alla disperazione.
Le provincie, ove è denaro e ordine, sono il nervo dello stato.