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Frasi, citazioni e aforismi di Fëdor Dostoevskij

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Fëdor Dostoevskij (Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881) è considerato, insieme a Lev Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi.

Presento una raccolta di frasi, citazioni e aforismi di Fëdor Dostoevskij tratti dai suoi romanzi più importanti. Tra i temi correlati si veda Le frasi più belle e famose di Lev Tolstoj, Frasi, citazioni e aforismi di Marcel Proust e Frasi, citazioni e aforismi su Dio.

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Frasi, citazioni e aforismi di Fëdor Dostoevskij

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Delitto e castigo (Titolo originale Prestuplenie i nakazanie, 1866)

A volte l’uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza.

La sofferenza e il dolore sono sempre doverosi per una coscienza vasta e per un cuore profondo.

Incontriamo a volte persone che non conosciamo affatto, ma che destano in noi subito, fin dal primo sguardo e, per così dire, di colpo, un grande interessamento, sebbene non si sia scambiata ancora una sola parola.

Hanno pianto un poco, poi si sono abituati. A tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo!

Tutti noi, e molto spesso, siamo quasi uguali ai matti, ma c’è una piccola differenza: i “malati” sono un po’ più matti di noi, perciò qui bisogna tracciare una linea di confine. Ma di persone perfettamente equilibrate, in verità, non ce n’è quasi nessuna; su varie decine e forse anche su molte centinaia di migliaia se ne trova una, e, per di più, questi esemplari non provano gran che.

Come è possibile che una simile vergogna, una simile degradazione possa mescolarsi ad altri sentimenti, assolutamente diversi, degni di una santa, racchiusi nel tuo cuore?

La libertà illimitata e arbitraria si autonega; o non sopporta se stessa, consegnandosi alla legge, oppure si dissolve in uno stato di noia e di indifferenza autodistruttiva, culminando nel suicidio.

Mentire alla propria maniera è quasi meglio che dire una verità che appartiene ad altri; nel primo caso, tu sei una persona, ma nel secondo sei solo un pappagallo!

Noi ci rappresentiamo sempre l’eternità come un’idea che non possiamo comprendere, come una cosa immensa, immensa. Ma perché dovrebbe essere immensa? E se lassù non ci fosse altro che una stanzetta, simile ad una rustica stanza da bagno affumicata, e in tutti gli angoli ci fossero tanti ragni? Se l’eternità non fosse altro che questo?

Eccoli gli uomini: vanno avanti e indietro per la strada: ognuno è un mascalzone e un delinquente per natura, un idiota. Ma se sapessero che io sono un omicida e ora cercassi di evitare la prigione, si infiammerebbero tutti di nobile sdegno.

Ogni delinquente va soggetto, nel momento del delitto, a una specie di prostrazione della volontà e della ragione, alle quali subentra invece una puerile, fenomenale leggerezza, e ciò proprio nel momento in cui più dispensabili sono il ragionamento e la prudenza.

Dove mai ho letto che un condannato a morte, un’ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così stretto da poterci posare soltanto i due piedi, – avendo intorno a sé dei precipizi, l’oceano, la tenebra eterna, un’eterna solitudine e una eterna tempesta –, e rimanersene così, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d’anni, l’eternità –, anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma vivere!… Quale verità! Dio, che verità! È un vigliacco l’uomo!… Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco.

Era un membro di quella innumerevole e svariata legione di menti piatte, di aborti informi, di stravaganti, che non hanno completato nessuna specie di studi, che s’affrettano ad accodarsi all’idea più di moda, per involgarirla, per farne immediatamente la caricatura di tutti gli ideali a cui essi si son talvolta dedicati con sincerissimo slancio.

La povertà non è un vizio; ma la miseria, l’indigenza è vizio. Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati; nella miseria, invece, nessuno mai la conserva.

Con la sola logica non si può scavalcare d’un salto la natura! La logica prevede tre casi, mentre ce n’è un milione!

il vero dominatore, al quale tutto è permesso, saccheggia Tolone, compie il macello di Parigi, dimentica un’armata in Egitto, spreca mezzo milione di uomini nella campagna di Mosca e se la cava con un gioco di parole a Vilna; e a lui, dopo morte, innalzano statue, e quindi tutto gli è permesso. No, uomini siffatti, si vede, non sono di carne, ma di bronzo!

Non per aiutare mia madre ho ucciso, sciocchezze! Non ho ucciso per farmi, acquistata ricchezza e potenza, il benefattore dell’umanità. Sciocchezze! Ho ucciso semplicemente; per me stesso ho ucciso, per me solo (…) Altro avevo bisogno di sapere, altro mi spingeva: avevo allora bisogno di sapere, e di sapere al piú presto, se io fossi un pidocchio, come tutti, o un uomo. Avrei potuto passar oltre o non avrei potuto? Avrei osato chinarmi e prendere, o no? Ero una creatura tremante o avevo il diritto.

Non capisco per quali ragioni è origine di tanta gloria il fatto di aver sottoposto al bombardamento una città assediata e non quello d’aver dato la morte a qualcuno con dei colpi d’ascia…

Se l’ammazzassimo e ci prendessimo e suoi soldi, per dedicarci poi con questi mezzi al servizio di tutta l’umanità e della causa comune, non credi che un solo piccolo delitto sarebbe cancellato da migliaia di opere buone? Per una vita, migliaia di vite salvate dallo sfacelo e dalla depravazione. Una morte sola, e cento vite in cambio: ma questa è aritmetica! E poi, che cosa conta sulla bilancia generale la vita di quella vecchiaccia tisica, stupida e cattiva? Non più della vita di un pidocchio, di uno scarafaggio; anzi, vale meno, perché quella vecchia è dannosa. Distrugge la vita altrui.

C’entrava anche una sua teoria personale, una teoria così e così, secondo la quale gli uomini si dividono in mate­riale grezzo e individui speciali, cioè individui per i quali, data la loro posizione elevata, la legge non vale; anzi, sono loro che fanno le leggi per gli altri uomini, per il materiale, per la spazzatura.

Raskòl’nikov: Ma dopotutto ho ucciso solo un pidocchio, Sonja, solo un inutile, ripugnante, nocivo pidocchio!
Sonja: Ma come può una creatura umana essere un pidocchio!

Per agire intelligentemente non basta l’intelligenza.

Lo so, che vi manca la fede, ma non state a sottilizzare scaltramente; abbandonatevi alla vita senz’altro, senza ragionare; non abbiate timore: vi porterà direttamente sulla riva e vi rimetterà in piedi. Su quale riva? Che ne so io? Io credo soltanto che abbiate ancora molto da vivere.

La povertà non è un vizio; ma la miseria, l’indigenza è vizio. Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati; nella miseria, invece, nessuno mai la conserva.

Uomo, uomo, non si può vivere del tutto senza pietà.

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.

Gli uomini veramente grandi mi pare che debbano provare in questo mondo una gran tristezza.

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L’idiota (Titolo originale Idiot, 1869)

“È vero, principe, che lei una volta ha detto che la ‘bellezza’ salverà il mondo? State a sentire, signori,” gridò ad alta voce, rivolgendosi a tutti, “il principe sostiene che la bellezza salverà il mondo! E io sostengo che questi giocondi pensieri gli vengono in testa perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato (…) Ma quale bellezza salverà il mondo?

Il denaro è la cosa più volgare e odiosa che ci sia perché può tutto, perfino conferire il talento. E avrà questo potere fino alla fine del mondo.

Un angelo non può odiare e non può neppure fare a meno di amare. Ma si può forse amare tutti, tutti gli uomini, tutti i propri simili? Mi sono posta più volte questa domanda. Naturalmente è impossibile, e sarebbe addirittura innaturale. Chi ama l’umanità di un amore astratto quasi sempre ama soltanto se stesso.

Non è possibile amare la perfezione; la perfezione può essere solo contemplata come tale.

Sembra che una certa ottusità di mente sia una qualità quasi indispensabile, se non per qualsiasi uomo di azione, perlomeno per chiunque si occupi seriamente di accumular denaro.

Vedi, la gioia che prova una madre quando coglie il primo sorriso del suo bambino dev’essere proprio la stessa che prova Iddio ogni volta che, su dal cielo, vede un peccatore che gli rivolge una preghiera con tutto il suo cuore.

Non bisogna mai nascondere nulla ai bambini con il pretesto che sono piccoli e che è ancora presto perché sappiano certe cose. Che idea triste e infausta! Gli stessi bambini si rendono benissimo conto del fatto che i loro genitori li considerano ancora troppo piccoli per capire qualcosa, mentre loro capiscono tutto.

Lei è una vera bellezza, Aglàja Ivànovna, una bellezza straordinaria. Lei è così bella che si ha addirittura paura di guardarla. (…) È difficile valutare la bellezza, e io non ci sono preparato. La bellezza è un enigma.

È meglio essere infelici, ma sapere, piuttosto che vivere felici… in una sciocca incoscienza.

Quando si dice una bugia, se lo si fa con una certa abilità, mettendoci dentro qualcosa di poco comune o di eccentrico, voglio dire qualcosa che capita assai di rado, o addirittura mai, ebbene, la bugia diventa molto più verosimile.

Secondo me, uccidere perché si è ucciso rappresenta una punizione incomparabilmente più terribile dello stesso delitto commesso. Venire giustiziato in base ad un verdetto è molto più terribile che venire ucciso da briganti.

‘Chi non ha il suolo natale sotto i piedi non ha neppure un Dio’. Questa espressione non è mia; l’ho sentita dire da un mercante, un vecchio credente, che ho incontrato in viaggio. Veramente egli non disse proprio così, bensì: ‘Chi ha rinnegato la propria terra natale ha rinnegato anche il proprio Dio’.

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I demoni (Titolo originale Besy, 1871)

L’uomo non ha fatto altro che inventare Dio per vivere senza uccidersi.

L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! … La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza la bellezza.

I miei desideri hanno troppo poca forza; non possono guidarmi. Su una trave si può attraversare un fiume, ma su un fuscello no.

Un dolore autentico, indiscutibile, è capace di rendere talvolta serio e forte, sia pure per poco tempo, anche un uomo fenomenalmente leggero; non solo, ma per un dolore vero, sincero, anche gli imbecilli son diventati qualche volta intelligenti, pure, ben inteso, per qualche tempo.

La vita è dolore, la vita è paura e l’uomo è infelice. Ora tutto è dolore e paura. Ora l’uomo ama la vita, perché ama il dolore e la vita. E così hanno fatto. La vita si concede oggi in cambio di dolore e paura, e qui sta l’inganno. Oggi l’uomo non è ancora quell’uomo. Vi sarà l’uomo nuovo, felice, superbo. Colui al quale sarà indifferente vivere o non vivere, quello sarà l’uomo nuovo. Colui che vincerà il dolore e la paura, sarà lui Dio. E quell’altro Dio non ci sarà più.

Se non c’è Dio, io sono Dio.

Dio è il dolore della paura della morte. Chi vincerà il dolore e la paura, quello diventerà Dio. Allora ci sarà una nuova vita, allora ci sarà un uomo nuovo, tutto sarà nuovo… Allora divideranno la storia in due parti: dalla scimmia fino alla distruzione di Dio, e dalla distruzione di Dio fino…”
“Alla scimmia?”.
“…alla trasformazione fisica della terra e dell’uomo…”

Kirillov: “Chi insegnerà che tutti sono buoni, colui compirà il mondo”.
Stavrogin: “Colui che lo ha insegnato è stato crocefisso”.
“Egli verrà e il suo nome sarà uomo-Dio”.
“Dio-uomo?”
“Uomo-Dio, in questo sta la differenza”.

L’uomo, oltre a volere la felicità, ha un eguale, identico bisogno anche della sventura.

La verità reale è sempre inverosimile. Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi della menzogna. La gente ha sempre fatto così.

Ma non siete stato voi a dirmi che se vi dimostrassero matematicamente che la verità è al di fuori di Cristo, preferireste restare con il Cristo, piuttosto che con la verità? Lo avete detto voi questo? Lo avete detto?

Nell’Apocalisse l’angelo giura che il tempo non esisterà più. È molto giusto, preciso, esatto. Quando tutto l’uomo raggiungerà la felicità, il tempo non esisterà più, perché non ce ne sarà più bisogno. È un’idea giustissima. Dove lo nasconderanno? Non lo nasconderanno in nessun posto. Il tempo non è un oggetto, è un’idea. Si spegnerà nella mente.

L’uomo è infelice perché non sa di essere felice. Solo per questo. Questo è tutto, tutto! Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante.

Mettete una qualche infima nullità alla vendita di miseri biglietti ferroviari, ed ecco che questa nullità si sentirà in dovere di guardarvi con un’aria da Giove, quando voi andrete a prendere il biglietto.

Eppure il piacere dell’elemosina è un piacere altezzoso e immorale, il piacere del ricco che si compiace della propria ricchezza, del potere, e del confronto tra la propria importanza e quella del mendico. L’elemosina deprava sia colui che dà, e sia colui che prende, e per di più non raggiunge lo scopo, perché non fa che rafforzare la mendicità.

L’assoluto ateismo si trova sul penultimo gradino della scala verso la fede perfetta (che faccia o no l’ultimo passo), mentre l’indifferenza non ha nessuna fede, ma soltanto una stolida paura.

Se voi avete in primo piano la ghigliottina e ne parlate con tanto entusiasmo, è unicamente perchè mozzar le teste è la cosa più facile del mondo, mentre avere un’idea è la più difficile.

Mai la ragione è stata in grado di definire il bene e il male, od anche separare il bene dal male, sia pure approssimativamente; al contrario li ha sempre confusi in modo meschino e vergognoso; mentre la scienza ha dato soluzioni brutali.

Tutti sono infelici perché tutti hanno paura di proclamare il loro libero arbitrio.

Non si può amare ciò che non si conosce.

Se avete la fede di poter perdonare da voi a voi stesso e di raggiungere questo perdono con la sofferenza in questo mondo, se vi proponete con fede un simile scopo, è segno che siete un vero credente.

Dio vi perdonerà l’assenza di fede perché onorate lo Spirito Santo pur ignorandolo.

La paura del nemico distrugge il rancore verso di lui.

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I fratelli Karamazov (titolo originale Brat´ja Karamazovy, 1878-1880)

È il diavolo a lottare con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini.

Padri e maestri, mi chiedo: “Che cos’è l’inferno?”. Ed è così che lo definisco: “La sofferenza di non poter più amare”.

Ma annientate nell’uomo la fede nella propria immortalità, e non solo in lui si inaridirà di colpo l’amore, bensì qualsiasi forza vitale in grado di perpetuare la vita nel mondo. E non basta: allora non vi sarà più nulla di immorale e tutto sarà lecito, persino l’antropofagia.

In tutti noi e anche in te, angelo, vive quell’insetto e scatena tempeste nel tuo sangue.

Dio conosce il mio cuore e vede tutta la mia disperazione. Vede tutto. È mai possibile che permetta che si compia un simile orrore?

“Dio esiste o no? Una volta per tutte!”
“Una volta per tutte, no!”
“E chi si prende gioco degli uomini, Ivàn?”
“Dev’essere il diavolo” ridacchiò Ivàn.

Io credo che se il diavolo non esiste, e quindi è stato creato dall’uomo, questi lo ha creato a sua immagine e somiglianza.

E’ mai possibile che ogni uomo, guardando gli altri, abbia il diritto di decidere chi di loro è degno di vivere e chi non lo è?

La bellezza: che tremenda e orribile cosa! (…) Là gli opposti si toccano, là vivono insieme tutte le contraddizioni!

La donna? Solo il diavolo sa cos’è.

Sì, l’uomo è vasto, troppo vasto. Vorrei che fosse più stretto. (

Gli uomini rifiutano i profeti e li uccidono. Ma adorano i martiri e onorano coloro che hanno ucciso

“Credo che tutti dovrebbero amare la vita prima di ogni altra cosa al mondo.”
“Amare la vita più del senso della vita?”
“Proprio così: amarla prima della logica, come dici tu, assolutamente prima di ogni logica, e solo allora se ne afferrerà il senso.”

Ho detto una sciocchezza, ma…”
“Proprio così! Ma, ma…” gridò Ivàn. “Sappi, novizio, che le sciocchezze sono più che necessarie sulla Terra. Sulle sciocchezze è basato il mondo e, forse senza di esse, nel mondo, non sarebbe mai accaduto nulla. So quel che dico”.

Io amo l’umanità, ma con mia grande sorpresa, quanto più amo l’umanità in generale, tanto meno mi ispirano le persone in particolare.

Ho smesso da un pezzo di pormi la domanda se è stato Dio a creare l’uomo o l’uomo a creare Dio.

Tu hai promesso loro il pane celeste ma, lo ribadisco: può esso competere, agli occhi dell’eternamente viziosa ed eternamente indegna razza umana, con quello terreno? E se a migliaia e decine di migliaia ti seguiranno in nome del pane celeste, che avverrà dei milioni e dei miliardi di esseri che non troveranno la forza di disdegnare il pane terreno per quello celeste?

“Dinanzi a chi inchinarsi?”. Non vi è affanno più tormentoso e continuo per l’uomo, rimasto libero, che il ricercare al più presto qualcuno da venerare.

Vi sono tre forze, tre sole forze sulla Terra in grado di vincere e incatenare per sempre la coscienza di questi esseri miseri e ribelli, per garantire loro la felicità: il miracolo, il mistero e l’autorità. Tu rifiutasti la prima, la seconda e la terza, dando così l’esempio.

Ma tu non sapevi che non appena l’uomo avesse rinnegato il miracolo avrebbe rinnegato anche Dio poiché l’uomo non cerca tanto Dio quanto i miracoli

Tu non scendesti dalla croce quando, per schernirti e per deriderti, ti gridavano: “Scendi dalla croce e allora crederemo che sei tu”. Tu non scendesti perché ancora una volta non volesti rendere schiavo l’uomo con un miracolo e bramavi una fede libera, non fondata sul miracolo. Bramavi un amore libero e non il servile fervore di uno schiavo dinanzi al potente che l’atterisce per sempre. Ma anche qui tu hai tenuto troppo in conto gli uomini poiché essi sono di certo degli schiavi.

Ti giuro, l’uomo è stato creato più debole e più vile di quanto tu pensassi! Può forse eguagliarti in ciò che hai fatto? Stimandolo tanto, hai agito come se cessassi di averne compassione perché troppo hai preteso da lui, e chi ha fatto questo: Colui che l’amava più di se stesso! Se lo avessi stimato di meno, avresti preteso anche meno da lui, perché più lieve sarebbe stato il suo fardello.

Abbiamo corretto la tua opera, fondandola sul miracolo, sul mistero e sull’ autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere guidati di nuovo come un gregge e di vedere il loro cuore finalmente liberato da un dono tanto terribile che aveva arrecato loro tanti tormenti.

E che colpa hanno tutti gli altri, i deboli, se non hanno saputo sopportare quello che i forti hanno sopportato? Di che cosa è colpevole un’anima debole se non ha la forza di accogliere doni così terribili? Possibile che tu sia venuto davvero solo agli eletti e per gli eletti?

E questo è appunto il vostro strazio. Voi l’amate proprio così com’è, l’amate perché vi offende. Se si ravvedesse, subito l’abbandonereste e smettereste di amarlo. Ma lui vi è necessario per poter contemplare continuamente il vostro eroico atto di fedeltà e rinfacciare a lui la sua infedeltà. E tutto ciò per orgoglio. Oh, vi svilite, vi fate umiliare, ma sempre per orgoglio..

Tu vuoi andare nel mondo, e ci vai con le mani vuote, con non so quale promessa di libertà, che quelli, nella loro semplicità e nella loro ingenita sregolatezza, non possono neppure concepire, e ne hanno timore e spavento – giacché nulla mai fu per l’uomo e per la società umana più insopportabile della libertà! Ma vedi codeste pietre, per questo nudo e rovente deserto? Convertile in pani, e dietro a Te l’umanità correrà come un branco di pecore.

Non c’è nulla di più ammaliante per l’uomo che la libertà della propria coscienza: ma non c’è nulla, del pari, di più tormentoso. Ed ecco che invece di solidi fondamenti capaci di tranquillizzare la coscienza dell’uomo una volta per sempre, Tu hai scelto tutto ciò che v’è di più difforme, di più misterioso e di più indefinito: hai scelto tutto ciò che è superiore alle forze degli uomini: e perciò hai finito per agire come se addirittura non li amassi affatto.

È appunto chi ti sta vicino che, secondo me, è impossibile amare; chi è lontano forse sì. […] Per amare un uomo occorre che questi si celi alla nostra vista: non appena mostra il suo viso l’amore svanisce.

Per me, l’amore di Cristo per gli uomini è, nel suo genere, un miracolo impossibile sulla Terra. È vero che lui era Dio. Noi però non siamo dei.

I bimbi non hanno mangiato nulla e non sono ancora colpevoli di nulla. Ami i bambini Alëša? Lo so che li ami, e capirai perché voglio parlare solo di loro. Se sulla Terra soffrono anch’essi terribilmente è certo per i loro padri, sono puniti per i loro padri che hanno mangiato il frutto proibito: ma questo è un ragionamento dell’altro mondo, incomprensibile per il cuore dell’uomo quaggiù sulla Terra. Non si può far soffrire un innocente a causa di un altro.

Si sente infatti parlare a volte di crudeltà “belluina” dell’uomo, ma è profondamente ingiusto e offensivo per le belve: una belva non potrebbe mai essere crudele quanto un uomo, così artisticamente e raffinatamente crudele. Una tigre morde, sbrana e non sa fare nient’altro. Non le verrebbe mai in mente di inchiodare gli uomini per gli orecchi per tutta una notte, neppure se fosse in grado di farlo

Sappi che davvero ognuno è colpevole dinanzi a tutti, per tutti e di tutto.

Nel suo isolamento accumula ricchezze e pensa: come sono forte adesso, e sicuro! E non sa, il folle, che quanto più accumula tanto più affonda in un’impotenza suicida.

L’uomo ama vedere la caduta del giusto e il suo disonore.

Il mondo dice: “Hai dei bisogni, e allora appagali. Non temere di appagarli, anzi incrementali”. Ecco quel che predica oggi il mondo. Ma che cosa provoca questo incrementare i propri bisogni? Nei ricchi la ‘solitudine’ e il suicidio morale; nei poveri l’invidia e l’omicidio, perché i diritti sono stati concessi, ma i mezzi per appagare i propri bisogni non li hanno ancora indicati

Conoscerai un grande dolore e nel dolore sarai felice. Eccoti il mio insegnamento: nel dolore cerca la felicità.

Questo mondo di Dio io non l’accetto, e pur sapendo che esiste, non lo ammetto affatto. Non è che non accetti Dio, intendimi: è il mondo creato da Dio che non accetto e che non posso rassegnarmi ad accettare.

Io vago e non so se sono precipitato nel fetore e nella vergogna o nella luce e nella gioia. Ecco dov’è la sventura poiché tutto nel mondo è un mistero! E quando mi avveniva di sprofondare nella più sordida depravazione leggevo allora questi versi su Cerere. Riuscivano forse a redimermi? Mai! Perché io sono un Karamàzov. Perché, se precipito in un abisso, è a capofitto, con la testa in giù e i piedi in su, e sono anzi contento di esservi caduto in modo così degradante: lo considero bello. E proprio quando sono al fondo della vergogna, innalzo allora un inno. Che sia pure maledetto, vile, meschino purché possa baciare anch’io l’orlo della tunica in cui si avvolge il mio Dio

Quel che alla mente pare una vergogna, per il cuore non è che bellezza.

Ma anche il martire ama talora divertirsi con la propria disperazione, mosso quasi dalla disperazione stessa.

Chi mente a se stesso e presta ascolto alle proprie menzogne, arriva al punto di non distinguere più la verità, né in se stesso, né intorno a sé.

Con l’amore tutto si riscatta, si salva tutto. Se io, che sono un peccatore come te, mi sono commosso e ho avuto pietà di te, tanto più ne avrà Dio

Ricorda soprattutto che non puoi essere giudice di nessuno. Perché non vi può essere sulla Terra nessuno che giudichi un criminale se prima non abbia riconosciuto di essere egli stesso un criminale come chi gli sta dinanzi, e di essere forse il maggior colpevole del delitto da questi commesso.

Se la notte, sul punto di assopirti, ti viene in mente di non aver fatto ciò che avresti dovuto, non indugiare: alzati e fallo. Se intorno a te vi sono persone adirate e insensibili che non vogliono prestarti ascolto, inginocchiati dinanzi a loro e chiedi perdono, poiché in verità la colpa è anche tua se non vogliono ascoltarti.

Ciascuno saprà di essere mortale, senza possibilità di resurrezione, e accetterà la morte con fierezza e tranquillità, come un dio. Il suo orgoglio gli insegnerà che è inutile stare a lamentarsi del fatto che la vita sia solo un attimo, ed egli amerà suo fratello senza alcuna promessa di ricompensa.

Senza sofferenza, che soddisfazione ci sarebbe? Tutto si trasformerebbe in un Te Deum senza fine: tutto sarebbe santo sì, ma anche un pochino scocciante.

Chi genera non è ancora padre, un padre è chi genera e chi lo merita.

Se il giudice fosse giusto, forse il criminale non sarebbe colpevole.

L’amore è un maestro, ma bisogna saperlo conquistare, perché è difficile meritarlo: lo si ottiene a caro prezzo e con grande fatica per lungo tempo, perché bisogna amare non per un istante, fortuitamente, ma sino alla fine.
Di amare fortuitamente tutti sono capaci, anche i malvagi.

L’amore riscatta tutto, salva tutto.

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Memorie del sottosuolo (Titolo originale Zapiski iz podpol´ja, 1864)

Ancora sedicenne, li osservavo con cupa meraviglia; già allora mi stupivano la grettezza del loro pensiero, la stupidità delle occupazioni, dei giochi, dei discorsi loro. Non capivano certe cose cosíì indispensabili, non s’interessavano di argomenti così suggestivi e impressionanti che per forza presi a considerarli inferiori a me.

La realtà più evidente, più abbagliante la percepivano in modo fantasticamente sciocco e già allora si abituavano ad inchinarsi nient’altro che al successo. Di tutto ciò che era giusto, ma umiliato e oppresso, ridevano crudelmente e vergognosamente. La posizione la consideravano ingegno; a sedici anni discorrevano già di comodi posticini. Naturalmente, in questo molto derivava dalla stupidità, dal cattivo esempio che aveva sempre circondato la loro infanzia e adolescenza. Erano depravati fino alla mostruosità.

Lasciateci soli, senza libri, e ci confonderemo subito, ci smarriremo: non sapremo dove far capo, a che cosa attenerci; che cosa amare e che cosa odiare, che cosa rispettare e che cosa disprezzare.

Ma l’uomo è tanto incline alla sistematicità e alla deduzione astratta che è pronto a deformare premeditatamente la verità, pronto a chiudere occhi ed orecchi, pur di giustificare la propria logica.

Vi giuro, signori, che aver coscienza di troppe cose è una malattia, una vera e propria malattia. Infatti, il diretto, legittimo, immediato frutto della coscienza è l’inerzia, cioè il cosciente starsene a mani conserte.

Cospargetelo di tutti i beni del mondo, sprofondatelo nella felicità finché non gli arrivi fin sopra la testa, così che non se ne veda più se non qualche bollicina sulla superficie della felicità, come fosse la superficie dell’acqua; dategli una tale tranquillità economica, che non gli rimanga proprio nient’altro da fare se non dormire, mangiare pasticcini e adoperarsi perché la storia universale non finisca: bene, anche così l’uomo, da quel bel tipo che è, e unicamente per ingratitudine, unicamente per farvi una pasquinata vi combinerà una qualche porcheria.

Credo che la migliore definizione che si possa dare dell’uomo sia questa: creatura bipede ed ingrata!

Dunque l’uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico. Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos?

Forse io mi credo un uomo intelligente proprio e solo per questa ragione, che in tutta la vita non m’è mai riuscito di portare a termine nulla.

Niente sono riuscito a diventare: né cattivo, né buono, né ribaldo, né onesto, né eroe, né insetto. E ora trascino la mia vita nel mio angolo, tenendomi su la maligna e magrissima consolazione che un uomo intelligente non può in verità diventar nulla e che solo gli sciocchi diventano qualcosa.

La sofferenza è l’unico motivo della coscienza. E sebbene abbia dichiarato che secondo me la coscienza è per l’uomo la più grande disgrazia, so però che l’uomo l’ha cara e non le scambierebbe colle maggiori soddisfazioni.

Ho quarant’anni, e quarant’anni sono una vita intera; sono la più fonda vecchiaia. Vivere oltre i quarant’anni è indecoroso, volgare, immorale. Chi vive oltre i quarant’anni? Rispondetemi sinceramente, onestamente. Ve lo dico io, chi vive: gli stupidi e i furfanti.

A volte l’uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza.

Può darsi che l’uomo non ami la sola prosperità. Può darsi che ami esattamente altrettanto la sofferenza. Può darsi che proprio la sofferenza gli sia esattamente altrettanto vantaggiosa quanto la prosperità. E l’uomo a volte ama immensamente la sofferenza, fino alla passione, anche questo è un fatto.

Un uomo evoluto e perbene non può essere vanitoso senza un’illimitata severità con se stesso e senza disprezzarsi fino all’odio in certi momenti.

Io avrei perdonato anche una scarica di bastonate, ma non potevo assolutamente perdonare il fatto che m’avesse spostato a quel modo, senza nemmeno accorgersi di me.

Certo, certo sarò un logorroico, un innocuo e fastidioso logorroico, come tutti noi. Ma che fare se la prima e unica destinazione dell’uomo intelligente è la chiacchiera, cioè il meditato travasamento di un vuoto in un vuoto più grande?

Ci sono fra i ricordi d’ogni uomo, cose che non si raccontano a tutti, ma appena agli amici. Ce ne sono altre che neanche agli amici si raccontano, ma appena a se stessi, e per di più sotto suggello di segreto. Ce ne sono, infine, altre ancora che persino a se stessi si ha paura di raccontare, e di tali ricordi ogni uomo, anche ammodo, ne mette insieme parecchi.

Mi davo alla depravazione solitariamente io, di notte, di nascosto, pavidamente, sudiciamente, con una vergogna che non mi lasciava nei momenti più ripugnanti e che anzi in quei momenti giungeva fino alla maledizione. Già allora portavo nell’anima mia il sottosuolo. Avevo una tremenda paura che in qualche modo mi vedessero, m’incontrassero, mi riconoscessero. E giravo per vari luoghi molto oscuri.

La civiltà ha reso l’uomo, se non più sanguinario, in ogni caso più ignobilmente sanguinario di quanto fosse un tempo.

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Il giocatore (Titolo originale Igrok, 1866)

Gli uomini, non soltanto alla roulette ma ovunque, non fanno altro che togliersi o vincersi qualcosa reciprocamente.

Per quanto sia ridicolo che io mi aspetti tanto dalla roulette, mi sembra ancora più ridicola l’opinione corrente, da tutti accettata, che è assurdo e stupido aspettarsi qualcosa dal gioco. Perché il gioco dovrebbe essere peggiore di qualsiasi altro mezzo per far quattrini come, per esempio, del commercio? Vero è che, su cento, uno solo vince, ma a me che importa?

L’uomo ama vedere il suo migliore amico umiliato davanti a lui. Per la maggior parte degli uomini, l’amicizia è fondata sull’umiliazione.

Ci sono due modi di giocare: uno da gentleman, l’altro invece plebeo, venale, insomma il modo di giocare di una canaglia qualsiasi.

I giocatori sanno bene che si può resistere addirittura per ventiquattr’ore di seguito con le carte in mano senza neanche gettare un’occhiata a destra o a sinistra.

Un vero giocatore sa bene cosa vogliono dire certi “scherzi” del caso.

La cosa più antipatica, che saltava agli occhi alla prima occhiata in tutta quella marmaglia di giocatori di roulette, era l’ostentato rispetto per l’occupazione a cui si dedicavano, l’aspetto serio e perfino rispettabile che assumevano tutti coloro che circondavano i tavoli.

Mi è parso che in realtà il calcolo significhi molto poco e comunque non abbia affatto tutta l’importanza che gli attribuiscono molti giocatori. Certi se ne stanno lì seduti davanti a dei pezzi di carta rigata, segnano tutti i colpi, li contano, ne deducono le probabilità, fanno i loro calcoli e alla fine puntano e perdono proprio come noi, semplici mortali che giochiamo senza calcolare niente.

Ma il piacere è sempre utile, e il sentimento di disporre di un potere assurdo e sconfinato su qualcuno — fosse pure su una mosca — ci dà un certo piacere. L’uomo è un despota per natura e ama infliggere tormenti.

Lei vegeta, lei non soltanto ha rinunciato ai suoi interessi personali e a quelli sociali, non soltanto ai suoi doveri di uomo e di cittadino, non soltanto ai suoi amici (eppure ne aveva), non soltanto ha rinunciato a qualsiasi fine nella vita, eccettuato quello di vincere, ma perfino ai suoi ricordi. Io ricordo di averla conosciuta in un momento forte e ardente della sua vita, ma sono convinto che lei adesso ha dimenticato tutte le sue migliori inclinazioni di allora; i suoi sogni di adesso, anche quelli più urgenti ed essenziali, ormai non vanno oltre al pair e impair, rouge, noir, la dozzina di mezzo e così via; ne sono assolutamente convinto!

Vorrei penetrare il suo segreto, vorrei che lei venisse da me e mi dicesse: “Io ti amo”, e se non è così, se questa follia non è pensabile, allora… allora che cosa desiderare? Forse so io stesso quel che desidero? Sono anch’io come sperduto: vorrei soltanto starle accanto, essere nella sua aura, nella sua luce, eternamente, per tutta la vita. Altro non so! Potrei forse allontanarmi da lei?

E adesso mi ponevo per l’ennesima volta la domanda: ma io l’amo? E per l’ennesima volta non sapevo rispondere, cioè, per meglio dire, nuovamente, per la centesima volta, mi risposi che l’odiavo.

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Umiliati e offesi (Titolo originale Unižennye i oskorblënnye, 1861)

Dicono che chi è sazio non può capire chi è affamato; io aggiungo che un affamato non capisce un altro affamato.

Se soltanto potesse avvenire, dico, che ciascuno uomo fosse obbligato a rivelare l’intimo fondo di se stesso, ma in modo da non temere di dire non solo ciò che egli non direbbe mai agli altri uomini, non solo ciò che avrebbe paura di confessare ai suoi migliori amici, ma anche ciò che non osa confessare neppure a se stesso, ebbene, in tal caso si spargerebbe nel mondo un tal fetore da soffocare tutti quanti.

Mi accusate di avere dei vizi, di essere dissoluto, immorale, mentre io forse sono colpevole solo di essere più sincero degli altri e basta; di non nascondere ciò che gli altri nascondono persino a se stessi.

Che posso fare se so con sicurezza che alla base di tutte le virtù umane c’è il più terribile egoismo?… e più un’azione è virtuosa, più grande è l’egoismo. “Ama te stesso”, ecco l’unica regola che riconosco. Sono d’accordo con tutto, purché io stia bene, e ce ne sono a legioni di uomini che la pensano come me.

Quella tendenza a esacerbare il dolore, e quella specie di godimento tormentoso è il piacere di molti offesi e umiliati, oppressi dal destino e coscienti dell’ingiustizia da cui sono colpiti.

In certe nature capaci di sentimenti teneri e delicati c’è talvolta una sorta di ostinazione, di pudica ritrosia a esprimere e mostrare la propria tenerezza perfino alla persona amata, non solo in presenza di estranei, ma anche a tu per tu; anzi soprattutto a tu per tu; solo di tanto in tanto si lasciano andare a manifestazioni d’affetto, che allora sono tanto più ardenti, tanto più impetuose, quanto più a lungo sono state represse.

Il terrore consiste in una morbosa sensazione di paura, di qualche cosa che non potrei ben definire neppure io, di un non so che d’inconcepibile, d’inesistente nell’ordine delle cose, ma che pur deve assolutamente, forse proprio in quel medesimo istante, avverarsi.

La morale non è che una comodità, una cosa non escogitata per altro che per rendere la vita più confortevole

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Le notti bianche (Titolo originale Belye Noči, 1848)

Era una notte incantevole, una di quelle notti come ci possono forse capitare solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era un cielo così stellato, così luminoso che, guardandolo, non si poteva fare a meno di chiedersi: è mai possibile che esistano sotto un simile cielo persone irritate e capricciose?

Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! È forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?

Quanto più siamo infelici, tanto più profondamente sentiamo l’infelicità degli altri; il sentimento non si frantuma, ma si concentra.

Sono un sognatore; ho una vita reale talmente limitata che mi capitano momenti come questo, come adesso, tanto di rado che non posso non ripercorrere questi momenti nei miei sogni. Sognerò di voi l’intera notte, l’intera settimana, tutto l’anno. Verrò immancabilmente qui domani, proprio qui, in questo stesso punto, proprio a quest’ora, e sarò felice ricordando il giorno passato.

Il sognatore non è un uomo ma una specie di essere neutro. Si stabilisce prevalentemente in un angolino inaccessibile, come se volesse nascondersi perfino dalla luce del giorno, e ogni volta che si addentra nel suo angolino, vi aderisce come la chiocciola al guscio, e diventa simile a quell’animale divertente chiamato tartaruga, che è nello stesso tempo un animale e una casa.

Invano il sognatore rovista nei suoi vecchi sogni, come fra la cenere, cercandovi una piccola scintilla per soffiarci sopra e riscaldare con il fuoco rinnovato il proprio cuore freddo, e far risorgere ciò che prima gli era così caro, che commuoveva la sua anima, che gli faceva ribollire il sangue, da strappargli le lacrime dagli occhi, così ingannandolo meravigliosamente.

Quanto rendono meravigliosa una persona la gioia e la felicità! Come ferve un cuore innamorato! Sembra che tu voglia riversare tutto il tuo cuore in un altro cuore, vuoi che tutto sia allegro, che tutto rida. E quanto è contagiosa questa gioia!

Perché non ci comportiamo tutti come fratelli? Perché anche l’uomo migliore è come se nascondesse sempre qualcosa all’altro e gli tacesse qualcosa? Perché non dire subito, direttamente, quel che si ha nel cuore, se sai che non parlerai al vento? Altrimenti ognuno appare più severo di quanti in effetti sia, come se tutti temessero di offendere i propri sentimenti palesandoli molto velocemente…

Passeranno ancora altri anni, a loro seguirà una triste solitudine, arriverà la vecchiaia barcollante sulle grucce e poi l’angoscia e la tristezza. Impallidirà il tuo mondo fantastico, svaniranno, appassiranno i tuoi sogni, e cadranno come le foglie gialle dagli alberi.

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L’adolescente (Titolo originale Podrostok, 1875)

L’epoca attuale, l’epoca attuale è il tempo della mediocrità aurea e dell’insensibilità, della passione per l’ignoranza, della pigrizia, dell’incapacità al lavoro e dell’aspirazione a trovar tutto già bell’e pronto. Nessuno pensa; di rado si trova qualcuno che concepisca un’idea.

L’uomo non può vivere senza inchinarsi dinanzi a qualcosa; un uomo simile non sopporterebbe se stesso e nessuno lo sopporterebbe. E chi nega Iddio, finirà coll’inchinarsi dinanzi a un idolo di legno o d’oro, o magari a un idolo astratto. Sono idolatri, non atei: ecco come bisogna definirli.

La vita di ogni donna, qualunque cosa predichi, è soltanto un’eterna ricerca di una persona a cui possa sottomettersi.

La coscienza solitaria e sicura della mia forza! Ecco la definizione della libertà che il mondo cerca con tanta ansia.

Perché vivere secondo un’idea è difficile, mentre è facilissimo invece vivere senza idee.

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Memorie dalla casa dei morti (Titolo originale Zapiski iz mërtvogo doma, 1861)

Se avete in animo di conoscere un uomo, allora non dovete far attenzione al modo in cui sta in silenzio, o parla, o piange; nemmeno se è animato da idee elevate. Nulla di tutto ciò! – Guardate piuttosto come ride.

Un essere che s’adatta a tutto: ecco, forse, la miglior definizione che si possa dare dell’uomo.

Vi sono uomini che non hanno mai ucciso, eppure sono mille volte più cattivi di chi ha assassinato sei persone.

Forse si mettono a un uomo i ferri ai piedi solo perché non fugga o ciò gli impedisca di correre? Niente affatto. I ferri non sono altro che un ludibrio, una vergogna e un peso, fisico e morale. Così almeno si presuppone. Essi non potranno mai ad alcuno impedire di fuggire. Il più inesperto, il meno abile dei detenuti saprà ben presto, senza gran fatica, segarli o farne saltare la ribaditura con un sasso.

“C’erano là degli assassini per caso e degli assassini di mestiere, dei briganti e dei capi briganti. V’erano dei semplici ladruncoli e dei ladri maestri nel trovar denaro addosso ai passanti o sulle tavole. Ve ne era di quelli per i quali era difficile poter decidere a qual motivo dovevano di trovarsi là.

l tenente invece era qualcosa come un raffinatissimo gastronomo in materia punitiva. Egli amava, amava con passione, l’arte del punire e l’amava unicamente in quanto arte. Egli se ne deliziava e, come uno svanito patrizio, consumato dai piaceri, dei tempi dell’Impero Romano, inventava varie raffinatezze, vari mezzi contro natura per rimescolare un poco e stuzzicare piacevolmente la sua anima sommersa dal grasso.

La libertà, una vita nuova, la risurrezione dai morti… E’ un momento magnifico.

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Il sosia (Titolo originale Dvojnik, 1845)

Per un paio di minuti però rimase a giacere immobile sul suo letto, da uomo non ancor pienamente sicuro se si sia svegliato o dorma tuttora, se esista nella veglia e nella realtà tutto ciò che intorno gli succede o sia il seguito delle sue disordinate e assonnate fantasticherie.

Talvolta la virtù può trionfare sulla malvagità, sul libero pensiero, sul vizio e sull’invidia.

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Quaderni e taccuini 1860-1881

Ma com’è strano: noi, forse, vediamo Shakespeare. Mentre lui fa il vetturino; quest’altro forse è Raffaello, mentre fa il fabbro; questo è un attore, ma coltiva la terra. Possibile che solo un piccolo vertice di uomini giunga a dar prova di sé, mentre gli altri debbono perire

Non sempre siamo peccatori, al contrario, sappiamo anche essere santi. E chi mai potrebbe vivere, se fosse diversamente?

Pietà quanta se ne vuole, ma non lodate le cattive azioni: date loro il nome di male.

La lussuria genera la lascivia, la lascivia la crudeltà.

Manifestare la personalità è un’esigenza di autoconservazione.

Ama t u t t o come te stesso.