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Nella sezione Scrittori di aforismi su Twitter l’articolo di oggi è dedicato a @ilsuonovisibile (Melancholia). Nella breve nota biografica che mi ha inviato, l’autrice scrive di sé: “Melancholia (@ilsuonovisibile) è, in realtà, il volto nascosto, intimo di Simona Minniti. Laddove Simona è la mamma che si occupa, praticamente full time, di una bimba di quasi tre anni, con tutte le comuni problematiche che l’essere madre comporta, e Melancholia è invece la donna. spesso cupa, viscerale, sanguigna, che racconta se stessa nel modo che le è più istintivamente congeniale”.
A proposito di Twitter l’autrice afferma: “Mi sono iscritta a Twitter nel 2011 per pura curiosità e non ne ho fatto uso fino al Febbraio del 2014, quando ho aperto il blog Unamammacometante, per promuovere il mio progetto di animazione di favole per i bimbi, scritte dai bimbi. Vicissitudini personali, mi hanno nel tempo spinta ad iniziare a scrivere di me, cosa che ho fatto a partire da Maggio dello stesso anno, portandomi immediatamente dopo ad aprire un mio blog personale, nel quale ho scelto di raccogliere parte delle mie esperienze professionali in ambito artistico, i miei lavori multimediali e i miei racconti brevi. Quando, nel Febbraio di quest’anno, mi sono resa conto che la donna aveva preso decisamente il sopravvento sulla mamma, mi sono decisa a separare i due account, che gestisco ora in parallelo con fini diversi, l’uno mammesco/professionale, l’altro artistico/personale. ‘Melancholia’ esiste nella misura in cui a Simona piace molto condividere se stessa, i propri progetti d’arte multimediale, i propri scritti, non necessariamente totalmente autobiografici, ma che comunque hanno sempre il sapore di esperienze vissute in tempi cronologicamente non definibili e volutamente non definiti. Fondamentalmente mi è divenuto sfogo quasi necessario a “vomitare fuori” ciò che mi passa per la testa, troppo ingombra dei doveri di un quotidiano piuttosto soffocato da routine necessarie. Negli ultimi due anni, mi era venuta molto a mancare la visione personale di me stessa, la possibilità di astrarmi, di ritrovarmi individuo in ciò che facevo, e l’esercizio dello scrivere, unito a una certa dose di egocentrismo, che credo caratterizzi gran parte di noi che abbiamo scelto questo mezzo per esprimerci, è in questo senso decisamente terapeutico. Inoltre Twitter offre l’enorme vantaggio del permetterti di conoscere chi, come te, si esprime attraverso la scrittura e confrontarti su piani, modi e stili estremamente diversi tra loro, il che, oltre a piacermi enormemente, non è certamente cosa da poco”.
Quella di @ilsuonovisibile è una scrittura che descrive le forme del pieno e del vuoto, del finito e l’infinito, del reale e l’irreale, dell’anima e del corpo. E proprio il vuoto è uno dei temi intorno a cui gira il mondo dell’autrice. “Come quando le luci dell’albero di Natale decidono di fulminarsi, tutte. E tu pensi che, forse, erano solo stanche d’illuminare il vuoto” scrive in suo tweet. E in un altro tweet afferma: “Ho un cuore fragile, pallido come il corpo che lo accoglie. E, se lo tocchi, risuona quasi fosse cavo, privo di sostanza, vuoto di me”.
Eppure da questo punto di vista che è il vuoto, e anche il disinganno e la rassegnazione, (“Ho pagato infiniti giri sulla giostra della vita e, ora, dopo aver visto che ruota sempre e solo in tondo, vorrei davvero poter scendere”), l’autrice prova a compiere ogni volta percorsi verso l’infinito, la pienezza, il sogno (“Notte, questa notte, che sa di vaniglia. I sogni, come sempre, non chiederanno il permesso di entrarmi dentro” e anche “Io che guardo questo cielo, gonfio e denso e aspetto, insieme alla pioggia, che mi cada un sogno addosso”). L’autrice scrive “ergastoli emozionali”, “pensieri disertificati” (“come quando ho tentanto di nutrire l’orchidea, ma a nulla è valso ogni sforzo”), ma a volte è come se bastasse una goccia a ravvivare emozioni e sentimenti che giacciono in fondo al cuore. E allora la scrittura – che è quasi sempre cruda, asciutta, “amara come la consapevolezza, che porta alla rinuncia e alla rassegnazione” -, può diventare una esplosione di vibrazioni e aritmie (“Improvvise, quanto inaspettate, aritmie mi ricordano che il cuore è un muscolo che danza su passi irregolari, tutti suoi. E ride”), di metafore e immagini colorate (“Vi siete mai soffermati ad ascoltare il suono che producono le bolle di sapone, quando toccano il suolo? Io credo proprio che dovreste”), di voci che trasformano il mondo (“Che, a pensarci bene, basta il suono di una voce a trasformare un freddo pomeriggio d’Inverno, in una calda sera d’Estate”).
Perché in fondo come scrive bene l’autrice nell’evidenziare questa ambivalenza di vuoto e di pieno, di finito e infinito “Questo mio piccolo mondo, a guardarlo, starebbe dentro una conchiglia, e a sentirlo non basterebbe un oceano”. E in questa oscillazione si può essere anche – per citare un altro tweet – “delle felci dalle foglie meravigliose”, che parlano, comunicano, sentono, ma poi basta toccarle e subito “si richiudono su se stesse”.
In attesa che l’Altro – un Altro sempre atteso ed evocato e presente tra le righe quasi in ogni tweet – venga finalmente a sciogliere i nodi che stringono l’anima, venga a dare finalmente la pienezza e il giusto sapore alle cose: “E può capitare, sai, di non aver sapore. Fino a che non saranno le labbra giuste, ad assaggiarti”.
Presento una selezione dei migliori tweet di @ilsuonovisibile (nella selezione ho inserito ovviamente anche i tweet dell’account parallelo @UnaMamComeTante)
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@ilsuonovisibile, Tweet scelti
Ho perso. E non stavo nemmeno giocando.
Nulla da dire. E infiniti modi per farlo.
Ma imparerò, prima o poi, ad assolvermi.
È che dovremmo essere più gentili quando decidiamo di entrare nella mente d’altri, e dare loro il tempo di mettere in ordine i pensieri.
Ti ho sorriso, stanotte. Ho visto la tua faccia guardarmi e, lo sai, non so resisterti. Sì, sì, lo so che non eri qui. Però ti ho sorriso.
Lo studio della musica, insegna che le dinamiche sono importanti. E che le dinamiche variano, al variare della sensibilità dell’esecutore.
L’inevitabile implosione che deriva dal tenere, per un tempo indefinito, ogni situazione sotto controllo. Niente cocci. L’involucro, intatto
Enorme, forse eccessiva, la responsabilità dell’essere destinatari del pensiero altrui. Immensa, la solitudine del non esserlo.
Che a persone come fogli bianchi, tutte da scrivere, ho sempre preferito chi è già scritto. Anche quando ciò che leggo potrebbe non piacermi
Improvvise, quanto inaspettate, aritmie mi ricordano che il cuore è un muscolo che danza su passi irregolari, tutti suoi. E ride.
Non amando i cassetti, ho i sogni sparpagliati in giro per casa. Ogni tanto ne trovo uno, lo guardo, e penso che potrei anche realizzarlo.
E può capitare, sai, di non aver sapore. Fino a che non saranno le labbra giuste, ad assaggiarti.
Poi ti si spezza il filo logico e tu, che non sai fare i nodi.
E continuo a pensare che chi sceglie di correre il rischio di perderti, evidentemente ritiene non valga la pena averti
Apprendo, con sommo sgomento, che il tempo speso in inutili congetture, non verrà risarcito in buoni acquisto per errori nuovi di zecca. No.
Esistono, nell’infinito ripetersi quotidiano, giorni che sono un po’ meno uguali a se stessi. Peccato durino solo un giorno, sempre.
E, se mi piace ciò che scrivi, non è detto che mi piaccia ciò che sei.
Mi sveglio, piove, e tira vento. E penso che non poteva essere altro che così, oggi. La tempesta lo sa, quando è il momento di abbracciarti
Twitter è un’allodola che, vanitosa, ama circondarsi di specchi, per lo più, deformanti.
Così, legati ai piedi i pesi di tutte le nostre maldestre interpretazioni, finiremo per annegarci, in questo mare di parole inutili.
Gli addii sono spose. Trascinano lunghissimi strascichi bianchi per navate di chiese vuote, e si fermano lì, all’altare della solitudine.
Ancora ubriaca di un giorno bevuto troppo in fretta, mi afferro alla sera e attendo che faccia da ombrello a tutto ciò che vorrà cadere giù.
Della coerenza, e altre validissime forme di autoflagellazione
Ho teso un filo, tra me e il tuo cielo nero. Vi appendo tele bianche, papaveri, piccoli pensieri. Puoi raccoglierlo, e riannodarmi l’anima.
In un’altra vita, oggi, ci saremmo trovati solo per scoprire, l’uno dentro l’altra, il significato del perdersi.
Veglierò il tuo sonno affinché profumi di vaniglia e zucchero filato, e sorrisi corsi a perdifiato, e baci profondi di parole buone, e burro
Cruda, asciutta, amara come la consapevolezza, che porta alla rinuncia e alla rassegnazione. Questa sono io, adesso. Spero duri a lungo.
Come quando le luci dell’albero di Natale decidono di fulminarsi, tutte. E tu pensi che, forse, erano solo stanche d’illuminare il vuoto.
Sono figlia di un architetto, so bene come si costruisce una facciata. So anche, molto bene, come si demolisce.
Non ascolto mai gli anni che passano. Sono troppo impegnata a parlare con quelli che restano.
Che me ne faccio, ora, di questo cielo rosso mattone che potrei poggiarci i piedi e, invece, ci sbatto solo la testa.
Immenso bisogno di cose semplici. Come quelle biglie di vetro colorate, che non ho mai imparato a giocarci, ma il solo averle, era, tutto.
La desertificazione di un pensiero. Come quando, sai, ho tentato di nutrire l’orchidea, ma a nulla è valso ogni sforzo. Ed è rassegnazione.
Dai al tempo ciò di cui ha bisogno, e ti ruberà tutto ciò che hai.
Gli unici silenzi che amo sono quelli nei quali, a parlare, sono le mani
-non sarebbe ora che imparasse a colorare all’interno dei margini?
-perché?
Se solo questo blu profondo potesse parlarmi di quando, anche io, ero un colore.
Dell’ostinarsi a vedere ciò che non esiste, e altre non troppo sottili forme di perversione.
Vedo, laggiù in fondo, l’albero delle insicurezze. Straordinario quanti rami possieda. Mi siederò un po’, a osservarne crescere i frutti.
Io madre, donna; Lei figlia, persona. Quattro è un bel numero per essere famiglia in due.
Io che guardo questo cielo, gonfio e denso e aspetto, insieme alla pioggia, che mi cada un sogno addosso.
Ci sono alcuni, qui, che amerei retwittare per intero. No, non ciò che scrivete, Voi, persone, ciò che siete.
E non esiste via di scampo, se ciò che ami di una persona è l’Inferno che nasconde in fondo all’anima.
Poi c’è questo, no, non è vento. È più un frusciare di foglie secche, abbandonate sulla terra nuda, che m’inquina il sentire, me lo inquieta
Vorrei solo avere ancora tempo d’allungare una mano, prendere quelle nuvole d’ovatta che m’imbiancano il cielo, e farne culla per i desideri
Non so più come s’indossa un abito per uscire a cena; non posso certo pretendere di ricordare come s’indossa un’emozione
Non esiste crescita che non porti con sé l’apertura di un enorme squarcio in mezzo al petto.
Non volo, non ho ali. Però so sorridere, ho labbra, e occhi, e mani aperte.
Ho un cuore fragile, pallido come il corpo che lo accoglie. E, se lo tocchi, risuona quasi fosse cavo, privo di sostanza, vuoto di me.
D’improvviso si è messo freddo, e piove. E pensavo che, così com’è cambiato il tempo, forse potrebbe cambiarmi l’anima.
È che io sono piccola di statura; e ho piccole ossa fragili; e tutta questa roba proprio non ci sta, qui dentro
Della pazienza, e altre forme di autoerotismo estremo.
Quel vivere costantemente in equilibrio precario tra il sentire di non essere abbastanza e il sentirsi di troppo, nella vita di qualcuno.
Correre avendo dentro tutta la rabbia del voler arrivare, per poi guardarsi intorno e scoprire che non ti sei mossa di un millimetro.
C’è che, in fondo, ognuno di noi amerebbe essere una di quelle persone la cui assenza fa un rumore assordante
È che ho la gola in fiamme, e non sono affatto sicura che non sia per tutte le parole che mi sono morte dentro e che, ora, diventano polvere
Non è nulla. Ho solo fatto tardi all’appuntamento con ciò che avrei dovuto essere.
Noi: generazione di ragazzini che, per darsi un tono, leggevano Marx. E noi, presunti adulti, a leggere su uno smartphone i nostri ideali.
C’è la nebbia stasera, e sa di nocciole; e mi scricchiola addosso come carta velina. Come te.
Socialità non è estroversione. Ci sono felci dalle foglie meravigliose, ti parlano, eppure, se le tocchi, si richiudono su se stesse. Così.
L’essere portatori sani di sentimenti esposti non ci rende migliori, bensì solo più vulnerabili ad ogni variazione nell’altrui comportamento
Di corpi stremati, passioni mai vissute, e altre insignificanti sciocchezze.
E rimango qui, incastrata tra parola e senso. Priva di forma. Priva di luogo, e di pace.
Quella straordinaria capacità di moltiplicare il cuore, che solo le madri possiedono.
E se mi perdo, è solo perché l’aria, oggi, è così placida e limpida, da desiderare di svanirci dentro, senza più tornare.
Che, a pensarci bene, basta il suono di una voce a trasformare un freddo pomeriggio d’Inverno, in una calda sera d’Estate.
E anche stasera mi nasconderò lì, nella piccola piega laterale delle mie labbra pallide, immaginando qualcuno che mi baci via.
Notte, questa notte, che sa di vaniglia. I sogni, come sempre, non chiederanno il permesso di entrarmi dentro
Essere dove non si dovrebbe, essendo esattamente dove si dovrebbe
Ho pagato infiniti giri sulla giostra della vita e, ora, dopo aver visto che ruota sempre e solo in tondo, vorrei davvero poter scendere.
Guardo le mie dita, la luce che filtra attraversandone gli spazi e mi accorgo, solo adesso, di quanto siano state preziose, nel mio vivere
Niente persiane alle mie finestre. Solo grandi, morbide tende. Entri pure, ciò che deve.
Fino a qualche anno fa, c’era qualcuno che mi scriveva lettere e messaggi d’amore, lasciandoli sul cuscino.
No, voi qui non potete capire.
Vi siete mai soffermati ad ascoltare il suono che producono le bolle di sapone, quando toccano il suolo? Io credo proprio che dovreste.
Siete in 1000 a leggermi, e questa è un’enormità, per me. Lo è ancora di più il fatto che lo facciate non sapendo nemmeno se ho le tette! 😉
Prima e Seconda Persona. Singolari che non hanno un plurale
Gli errori sono piccole strade buie, che conducono a vicoli ciechi. Le mura ricoperte da graffiti profondi, a comporre le nostre cicatrici.
Del mio giardino segreto di bimba, ricordo il nascondersi, il sognare, la meraviglia. Scavalco ancora quel cancello, che non esiste più.
Ho un silenzio tutto mio. Ha il colore delle castagne, profuma di mandorle e pizzica la lingua, come zenzero candito. Mi protegge, da me.
Sarti improvvisati a cucirti addosso tante di quelle etichette, da non riuscire più a trovare un solo lembo di pelle che sia veramente tuo.
Condanne a ergastoli emozionali, che prescindono da quale sia l’accusa.
Ti regalo un addio. Che abbia il suono di mille campane a festa, e i colori dei tramonti che amerai guardare. Trattalo bene, mi appartiene.
Questo mio piccolo mondo che, a guardarlo, starebbe dentro una conchiglia, e a sentirlo non basterebbe un oceano.
È attraente la malinconia. Ama spesso vestire di bianco, a nascondere il suo cuore nero, profondo, vampiro.
Ti aspetto qui, dove i verbi si coniugano all’infinito e il futuro è anteriore al passato. Dove non c’è spazio, né tempo, né suono, o anima.
Mestieranti. Nel leggere, nello scrivere, nel comprendere, perfino nel provare emozioni. Dubito fortemente ci sia dato essere più di questo.
Più che fisso, è infisso questo chiodo. Dentro il cuore, a sostenere il peso del quadro del mio, lacerante, sentirti.
Nel mio chiudere a chiave porte e finestre, la notte, si nasconde un’immensa paura; quella che i mostri possano fuggire via da me.
È uno strano giorno, questo. Di viaggi mai viaggiati e strade che si raggomitolano su se stesse, fingendo andamenti rettilinei.