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Le più belle frasi di Liliana Segre

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Liliana Segre (10 settembre 1930) è un’antifascista e politica italiana, superstite dell’Olocausto e testimone attiva della Shoah.

Il 19 gennaio 2018 è stata nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Liliana Segre. Tra i temi correlati Frasi, citazioni e aforismi di Primo Levi, Le frasi più belle di Anna Frank e Frasi, citazioni e aforismi sull’Olocausto e la Shoah.

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Le frasi più belle di Liliana Segre

Un Paese che ignora il proprio ieri non può avere un domani. La Memoria è un bene prezioso e doveroso da coltivare. Sta a noi farlo. A che serve la memoria? A difendere la democrazia

Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare.

Forse, è proprio questo insegnamento che io spero di riuscire a trasmettere, come nonna: non odiare e non vendicarsi, ma nello stesso tempo non dimenticare. Essere forti per gli altri, oltre che per se stessi.

Siate sempre come la farfalla gialla che vola sopra i fili spinati.

Le guardie si spogliarono buttando le armi. Una pistola mi arrivò vicino ed ebbi la forte tentazione di sparare ad una guardia. Avevo visto morire tanti per la sola colpa di essere nati. Ma capii che non ero come lui. Ero libera.

Il mio numero 75190 non si cancella.
È dentro di me.

Indifferenza. Gli orrori di ieri, di oggi e di domani fioriscono all’ombra di quella parola. La chiave per comprendere le ragioni del male è racchiusa in quelle cinque sillabe, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore.

La parola indifferenza è più grave della parola violenza. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo.

Prima, durante e dopo la mia prigionia mi ha ferito l’indifferenza colpevole più della violenza stessa. Quella stessa indifferenza che ora permette che Italia e Europa si risveglino ancora razziste; temo di vivere abbastanza per vedere cose che pensavo la Storia avesse definitivamente bocciato, invece erano solo sopite.

Sono una delle ultimissime sopravvissute al mondo e con pessimismo e realismo dico che la Shoah sarà trattata in un rigo nei libri di storia, poi non ci sarà più neanche quello.

Nel 1944, quando fummo deportati a Birkenau, ero una ragazza di quattordici anni, stupita dall’orrore e dalla cattiveria. Sprofondata nella solitudine, nel freddo e nella fame. Non capivo neanche dove mi avessero portato: nessuno allora sapeva di Auschwitz.

Nei campi di sterminio rimasi sola, e non rividi più mio padre. Chi è stato ad Auschwitz ha sentito per anni l’odore di carne bruciata: non te lo togli più di dosso. E poi rimani sempre quel numero.

Non mandate i figli in gita ai campi di sterminio. Lì si va in pellegrinaggio. Sono posti da visitare con gli occhi bassi, meglio in inverno con vestiti leggeri, senza mangiare il giorno prima, avendo fame per qualche ora.

Quando sono stata espulsa dalla scuola, giorni per me drammatici, papà chiamò la maestra che avevo avuto in prima e seconda elementare: venga, per favore, signorina… Abitavamo vicino a scuola. La aspettavo affettuosa, invece è stata pochissimo e ha detto: “Ma cosa c’entro, io? Non le ho fatte mica io le leggi razziali!”. Poi mi ha abbracciata, se n’è andata e non l’ho mai più sentita ne vista. Non era “cattiva”, era una persona qualunque. Era la banalità del grande male che mi ha fatto.

Lo studio fu decisivo al mio ritorno dal lager. Ero un animale ferito, avevo perso mio padre e i nonni, concentrarmi a recuperare gli anni di scuola perduti mi permise di non impazzire.

Ero già una donna libera da anni quando lessi il libro di Primo Levi, e capii che questo sentimento fortissimo, che mi aveva accompagnato durante tutto quel tempo, era stato lo “stupore per il male altrui”. Io non lo avevo mai capito fino in fondo e non avrei saputo dirlo con le mie povere parole. Lo fece Primo Levi, e con pochissime parole. “Tutto lo stupore per il male altrui”.

La vittima deve essere coraggiosa e denunciare mentre chi sta intorno non deve essere indifferente e stare con il bullo che sembra più forte; i nazisti ad Auschwitz erano i bulli di allora.

Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mia mente no.

Ognuno di noi è fortissimo e responsabile di sé stesso. Semmai possiamo aiutare gli altri a rendersene conto. Dobbiamo camminare nella vita, una gamba davanti all’altra. Che la marcia che vi aspetta sia la marcia della vita e non della morte.

Un giorno lui [il medico Josef Mengele] mi fermò. Io, terrorizzata, dentro di me continuavo a ripetere voglio vivere voglio vivere voglio vivere voglio vivere. Quello mi mise un dito sulla pancia e mi chiese in tedesco: “tu di dove sei?” Ed io, col terrore nella voce, risposi in tedesco che ero italiana. E lui disse “oh, ma che orrendo taglio ha fatto questo mio collega italiano, che brutta cicatrice, a questa povera ragazza, quando sarà una donna nuda si vedrà sempre questa brutta cicatrice. Poi spiegò che lui la faceva piccola piccola perché era molto più bravo del medico italiano. Infine fece il gesto che attendevo. Potevo andare via. Ero salva, ed io ero pazza di felicità. Ogni volta era una nascita, un compleanno. L’assassino mi lasciava ancora in vita.

Mi fa impressione quando sento di barconi affondati nel Mediterraneo, magari 200 profughi di cui nessuno chiede nulla. Persone che diventano numeri anziché nomi. Come facevano i nazisti. Anche per questo non ho mai voluto cancellare il tatuaggio con cui mi hanno fatto entrare ad Auschwitz. [matricola 75190]

Ho la paura della perdita della democrazia, perché io so cos’è la non democrazia. La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi.

La mia speranza è che un giorno possano nascere gli Stati Uniti d’Europa, ora appare un’utopia, lo abbiamo visto sulla questione dei migranti, in cui ogni Stato ha dato spazio al suo egoismo nazionale.

La bellezza, il consumismo, il successo, essere qualcuno, sono diventati idoli. Poi gli idoli cadono e nel vuoto sono tornate parole antiche.

Sognavo la vendetta: capii che non ero come il mio assassino e da quel momento sono diventata quella donna libera, quella donna di pace, che sono anche adesso.

Ho molto rispetto per la Costituzione, è una guida che tutti dovrebbero avere.

Se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi – fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice.

Se si ammettono le parole dell’odio nel contesto pubblico, se si accoglie lo hate speech nella ritualità del quotidiano, si legittimano rapporti imbarbariti. Io l’odio l’ho visto. L’ho sofferto. E so dove può portare. Per questo vado a parlare con gli studenti. Gli racconto un passato figlio dell’odio e del rancore disumano e loro mi ascoltano con un’attenzione di cui non smetto di essergli grata.

Quando sono stata nominata ho detto al presidente Mattarella che sono sempre una bambina: mi hanno chiuso la porta della scuola e ottant’anni dopo mi hanno aperto quella del Senato.

Bisogna dare i premi Nobel a chi li merita veramente, non a una cittadina molto più semplice come sono io. Lasciamo i Nobel ai Nobel.

A me dispiace da matti avere novant’anni e sapere che ho pochi anni ancora davanti. Anche se gli odiatori ogni giorno mi augurano di morire, mi dispiace tantissimo di dover abbandonare la vita. Perché la mia vita mi piace moltissimo.