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Margaret Mazzantini (Dublino, 27 ottobre 1961) è una scrittrice e e attrice di cinema e teatro. I suoi libri sono tradotti in trentacinque lingue. Dal 1987 è sposata con l’attore e regista Sergio Castellitto con cui ha avuto quattro figli.
Presento una raccolta delle frasi più belle di Margaret Mazzantini. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Alessandro Baricco e Le frasi più belle di Elena Ferrante.
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Le frasi più belle di Margaret Mazzantini
Venuto al mondo (2008)
Non si guarisce mai da ciò che ci manca, ci si adatta, ci si racconta altre verità. Si convive con se stessi, con la nostalgia della vita.
Mi chiesi dove, in quale marcio istante, avevamo cominciato a perderci.
Gli amori che sembrano assurdi certe volte sono i migliori.
Penso che profumi di un odore che mi piacerà sempre.
Perché nella vita capita di rinunciare alle persone migliori a favore di altre che non ci interessano, che non ci fanno del bene, semplicemente ci capitano tra i passi, ci corrompono con le loro menzogne, ci abituano a diventare conigli?
“Ma tu come fai a essere sempre così felice?”
“Semplice, mi fa schifo la tristezza”.
Era una creatura leggermente scollata dalle cose, come se tra lei e il resto intorno ci fosse sempre un piccolo vuoto da attraversare
La vita è come l’acqua, scompare, affonda e poi riaffiora dove può, dove deve.
Le poesie non si spiegano, se raggiungono il posto giusto le senti, ti grattano dentro.
“Qual è la parola più bella del mondo?”
“Per me la parola più bella del mondo è grazie”.
La speranza appartiene ai figli. Noi adulti abbiamo già sperato, e quasi sempre abbiamo perso.
Tieni un capo del filo,con l’altro capo in mano.
Io correrò nel mondo. E se dovessi perdermi tu tira,
Quanta vita c’è in quella guerra?
Quanta morte c’è in questa pace?
Stanotte basta il suo nome a farmi piangere.
Stanotte è facile farsi scavare da un nome.
Vedo pezzi di noi: la mia mano molle fuori dal letto,un suo orecchio, scuro come un pozzo, il punto dove i nostri toraci si appiccicano.
Prima di entrare dentro di me si ferma,mi chiede il permesso,come un bambino.
“Posso?”
E’una radice che s’infila nella terra.
Sta lì a guardarmi, a guardare il miracolo di noi due insieme.
Mi mette le mani intorno alla testa come una corona, guarda i miei capelli mentre li carezza.
“Adesso sei mia”.
Mi sembrava davvero che quella casa ci stesse aspettando.
Perchè anche le case aspettano i loro inquilini,sopravvivono anni lontano da noi e poi aprono le loro braccia di porte e di persiane a una giovane coppia,a due scemi che tremano di felicità.
Speranza: ha la faccia di una donna un po’ sgomenta, di quelle che trascinano la loro sconfitta eppure continuano ad arrabattarsi con dignità.
Guardo i miei colleghi,piccoli squali invecchiati in questo stagno per rospi.
Immagino di colpirli, di bucargli la fronte,di vederli afflosciarsi nei loro miseri posti di comando.
Le lacrime affogano i morti,le risate li tengono in vita.
È vero, sono uno stupido! I poeti sono stupidi come mosche contro un vetro! Sbattono contro l’invisibile per arraffare un po’ di cielo!
La vedo come fosse adesso… un volto proletario, sofferto, eppure infinitamente dolce. Una di quelle persone benefiche che incontri per caso e ti viene voglia di abbracciare, perché ti sorridono dal fondo della loro esperienza umana e di colpo ti risarciscono dell’altra metà del mondo, quella accasciante delle persone rinserrate nella loro pozza di buio.
E’ pericoloso restare in asse, esattamente dove si è, senza spostarsi di un millimetro mentre tutto cade. E’ un eroismo che non serve a nulla.
La schiena è la parte che non puoi vederti, quella che lasci agli altri. Sulla schiena pesano i pensieri, le spalle che hai voltato quando hai deciso di andare.
Lui si è portato via gli occhi che mi guardavano e io no potrò più chiedergli come sono? E lui non potrà rispondere sei tu.
Forse questo è l’amore quando raggiunge la sua vetta. Ebbro come uno scalatore che s’è arrampicato e poi è arrivato, e più su di così non può andare, perché comincia il cielo.
La vita è un buco che s’infila in un altro buco. E stranamente lo riempie.
Me lo hai detto e io ti ho creduto. E poco importa se il tempo non ci ha lasciato sperimentare.
Da qualche parte siamo invecchiati insieme, da qualche parte continuiamo a rotolarci e a ridere.
Il cuore batte, come una mano che bussa su una porta che nessuno apre. È la porta del coraggio che non si apre per lui stanotte.
Siamo due bambini. Di quelli piccoli, quelli che s’incontrano all’asilo e si amano di un amore molto più grande di loro.
Penso ai bambini.
A quell’esercito di infanti che capitano a casaccio, spesso dove non dovrebbero, dove nessuno ha bisogno di loro.
Il mondo si tenesse i figli suoi, io mi tengo la mia incompatibilità alla vita.
È stato più facile prima correre sotto le granate che dopo passeggiare sulle macerie.
Ride ancora, come rideva lui, senza una vera allegria, piuttosto per consolare quella tristezza lieve ma perenne.
Pesci, pensai, non siamo altro che pesci… branchie che si gonfiano e si chiudono… poi viene un gabbiano che dall’alto ci prende e mentre ci smembra ci fa volare, forse questo è l’amore.
I tatuaggi sono segni nuovi scelti da te. Metti qualcosa tra la tua pelle e il destino. Un sorso di coraggio
C’è la mia vita fino a trent’anni. La guardo. Guardo quello che mi aspettavo ogni volta. Sono stata sola, ostaggio della mia volontà, mai all’altezza di niente, alla fine. Ballo nel buio. Sono malata d’incompletezza, di illusioni.
E avevo capito che l’epicentro dell’esplosione è un cruccio che parte da dentro e da dentro si caria.
Da lì partono le crepe, come un vetro che si frantuma e resta in piedi.
Non s’invecchia giorno dopo giorno, s’invecchia di colpo, di un nodo amaro.
Una scintilla guasta che ci folgora, ci insudicia… sparge amarezza sul nostro viso.
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Non ti muovere (2001)
Ognuno di noi sogna qualcosa che scardini il suo mondo ordinario.
Chi ti ama c’è sempre, c’è prima di conoscerti, c’è prima di te.
Mi sono accanito contro il mio destino, ho lottato a piene mani contro di lui che mi scacciava dai miei sogni, mi buttava in un altro verso.
Il coraggio, Angela, appartiene agli amori nuovi, gli amori vecchi sono sempre un po’ vili.
Non saprò mai quanti uomini l’hanno amata prima di me, ma so che ognuno di loro, accudendola o scalfendola, ha contribuito a plasmarla, a farla così com’è.
Io ho già deciso, io ti amo. E se vuoi la mia testa, dammi un’accetta, ti darò la testa di un uomo che ti ama.
Non crucciarti, Italia, la vita è questa. Attimi superbi di vicinanza e poi gelide folate di vento.
Non mi prendere mai sul serio quando ti dico di lasciarmi. Tienimi, ti prego. Tienimi.
Non so, figlia mia, dove vanno le persone che muoiono, ma so dove restano.
I suoi occhi si muovono sotto le lacrime come due pesci in un mare troppo stretto.
Gli amori nuovi sono pieni di paure, Angela, non hanno un posto nel mondo e non hanno capolinea.
Ero felice, non ci si accorge mai di esserlo, Angela, e mi chiesi perché l’assimilazione di un sentimento così benevolo ci trovi sempre impreparati, sbadati, tanto che conosciamo solo la nostalgia della felicità, o la sua perenne attesa.
Da quindici anni abitiamo la stessa casa. Conosci il mio odore, il mio passo, il modo con cui tocco le cose, la mia voce priva di squilibri, conosci i lati morbidi del mio carattere e quelli ostili, talmente irritanti da diventare indifendibili
Hai preferito sentire la mia mancanza, perché avermi forse ti costava fatica
E quando quella mano fredda, come la pietra dov’era posata, si ferma sulla mia guancia, io so che la amo. La amo, figlia mia, come non ho mai amato nessuno. La amo come un mendicante, come un lupo, come un ramo di ortica. La amo come un taglio nel vetro. La amo perché non amo che lei, le sue ossa, il suo odore di povera
La vita è una carta adesiva piuttosto ingannevole, la colla sembra resistente, sembra che debbano resistere molte cose. Poi la srotoli, e ti accorgi che manca un sacco di roba, restano giusto quattro stronzate.
I giorni passavano uno in fila all’altro con il loro fastello di cose sempre simili, appena impercettibilmente diverse, come il mio viso. Il tempo lavora così, Angela, con sistematica gradualità. Un invisibile ma implacabile movimento ci usura. La trama dei tessuti si allenta e si riassesta sul telaio delle ossa, e un giorno, senza che nessuno ti abbia avvisato, indossi la faccia di tuo padre.
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Splendore (2013)
Non era affatto debole, era straordinariamente fragile e potente come tutte le persone forti e profonde.
La vita era esattamente così, una lampadina sporca appesa a una fune elettrica il cui unico generatore di corrente è l’amore.
Il mio nome pronunciato da lui, con la sua voce roca e fonda, il mio nome che nasceva dalla sua pancia e passava attraverso la sua gola era il più bello del mondo, infondeva coraggio alla mia misera persona, scivolava dentro di me e mi definiva, mi dava luogo e tempo, e un’origine certa.
Avevo assaggiato la vita, la sua pienezza, il suo scompiglio. Adesso avevo un parametro, una vetta raggiunta, avrei dato tutto me stesso per tornare davanti a quella vertigine.
Il vero splendore è la nostra singola, sofferta, diversità.
Avremo mai il coraggio di essere noi stessi?
Chi ha detto che i ragazzi sono coraggiosi? Il coraggio io l’ho trovato con gli anni, insieme a ogni sbaglio, a ogni pezzo mancato di strada.
Questo significa invecchiare, ragazzi, andare incontro a un’altra persona e far finta di riconoscerla.
L’amore, lo sapevo fin troppo bene, si nutre di bocconi tirati quando meno te lo aspetti, è la nostalgia sotto i denti che ti fa resistere.
Ci si innamora quando si fa l’amore, la carne è l’unica spiaggia che le anime hanno.
Chi ha detto che i ragazzi sono coraggiosi? Il coraggio io l’ho trovato con gli anni, insieme a ogni sbaglio, a ogni pezzo mancato di strada.
I segreti sono i nostri migliori amanti, i più spregiudicati e tonici. Ci frustano, ci risvegliano di colpo.
C’è un momento in cui senti che un dolore sta per venirti incontro come un muro. È il momento in cui freni fino a bruciare i freni.
Il bene è certo e definito, il male è incerto e indefinito.
Se il tumulto della vita è impressionante, la violenza degli argini è terribile.
Tutto nel mondo è replica. Non c’è nulla da inventare. Copia al meglio di te stesso una vita che ti soddisfa.
Sei tutto per te stesso, ma non sei nessuno per la vita.
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Nessuno si salva da solo (2011)
E’ inutile indagare le occasioni mancate.Non sai mai se ti sei salvato dalla morte, o ti sei perso la vita vera.
Non ha senso andare nella direzione opposta del tuo stato d’animo.
Cosa pretendeva da lui? Tutto, semplicemente tutto. E questo era stato il vero sbaglio. Chiudersi in un solo amore e chiedergli tutto. Semplicemente perché di tutto hai bisogno.
No,non bisognerebbe arrivare dove sono arrivati loro. Ai primi sintomi bisogna andarsene, lasciare il campo. Tanto non va meglio, va peggio e peggio. Invece la gente non lo sa. La gente spera e continua a stare male
Come gli manca uno sguardo così. Se non lo conosci vivacchi e non ti manca. Ma se una stronza ti ha posato addosso quelle ali lì, ti ha fatto sentire l’eroe di una sceneggiatura temeraria, rimani tutta la vita un mendicante che va in giro a cercare quelle palpebre che si aprono solo per guardarti e si chiudono per imprigionarti.
E adesso sapeva cosa aveva cercato. Semplicemente il mondo prima della nascita.
Forse è quello che serve per andare avanti. Una sorta di impianto di depurazione, che disintegra il sedimentario, non fa scendere niente di duro. Si resta più lievi, persino più puri.
La psiche come un mare chiuso, fa i suoi viaggi interni. Propone sempre nuove soluzioni, per salvaguardare i tuoi inganni.
Questo è il momento clou. Quando vi siete uccisi e continuate a vivere.
E’ sempre stato un vigliacco, se ci pensa attentamente, se gli toglie quel sorriso. Quel modo che aveva di prenderla per la gola, come una pianta tirata fuori dal suo vaso, per baciarla così forte. Per dirle quelle cose…mi manchi, mi mancherai sempre, non ci posso stare senza te, sei nata per me, sono nato per te. Sono gli orsacchiotti che ti fottono. Adesso lo sa. I finti peluche. Quelli che ti suscitano quella nostalgia lì. Di un pupazzo morbido da tenere sotto le coperte con te. Era lei che era stupida. In attesa, come una mendicante fuori da un cinema dove proiettano una storia d’amore.
Nessuno si salva da solo. Possono sentire l’eco di quelle parole cadere davanti ai loro passi. Una condanna o un conforto.
Delia era esattamente così. Una creature all’avanguardia, intrisa di dolori contemporanei, ma con un cuore calmo da qualche parte sotto i suoi pullover larghi. Un cuore remoto, fermo eppure sempre scosso dai movimenti del mare, come un’ancora.
Delia era una donna, potevi sentire la sostanza della sua persona profonda, potevi sentire quel rumore come del mare nelle grotte. Una che ti guarda e non ti lascia. Ti viene a salvare nel fondo dove ti sei impigliato.
È uno sbaglio andare a istinto. Ti porta fino a un certo punto, poi ti molla. Quando cominci a indurirti non hai più nulla, l’istinto muore giovane. Si trasforma in sospetto. E tu resti un semplice ignorante in balia delle tue menomazioni
Da morta avrebbe potuto amarla immensamente, lo sentiva. Era la vita a dividerli, il sangue che pompava ancora troppo forte.
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Il catino di zinco (1994)
Il mare gli risvegliava la percezione d’una vita anfibia, prenatale. Lo sentiva avvolgente come quel ricovero uterino, da cui s’era staccato tanto tempo fa, e dove avrebbe desiderato tornare.
Tutta la vita ad annaspare, a cercare nel buio, e mai una volta che ti basti quello che c’è intorno. Tutta la vita a scappare… Almeno adesso sapeva dove: verso quel fronte lontano. Era lì che il pensiero sbatteva all’infinito.
Si sta dove non c’è inizio, dove non c’è fine. In quel mezzo c’è la vita. E tutto gira, gira, gira… Le cose? Le cose tornano. Tornano i visi.
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Mare al mattino (2011)
Gli anni passarono in quella lotta vana. Perché vane diventano le parole ripetute troppe volte. I pensieri sono un gas cattivo.
Suo padre è tagliato dal sarto come le sue giacche da avvocato, scivola sempre dietro un fiume di parole che annacquano la vita, la diluiscono, fino a renderla poco incisiva. Sua madre è l’esatto opposto, è capace di essere soltanto se stessa.
…la storia è un millepiedi e ogni piede tira l’altro, e in mezzo c’è il corpo nostro.
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Zorro. Un eremita sul marciapiede (2004)
Perché dentro di ognuno di noi, inconfessata, incapucciata, c’è questa estrema possibilità: perdere improvvisamente i fili, le zavorre che ci tengono ancorati al mondo regolare.
Il cielo di città mi piace perché puzza di basso, di uomini. Il cielo di campagna invece mi fa paura. C’è solo roba del Signore, lassù: stelle, stelloni, nuvole al galoppo. E poi che mi mettevo a fare in campagna? A litigare con gli alberi? Quelli sono tranquilli, beati, ti fanno sentire uno sputo. La natura è tutta arrogante, è roba diretta del Signore, e giustamente un po’ di strafottenza ce l’ha.
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Manola (1998)
Ma perché ogni cosa, dentro di me, acquista dimensioni spropositate? Ho la capacità di dilatare ogni piccola sensazione, fino a diventare io stessa quella sensazione.