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Le frasi più belle di Georges Simenon

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Georges Simenon (Liegi, 13 febbraio 1903 – Losanna, 4 settembre 1989), scrittore belga di lingua francese, è stato uno dei più prolifici autori che siano mai vissuti.

Gli esperti litigano tuttora per sapere quanti libri abbia scritto Georges Simenon: secondo l’ultimo calcolo, sarebbero 431, tra romanzi, racconti e testi autobiografici, ma l’autore avrebbe utilizzato anche decine di pseudonimi di cui si è perso il conto

Tradotto in una moltitudine di lingue – Georges Simenon è l’autore più tradotto al mondo, a parte la Bibbia.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Georges Simenon. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Marcel Proust, Frasi, citazioni e aforismi di Stendhal, Frasi, citazioni e aforismi di Gustave Flaubert e Frasi, citazioni e aforismi di Vladimir Nabokov.

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Le frasi più belle di Georges Simenon

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Così ho imparato a raccontare che cos’è l’uomo, Intervista a Georges Simenon di Carvel Collins (1955)

Scrivere non è una professione, ma una vocazione di infelicità. Non credo che un artista possa mai essere felice.

Mentre lavoro a un romanzo, non vedo nessuno, non parlo con nessuno, non rispondo al telefono – faccio la vita di un monaco. Per tutto il giorno io sono uno dei miei personaggi. Sento quello che sente lui.

Elimino aggettivi, avverbi, e ogni parola che è lì solo per fare effetto. Ogni frase che è lì solo per la frase. Hai ottenuto una frase meravigliosa – tagliala. Ogni volta che trovo una cosa del genere in uno dei miei romanzi la devo eliminare

So che esistono molti uomini con dei problemi simili ai miei, più o meno profondi, che saranno felici di leggere il libro per trovare la risposta – ammesso che sia possibile trovarla.

Uno dei problemi che mi perseguita più di ogni altro è il problema della comunicazione. Mi riferisco alla comunicazione fra due persone. Siamo in non so quanti milioni oggi, eppure la comunicazione, una comunicazione completa, è del tutto impossibile tra due persone, e questo fatto è per me tra le cose più tragiche del mondo

Leggere un certo tipo di romanzi è un po’ come spiare dal buco della serratura per vedere cosa fa e pensa il vicino di casa – ha anche lui lo stesso complesso di inferiorità, gli stessi vizi, le stesse tentazioni? È questo che il lettore cerca nell’opera d’arte. Credo che oggi siano aumentate le persone insicure in cerca di sé.

Quando ho cominciato a scrivere non l’ho fatto pensando che i miei libri avrebbero venduto. Più precisamente, all’inizio scrivevo pezzi commerciali – racconti per riviste e cose del genere – per guadagnarmi da vivere, ma non l’ho mai considerata vera scrittura. Alla sera, invece, quando lo facevo per me stesso, scrivevo senza l’idea che un giorno avrei pubblicato.

Un pittore commerciale dipinge in modo piatto; puoi passarci il dito attraverso. Ma solo un pittore… ad esempio, una mela di Cézanne ha un peso. Ha la polpa, e tutto, e solo con tre pennellate. Cercavo di dare alle mie parole lo stesso peso che una pennellata di Cézanne dava a una mela.

Per vent’anni i critici hanno sempre detto la stessa cosa: “È ora che Simenon produca un grande romanzo, un romanzo con venti o trenta personaggi”. Non capiscono. Non scriverò mai un grande romanzo. Il mio romanzo più grande è il mosaico dei miei più brevi. Lei capisce?

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Varie

Non scrivo: pioveva a dirotto, scrivo: Maigret era fradicio.

Il mio stile è scialbo, ho lavorato tanto per arrivarci…

Siamo come spugne, assorbiamo la vita senza saperlo e la restituiamo poi trasformata, ignari del processo alchemico che si è svolto dentro di noi.
(Lettere a Federico Fellini)

Che lo si voglia o meno, noi viviamo con una memoria ancestrale che risale almeno all’epoca del Cro-Magnon.
(Conversazione con Claude Chabrol)

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Romanzi

Bisogna credere per forza che l’uomo abbia voluto vivere in società, dato che la società esiste; però, da quando esiste, l’uomo usa buona parte della sua energia e della sua astuzia per lottare contro di essa.
(da Il grande Bob)

Gli pareva che in tutto il mondo non ci fossero che due tipi di uomini, quelli che chinano la testa e gli altri. Già da bambino la pensava in questi termini, anche se allora usava un’immagine infantile: c’è chi sculaccia e chi viene sculacciato.
(da L’orologiaio di Everton)

Non sono né pazzo né maniaco! Solo che a quarant’anni ho deciso di vivere come più mi garba senza curami delle convenzioni né delle leggi, perché ho scoperto un po’ tardi che nessuno le osserva e che finora sono stato gabbato.
(L’uomo che guardava passare i treni)

L’impressione quasi sacrilega di assistere alla nascita della felicità. Non si abbracciarono ma rimasero guancia a guancia, tacendo.
(Tre camere a Manhattan)

Per quarant’anni mi sono annoiato. Per quarant’anni ho guardato la vita come quel poverello che col naso appiccicato alla vetrina di una pasticceria guarda gli altri mangiare i dolci. Adesso so che i dolci sono di coloro che si danno da fare per prenderli.
(L’uomo che guardava passare i treni)

Gli altri non valgono la fatica che ci si dà perché pensino bene di noi.
(L’uomo che guardava passare i treni)

Torna comodo trattare alla stregua di pazzi coloro che non si è in grado di comprendere.
(L’uomo che guardava passare i treni)

Per quel che riguarda personalmente Kees Popinga, si deve convenire che alle otto c’era ancora tempo, perché a ogni buon conto il suo destino era segnato. Ma tempo per che cosa? E poteva lui agire diversamente da come avrebbe poi agito, persuaso com’era che i suoi gesti non fossero più importanti di quelli di mille altri giorni del suo passato?
(L’uomo che guardava passare i treni)

Esistono, nella vita di ognuno di noi, persone che ci accompagnano per un tratto più o meno lungo. Solo al momento dei bilanci si può farne il computo, e riconoscere il peso che ognuna ha avuto sul nostro destino.
(Lettera a mia madre)

Ora eravamo nello stesso letto, pelle a pelle, con le porte e le finestre chiuse, e al mondo c’eravamo soltanto noi due.
(Lettere al mio giudice)

Il dolore causato dall’assenza è atroce, ma quel dolore, in particolare, era di quelli che fanno credere all’inferno.
(Lettere al mio giudice)

E’ terribile pensare che siamo tutti uomini, tutti destinati, chi più chi meno, a portare il nostro fardello sotto un cielo sconosciuto, e che non vogliamo fare il minimo sforzo per capirci a vicenda.
(Lettere al mio giudice)

Come potevo spiegarle che si può essere felici e soffrire? Eppure queste due parole vanno naturalmente in coppia, e io non avevo mai sofferto veramente prima che Martine mi rivelasse la felicità.
(Lettere al mio giudice)

C’era un uomo che non poteva agire diversamente, punto e basta. E non poteva perché a un tratto, dopo quarant’anni, era in gioco la sua felicità, quella di cui non si era mai preoccupato nessuno, nemmeno lui, una felicità che non aveva cercato, che gli era piovuta dal cielo e che non doveva lasciarsi sfuggire
(Lettere al mio giudice)

Non era colpa mia se una donna che quindici giorni prima non conoscevo e che non avevo cercato di conoscere mi era diventata necessaria come l’aria che respiravo.
(Lettere al mio giudice)

Se qualcuno mi chiedesse oggi da che cosa si riconosce l’amore, se dovessi dare una diagnosi dell’amore, direi: “Il bisogno di presenza, anzitutto”.
(Lettere al mio giudice)

Non facevamo progetti per l’avvenire. Non basta questo a dimostrare che eravamo felici?
(Lettere al mio giudice)

Allora sono ricomparsi i fantasmi più orribili e immondi; era troppo tardi perché mi potessi difendere, e loro lo sapevano.
(Lettere al mio giudice)

Sarebbero invecchiati insieme, sentendosi sempre più vicini, perché col tempo avrebbero avuto sempre più ricordi in comune.
(da La camera azzurra)

Viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire.
(da La camera azzurra)

Che importava, dopo tutto? Bastava imitare gli altri, tutti gli altri, la gente in strada, negli uffici, e anche Kolin e la moglie: non fiatare! Ci si fa la propria tana. Ci si crea le proprie abitudini. Si arriva persino a non pensare più se non a sprazzi, in modo vago, come quando si sogna.
(Le finestre di fronte)

Era una tipica serata sul Bosforo, con la sua atmosfera languida, il suo sfarzo e le sue miserie, i suoi profumi e il suo sentore di marcio. La poesia, come nei paesaggi di Istanbul, era in gran parte artificiosa, ma c’era anche qualche raro momento che non dipendeva dalla volontà dell’uomo.
(da I clienti di Avrenos)

Il bacio aveva il sapore dell’estate, sapeva di aria aperta, di pelle riscaldata dal sole, e anche d’erba, come se la natura che li circondava vi prendesse parte.
(da I clienti di Avrenos)

La ama. La ama come una bestia. Passa la vita ad amarla e lo farebbe davanti a tutti; fra poco, quando usciranno, sentiranno ancora il bisogno, per strada, di stringersi l’uno all’altro.
(da La finestra dei Rouet)

Esistono tre miliardi di uomini sulla terra. Non so la cifra esatta. Sono allergico alle statistiche, alle cifre in generale. Quanti uomini sono vissuti, dalla preistoria sino ad oggi? Nessuno lo sa. Si può tuttavia supporre che, come oggi, si siano sempre combattuti tra loro, si siano uccisi, abbiano dovuto lottare contro i loro vicini, contro i grandi cataclismi naturali, contro le epidemie. E tuttavia non hanno mai smesso di porsi una domanda: “Che cos’è l’uomo? Chi è il mio vicino?”.
(Lettera a mia madre)

Oggi l’etnografia cerca le tracce degli uomini di un tempo, i nostri antenati: la biologia, nei laboratori di tutto il mondo, si sforza di conoscere l’uomo attuale. Però non conosciamo le persone della porta accanto, quelle che incrociamo tutti i giorni per la strada, al cui fianco lavoriamo.
(Lettera a mia madre)

La verità non sembra mai vera.
(da Le memorie di Maigret)

Quando arrivarono davanti alla balera da due soldi, Maigret non aveva ancora sentito il primo «scatto della serratura», come era solito dire … non aveva avvertito quello stacco, quella leggera stretta, insomma quello scatto della serratura che gli consentiva di entrare nell’atmosfera di un caso,
(La balera da due soldi)

Sempre, in tutta la mia vita, ho avuto grande curiosità per ogni cosa, non solo per l’uomo, che ho guardato vivere ai quattro angoli della terra, o per la donna, che ho inseguito quasi dolorosamente tanto era forte, e spesso lancinante, il bisogno di fondermi con lei; ero curioso del mare e della terra, che rispetto come un credente rispetta e venera il suo dio, curioso degli alberi, dei più minuscoli insetti, della più piccola creatura vivente, ancora informe, che si trova nell’aria o nell’acqua.
(da Memorie intime)

Fino a quel momento erano rimasti al di fuori della vita, ma a un certo punto, volenti o nolenti, avrebbero dovuto rientrarvi.
(da Tre camere a Manhattan)

Non presero il taxi. Continuarono a camminare. Come se quello fosse il loro destino, come se non potessero o non osassero fermarsi. Da quando si conoscevano, e avevano l’impressione di conoscersi da tanto, la maggior parte del tempo l’avevano passata a camminare così, lungo i marciapiedi, sfiorando una folla che neppure vedevano
(da Tre camere a Manhattan)

È meno facile di quanto si creda: piacere alle persone colte pur rimanendo comprensibile per quelle semplici.
(da La pazza di Itteville)

Non ci vuole molto a intuire come reagirà un uomo intelligente, che cosa farà in determinate circostanze, perché parti dal presupposto che si lascerà guidare dalla logica… Mentre è impossibile prevedere che cosa farà un imbecille… È questo il punto…
(da La pazza di Itteville)

Col passare degli anni aveva finito per dare ai suoi movimenti una cadenza quasi da balletto. Gli veniva spontaneo. Non aveva più bisogno di pensarci, tanto è vero che, quando per una circostanza fortuita il ritmo cambiava, prima di rimettersi in moto restava per un po’ immobile, disorientato, come un meccanismo guasto. Mentre la vasca si riempiva, ad esempio, metteva i vestiti nell’armadio, la giacca su una gruccia, i pantaloni ben tesi con la piega giusta; poi preparava ai piedi del letto i calzini, la camicia, il colletto e la cravatta. Ogni cosa andava fatta al momento giusto, e raramente gli capitava d’invertire l’ordine dei suoi gesti. Che erano, se ci si dava la pena di contarli, centinaia, addirittura migliaia, e messi insieme finivano per riempire tutta la giornata.
(da I fantasmi del cappellaio)