Skip to main content
AutoriFrasi Belle

Le frasi più belle di Jonathan Safran Foer

Annunci

Jonathan Safran Foer (Washington, 21 febbraio 1977) è uno scrittore e saggista statunitense.

Nel libro “Se niente importa”, Jonathan Safran Foer descrive l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi, le sofferenze patite dagli animali da macello e la sua decisione di abbracciare il vegetarianismo per rispetto dei diritti degli animali.
Recentamente è uscito in Italia “Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi”, dove lo scrittore americano affronta il tema dei cambiamenti climatici e dell’emergenza ambientale.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Jonathan Safran Foer. Tra i temi correlati si veda Le frasi più belle di Neil Gaiman, Frasi, citazioni e aforismi sui vegetariani e vegani e Frasi, citazioni e aforismi sul clima e i cambiamenti climatici.

**

Le frasi più belle di Jonathan Safran Foer

**

Molto forte, incredibilmente vicino (Extremely Loud and Incredibly Close, 2005)

E il cuore mi va in pezzi, certo, in ogni momento di ogni giorno, in più pezzi di quanti compongano il mio cuore.

Io penso, penso, penso, pensando sono uscito dalla felicità un milione di volte, e mai una volta che vi sia entrato.

Che rimpianto, pensare che serve una vita per imparare a vivere una vita.

La timidezza è quando distogli lo sguardo da una cosa che vuoi. La vergogna è quando distogli lo sguardo da una cosa che non vuoi.

Qualche volta sono schiacciato sotto il peso di tutte le vite che non sto vivendo.

Il tempo passava come una mano che saluta da un treno sul quale avrei voluto essere.

Da bambina la mia vita era una musica che suonava sempre più forte. Tutto mi emozionava. Un cane che seguiva uno sconosciuto. Era una sensazione così intensa. Un calendario aperto sul mese sbagliato. Avrei potuto piangerci sopra. E piangevo. Quando finiva il fumo di un camino. Il modo in cui una bottiglia rovesciata si appoggiava sull’orlo della tavola.
Ho passato la mia vita imparando a sentire di meno.
Sento di meno ogni giorno.
Non ci si può difendere dalla tristezza senza difendersi dalla felicità.

Mi mancavi già quando ero con te. E’ sempre stato questo il mio problema. Mi manca quello che già ho e mi circondo di cose mancanti.

C’erano cose che volevo dirgli. Ma sapevo che gli avrebbero fatto male. Così le seppellii e lasciai che facessero male a me.

«Che cosa intendi per seppellire i tuoi sentimenti?» «Anche se saranno fortissimi non li lascerò uscire. Se dovrò piangere, piangerò dentro. Se dovrò sanguinare, mi verranno dei lividi. Se il mio cuore comincerà a dare i numeri, non ne parlerò con nessuno al mondo. Tanto non serve. Rovina solamente la vita a tutti.»

Quando ti guardavo, la mia vita aveva senso. Anche le cose brutte avevano senso, perché erano necessarie a renderti possibile.

Fondamentalmente i nomi sono l’unica cosa che resta ai morti.

Anche se era relativamente insignificante, era qualcosa, e io avevo bisogno di fare qualcosa, come gli squali che se non nuotano muoiono.

Le piaceva saltare sul letto. Aveva saltato sul letto per tanti anni che un pomeriggio, mentre la guardavo saltare, il materasso si sfasciò. La cameretta si riempì di piume. Le nostre risate le tenevano in aria. Pensai agli uccelli. Avrebbero volato se, da qualche parte, non ci fosse stato qualcuno che rideva?

Ridemmo insieme e da soli, a squarciagola e in silenzio, eravamo decisi a ignorare qualunque cosa andasse ignorata, decisi a costruire un nuovo mondo dal nulla, se nulla si poteva salvare del nostro mondo, fu uno dei giorni più belli della mia vita, un giorno in cui vissi la mia vita e non pensai affatto alla mia vita..

Ho pensato a tutte le cose che tutti ci diciamo l’un l’altro, e che tutti dobbiamo morire, o fra un millisecondo, o fra giorni, o fra mesi, o fra 76 anni e mezzo se uno è appena nato. Tutto quello che è nato deve morire, e questo significa che le nostre vite sono come i grattacieli. Il fumo sale a velocità diverse, ma le vite sono tutte in fiamme, e tutti siamo in trappola.

Decidemmo di creare un Luogo di Niente nel soggiorno, sembrava indispensabile perché a volte uno ha bisogno di sparire mentre sta nel soggiorno e a volte uno ha voglia di sparire e basta.

Servono tasche enormi, tasche abbastanza grandi per le nostre famiglie, e per i nostri amici, e anche per le persone che non sono sulle nostre liste, gente che non abbiamo mai conosciuto ma vogliamo proteggere. Servono tasche per i distretti e per le città, una tasca che possa contenere l’universo.

La grande maggioranza dell’universo è formato da materia oscura. Il suo fragile equilibrio dipende da cose che non saremo mai in grado di vedere, sentire, odorare, gustare o toccare.

Quella sera mi sono sentito incredibilmente vicino a ogni cosa nell’universo, ma anche straordinariamente solo. Per la prima volta in vita mia mi sono chiesto se la vita valeva tutta la fatica che serve per vivere. Perché, esattamente, valeva la pena di vivere? Che c’è di così orrendo nell’essere morti per sempre e non provare niente, non sognare nemmeno? Che c’è di così fantastico nel provare sensazioni e fare sogni?

**

Se niente importa (Eating Animals, 2009)

Abbiamo intrapreso una guerra, o meglio abbiamo permesso che si intraprendesse una guerra contro tutti gli animali che mangiamo. Questa guerra è nuova e ha un nome: allevamento industriale.

Sono diventato un vegetariano convinto, mentre prima tentennavo tra vari tipi di dieta. Ora mi è difficile comprendere quell’indecisione. Non voglio avere niente a che fare con l’allevamento industriale e astenermi dalla carne è per me l’unico modo realistico di farlo.

Allevare animali a fini alimentari (in allevamenti tradizionali o industriali) è una delle due o tre attività che contribuiscono maggiormente ai più seri problemi ambientali su ogni scala, da quella locale a quella globale.

Negli allevamenti intensivi calcolano quanto possono tenere gli animali vicino alla morte senza ucciderli. È questo il loro modello di business. A che velocità possono farli crescere, quanto possono pigiarli, quanto o quanto poco possono mangiare, quanto possono ammalarsi senza morire.

Più che una serie di pratiche, l’allevamento industriale è un atteggiamento mentale: riduce ai minimi termini i costi di produzione e al tempo stesso ignora in modo sistematico o «esternalizza» costi come il degrado ambientale, le malattie umane e la sofferenza degli animali.

È pazzesco che l’idea dei diritti degli animali sembri pazzesca a qualcuno. Viviamo in un mondo che considera normale trattare gli animali come pezzi di legno e considera estremistico trattare gli animali come animali.

Pensare di avere più diritto a mangiare un animale di quanto ne abbia l’animale a vivere senza soffrire è una depravazione. Non sono ragionamenti astratti. È questa la realtà in cui viviamo. Guarda che cosa sono gli allevamenti intensivi. Guarda che cos’ha fatto la nostra società agli animali non appena ne ha avuto il potere tecnologico.

Quando mangiamo carne prodotta negli allevamenti industriali viviamo, letteralmente, di corpi torturati. Sempre più, quel corpo torturato sta diventando il nostro.

E allora quanta sofferenza è accettabile? È questa la base di tutto, ed è questo che ognuno di noi deve chiedersi. Quanta sofferenza sei disposto a tollerare per il tuo cibo?

L’allevamento intensivo, che consente agli allevatori di rendere animali malaticci altamente redditizi grazie all’uso di antibiotici, altri farmaci e una reclusione molto controllata, ha prodotto creature nuove, talvolta mostruose.

Proprio l’altro giorno, uno dei pediatri della zona mi raccontava che oggi vede ogni genere di malattie che una volta non vedeva. Non solo il diabete giovanile, ma malattie infiammatorie e autoimmuni che un sacco di medici non sanno neppure come chiamare. Le ragazze raggiungono la pubertà molto prima, e i bimbi sono allergici praticamente a tutto, e l’asma è fuori controllo. Lo sanno tutti che è quello che mangiamo. Manipoliamo i geni di questi animali e poi gli diamo gli ormoni della crescita e ogni genere di farmaci di cui non sappiamo abbastanza. E poi ce li mangiamo. I bambini di oggi sono la prima generazione che cresce con questa roba, e noi li usiamo come cavie.

Nel mondo dell’allevamento industriale le aspettative si sono capovolte. I veterinari non lavorano più per la salute ottimale, ma per la redditività ottimale. I farmaci non servono per curare le malattie, ma per supplire a sistemi immunitari distrutti. Gli allevatori non mirano a produrre animali sani.

Non abbiamo molta scelta: o il pollo a basso costo o la salute.

L’allevamento industriale, per quanto mi riguarda, non appare solo irragionevole. Accettarlo mi sembrerebbe inumano. Accettarlo – nutrire la mia famiglia con il cibo che produce, sostenerlo con i miei soldi – mi renderebbe meno me stesso, meno il nipote di mia nonna, meno il figlio di mio padre.

Che si parli di pesci, maiali o di altri animali, questa sofferenza è la cosa più importante al mondo? Ovviamente no. Ma non è questo il punto. È più importante del sushi, del bacon o delle crocchette di pollo? Questo è il punto.

Se io abuso del logo di una grande azienda, potrei persino finire in galera; se una grande azienda abusa di miliardi di polli la legge non protegge i polli, ma il diritto dell’azienda di fare quello che vuole. È questo che succede quando si negano i diritti degli animali.

La vergogna è il lavoro della memoria contro la dimenticanza. La vergogna è quello che proviamo quando dimentichiamo quasi del tutto – ma non del tutto – le aspettative sociali e i nostri obblighi nei confronti degli altri a favore di una gratificazione immediata.

Quello che dimentichiamo degli animali cominciamo a dimenticarlo di noi stessi.

Immagina che ti servano un piatto di sushi. Ma che contenga anche tutti gli animali che sono stati uccisi per servirti quel sushi. Forse ci vorrebbe un piatto di un metro e mezzo di diametro.

Dimmi una cosa: perché il gusto, il più rozzo dei sensi, è dispensato dalle regole etiche che governano gli altri sensi?

Ci vogliono da sei a ventisei calorie di mangime perché un animale produca una sola caloria di carne. La stragrande maggioranza di quello che coltiviamo negli Stati Uniti va a sfamare gli animali – parliamo di terra e cibo che potremmo usare per sfamare esseri umani o per salvaguardare la natura –, e lo stesso accade in tutto il mondo, con conseguenze devastanti.

Quel pezzo di carne proviene da un animale che, nella migliore delle ipotesi – e sono pochissimi quelli che hanno la fortuna di cavarsela con così poco – è stato ustionato, mutilato e ucciso per qualche minuto di piacere dell’uomo. Il piacere giustifica i mezzi?

Una vita atroce è peggio di una morte atroce.

Non reagire è una reazione: siamo altrettanto responsabili di ciò che non facciamo. Nel caso della macellazione, alzare le braccia al cielo è come stringere le dita intorno al manico del coltello.

Non ricordo quante volte, dopo aver detto che sono vegetariano, il mio interlocutore ha reagito sottolineando una qualche incoerenza nel mio stile di vita o cercando di trovare qualche fallacia in un ragionamento che non avevo mai fatto.

Quanto dev’essere distruttiva una preferenza culinaria prima di decidere di mangiare qualcos’altro? Se contribuire alle sofferenze di miliardi di animali che vivono vite raccapriccianti e (spessissimo) muoiono in modi altrettanto raccapriccianti non è motivo d’ispirazione, che cosa può esserlo? Se contribuire al massimo grado alla minaccia più seria che il pianeta deve affrontare (il riscaldamento globale) non è sufficiente, che cosa lo è? E se hai la tentazione di mettere a tacere questi tarli della coscienza dicendo «non ora», allora «quando»?

L’allevamento degli animali contribuisce al riscaldamento globale per un 40% in più rispetto a tutto il settore mondiale dei trasporti nel suo complesso; è la causa numero uno dei cambiamenti climatici.

L’allevamento intensivo cesserà prima o poi per via della sua assurdità economica. È completamente insostenibile. La terra finirà per scuoterselo via di dosso come un cane si scuote via le pulci; resta da vedere se finiremo scossi via anche noi.

I prodotti alimentari crudeli e distruttivi dovrebbero essere illegali.

La nostra generazione sa come stanno le cose. Abbiamo l’onere e l’opportunità di vivere nella fase in cui le critiche all’allevamento intensivo hanno fatto breccia nella coscienza popolare. Siamo noi quelli a cui chiederanno a buon diritto: «Tu che cos’hai fatto quando hai saputo la verità sugli animali che mangiavi?»

La compassione è un muscolo che si rafforza con l’esercizio, e allenarsi regolarmente a preferire la gentilezza alla crudeltà ci cambierebbe

***

Eccomi (Here I am, 2016)

Come avevano fatto a passare gli ultimi sedici anni a disimpararsi a vicenda? Come aveva fatto la somma di tutta la presenza a tradursi in assenza?

Un silenzio può essere incontenibile quanto una risata. E può accumularsi, come fiocchi di neve senza peso. Può far crollare un soffitto.

Tra due esseri qualunque c’è una distanza unica, invalicabile, un santuario inaccessibile. Qualche volta prende la forma della solitudine. Qualche volta prende la forma dell’amore.

Tutti i bambini vogliono vedere le tacche salire sullo stipite della porta, ma quante coppie sono in grado di considerare un progresso il semplice rimanere uguali?

Fu inaspettatamente travolta da quel genere di tristezza che non si riferisce a nulla e non ha un significato ma solo un peso opprimente.

Il desiderio di spremere qualche goccia in più di felicità quasi sempre distrugge la felicità che avevi la fortuna di avere e di cui sei stato così sciocco da non accorgerti

L’assenza di parole per esprimere il dolore non è assenza di dolore.

L’imbarazzo è la peperonata delle emozioni… Si ripresenta sempre.

Inseguendo la felicità, smarriamo la soddisfazione.

La distanza che separa l’ammettere dall’accettare è la depressione.

Niente passa da solo. O affronti tu le cose o loro affrontano te.

Ma cos’è lottare? C’è la lotta greco-romana, il wrestling, il braccio di ferro, il sumo, la lotta libera, la lotta delle idee, la lotta con la fede… Hanno tutte una cosa in comune: la vicinanza.
Riesci a tenerti solo quello che ti rifiuti di lasciare andare.
Quello con cui non lottiamo lo lasciamo andare. L’amore non è assenza di sforzo. L’amore è sforzo.

Io non ce l’ho con loro perché sono quelli che sono. Ma ce l’ho con loro perché ce l’hanno con me perché io sono quello che sono.

Vivere la vita sbagliata è molto peggio che morire della morte sbagliata.

L’incoscienza è l’unico pugno che possiamo sferrare contro il nulla.

Dopo così tanti anni ritrovare la strada per tornare a me stesso richiedeva un aereo.

Ci sono due cose di cui tutti hanno bisogno. La prima è avere la sensazione di aver dato un contributo al mondo. Concorda?” Gli ho detto che concordavo. “La seconda è la carta igienica”.

Ci sono tre livelli ascendenti nel modo di piangere di una persona: con le lacrime, con il silenzio e con il canto.

Non ho intenzione di lasciarlo. Perché no? Perché il matrimonio è la cosa a cui non si rinuncia. No, quella è la vita.

Sai chi sono quelli che stanno sempre a ribadire che alcuni dei loro migliori amici sono neri? Quelli che sono a disagio con i neri.

Amavano sinceramente la compagnia reciproca, più che stare soli o in compagnia di chiunque altro, ma più stavano bene insieme, più vita condividevano, più si estraniavano dalle rispettive vite interiori.

Tutto sembrava tendere a una dimensione rituale: Jacob che andava a prendere Julia al lavoro il giovedì, il caffè della mattina condiviso in silenzio, Julia che sostituiva i segnalibri di Jacob con dei bigliettini… finché, come un universo che ha raggiunto il limite della sua espansione e torna a contrarsi verso le origini, tutto si era disfatto

Tutte le mattine felici si assomigliano, esattamente come tutte le mattine infelici, ed è questo, in fondo, a renderle così profondamente infelici: la sensazione che questa infelicità sia già accaduta prima, che gli sforzi per evitarla al massimo la rafforzino e probabilmente non facciano che esacerbarla.

**

Ogni cosa è illuminata (Everything Is Illuminated, 2002)

Non è importante che cosa, ma il fatto che dobbiamo ricordare. L’atto di ricordare, il procedimento del ricordo, il riconoscimento del nostro passato… i ricordi sono piccole preghiere a Dio.

Questo è amore, pensava lei, sì o no? Quando noti l’assenza di qualcuno, e detesti quell’assenza più di ogni altra cosa. Ancora più di quanto ami la sua presenza.

Che cos’è essere svegli se non interpretare i nostri sogni, e che cos’è sognare se non interpretare la nostra veglia?

Il nostro amore era l’afflizione per la quale soltanto il nostro amore era la cura.

Amami perché l’amore non esiste e io ho provato tutto ciò che esiste.

Più ami qualcuno, pensava, e più dirglielo è difficile. Lo stupiva che persone sconosciute non si fermassero a vicenda in strada per dire Ti amo

Sapeva che ti amo vuol dire anche: ti amo più di chiunque altro ti ami o ti abbia mai amata, o ti amerà, e anche: io ti amo in un modo in cui nessuno ti ama, o ti ha mai amato, o ti amerà mai, e anche: ti amo in un modo in cui non amo nessun’altra e non ho mai amato nessun’altra e non amerò mai nessun’altra.

La morte è la sola cosa nella vita di cui sia necessario essere coscienti mentre accade.

Tutto è quello che è perché tutto è stato quello che è stato.

Un giorno farai per me cose che hai in odio. È questo che vuol dire essere una famiglia.

Brod scoprì seicentotredici tristezze, ciascuna assolutamente unica, ciascuna una singola emozione.

Era un genio della tristezza, e in essa si tuffava disgiungendone i molti fili, apprezzandone le sfumature più sottili. Era un prisma attraverso cui la tristezza poteva suddividersi nel suo infinito spettro.

Spesso diamo la colpa del trattamento ricevuto nel corso della Storia a orrendi equivoci. (Le parole non significano mai quello che noi vogliamo che significhino.) Se comunicassimo con qualcosa come la musica non verremmo mai fraintesi, perché nella musica non c’è niente da capire

Dio ama i plagiari. E così sta scritto: «Dio creò l’uomo a Sua immagine, a immagine di Dio lo creò». Dio è il plagiario originale.

Dallo spazio gli astronauti vedono quelli che fanno l’amore come puntolini di luce.

La fine del mondo è giunta spesso, e continua a giungere spesso. Impietosa, implacabile, latrice di tenebra su tenebra, la fine del mondo è una cosa a cui siamo ben adusi, un fatto abituale, che abbiamo ritualizzato.

Gli ebrei hanno sei sensi
Tatto, gusto, vista, odorato, udito… memoria. Mentre i gentili fanno esperienza del mondo mediante i sensi tradizionali e usano la memoria solo come strumento di second’ordine per interpretare i fatti, per gli ebrei la memoria non è meno primaria della puntura di uno spillo, o del suo argenteo luccichio, o del gusto del sangue che sprigiona dal dito. L’ebreo è punto da uno spillo e ricorda altri spilli

Una persona cattiva è un uomo che non compiange le sue cattive azioni.

Perse il suo buon nome, il che come dicono, è la cosa peggiore dopo perdere la buona salute.

Prima credevo che l’umorismo fosse l’unico modo di misurare quanto è meraviglioso e terribile il mondo, per festeggiare la grandezza della vita. Capisci cosa voglio dire? Ma adesso credo tutto il contrario. L’umorismo è una maniera di ritrarsi da questo mondo meraviglioso e terribile.

E se dobbiamo batterci per un futuro migliore, non dobbiamo conoscere il nostro passato e riconciliarci con esso?

**

Possiamo salvare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi (WeAreTheWeather, 2019)

La principale minaccia per l’umanità – l’accavallarsi di emergenze, dalle piogge sempre più violente e torrenziali all’innalzamento dei mari, dai periodi di grave siccità alla diminuzione delle riserve idriche, dalle sempre più vaste zone morte negli oceani alla grande diffusione di insetti nocivi, fino alla scomparsa quotidiana di foreste e specie viventi – per la maggior parte delle persone non è una buona storia. Ma anche quando ci importa della crisi del pianeta, la viviamo come una guerra in corso “laggiù”. Siamo consapevoli dell’urgenza e della cruciale importanza della posta in gioco, ma pur sapendo che sta infuriando una guerra per la nostra sopravvivenza, non abbiamo la sensazione di esserci immersi dentro.

Chi nega i cambiamenti climatici rifiuta le conclusioni raggiunte dal 97 per cento di scienziati che si occupano di clima: il pianeta si sta riscaldando a causa delle attività umane.