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Cesare Viviani, nato a Siena nel 1947, è considerato uno dei maggiori poeti contemporanei e forse il più radicale “amico dell’invisibile”, per dirla con Montale.

In un’intervista a Poesia2punto0, così Viviani descrive il suo percorso poetico: “Per accennare al mio percorso, posso dire che credo di avere scritto sempre lo stesso libro, e da L’ostrabismo cara a Silenzio dell’universo è una sola l’origine della scrittura: è la parola che, uscita dall’inganno dei significati e dall’illusione dei referenti, dice se stessa, solo se stessa. Il lettore si trova di fronte una parola che dice prima di tutto la sua separazione dal noto, dal definito, poi si rivolge all’Altro, Altro veramente indefinibile”.

Credo che pochi sappiano che Cesare Viviani non è solo uno dei maggiori poeti italiani (la bibliografia sul poeta Viviani è molta estesa, recentemente è uscito un bel saggio di Daniela Bisagno, L’orma dell’angelo, che fa il punto della situazione), ma è anche un brillante scrittore di aforismi. I suoi aforismi sono contenuti sia all’interno di due sillogi aforistiche (Pensieri per una poetica della veste edita da Crocetti nel 1988 e ahimé da tempo fuori catalogo e Il sogno dell’interpretazione, una critica radicale all’ideologia psicoanalitica Costa & Nolan, 1989) sia in molti testi di critica letteraria e persino nel romanzo Folle avena.

In una lunga intervista rilasciata ad Maria Rita Buratto e pubblicata nella rivista Comunicare Letteratura 2010, N. 3Edizioni Osiride (“L’artigiano dell’invisibile, incontro con Cesare Viviani”, con un appendice di 15 aforismi inediti) , Cesare Viviani afferma: “Le mie riflessioni critiche, i saggi, anche il romanzo che ho scritto, Folle avena, sono tutte scritture in prosa dove l’elemento del frammento, della brevità, è particolarmente presente. L’aforisma è un tipo di pensiero che ho sempre prediletto, forse perché è anche la dimensione del mio non essere sistematico: il mio pensiero è più per brevi accensioni che per organizzazioni dilatate ed elaborate di pensieri e di articolazioni. Sta di fatto che la mia scrittura in prosa si compone di aforismi, forme che nella loro frammentarietà mostrano la loro precarietà. Secondo me la forza dell’aforisma è proprio questa qualità perentoria dell’affermazione, che con la sua brevità mostra subito anche la precarietà da cui è circondata, per cui non diventerà mai un’affermazione soverchiante, convincente, una sopraffazione del pensiero sul pensiero di chi legge, perchè la brevità ne garantisce il mantenimento della fragilità”.

Partendo dalla etimologia di aphorizein” (definire, mettere qualcosa dentro un orizzonte), l’aforisma di Viviani non definisce il mondo, ma l’indicibilità del mondo. L’aforisma è un corteggiamento infinito della materia vivente, dei corpi, della materie, pur sapendo che non potrà mai possedere nessuna di queste cose. L’aforista è un amante che accetta la privazione, perché il suo amore più grande è la privazione. Ecco cosa scrive Cesare Viviani in La voce inimitabile, nell’ultimo capitolo dal titolo “L’aforisma, gli intellettuali e i poeti”: “L’aforisma si muove su un’altra strada rispetto alla conoscenza come sistemazione e astrazione. L’aforisma si mantiene il più possibile in contatto con la percezione che l’ha preceduta e si accosta il più possibile, in quanto parola, alla materia vivente, ai corpi, alle materie. Dunque conoscenza come percorso che non allontana dalla materia da cui proviene, ma che la costeggia e la corteggia all’infinito, pur sapendo che non la potrà avere. Non è l’amante ferito e frustrato che va altrove, nell’immaginazione, nell’astrazione, a rifarsi un’altra vita ma un amante che accetta la privazione perché il suo amore è più grande della privazione”. Secondo Viviani l’aforista non definisce il mondo, ma resta immerso nel vuoto indefinibile, proprio come l’universo: “L’attenzione dell’aforista è simile a quella dell’artigiano: procede per particolari, lavora un oggetto. Così fa anche il poeta. Non è come quella dei sistematici, che pretendono di creare un mondo. E anche quando l’aforista è particella che vuol riflettere l’universale, non definisce un mondo, ma resta immerso nel vuoto indefinibile, proprio come l’universo”. L’aforisma in Viviani non è un freddo gioco intellettuale, ma è intuizione, percezione, esperienza. Esso è una intelligenza percettiva che nutre e libera: “Si può anche dire che l’intelligenza dell’aforisma – quella che lo nutre, lo sprigiona e lo libera come un’intuizione – è percettiva: ha più relazioni con la materialità dell’esperienza che con le capacità riflessive. Un’intelligenza appunto che nutre e libera: che è una combinazione assai rara, perché di solito chi nutre non libera”.

L’aforisma in Cesare Viviani assume molte forme differenti. Nella silloge Il sogno dell’interpretazione, una critica radicale all’ideologia psicoanalitica l’aforisma assume quasi sempre la forma del frammento lungo (talora di più pagine), di carattere saggistico, che cerca nell’interpretazione il senso del mondo (l’interpretazione come sogno dentro il sogno”), mentre nei testi di critica letteraria (ad esempio in La voce inimitabile) l’aforisma è un frammento di 4-5 righe avente un carattere di notazione diaristica. Nella silloge, Pensieri per una poetica della veste l’aforisma è al contrario brevissimo (raramente supera una riga) e ha un carattere che potremmo definire folgorante. Il critico Gramigna, a proposito dell’aforisma di Pensieri per una poetica della veste scrive che “La frase di Viviani non è comandata dal demone del motto di spirito che stringe irrestibilmente certi grandi esempi, da Karl Kraus a Stanislaw Lec. Vi gioca suggestiva, piuttosto, l’ombra dell’Unheimliche (Nota di Aforisticamente, Unheimliche è traducibile in italiano con il Perturbante o con Spaesamento), ciò che emerge perché a un tempo familiare ed estraneo. Non per nulla nel titolo si parla della “veste”: la veste è l’apparenza, il sembiante, non come menzogna ma come potenza creativa. Il tono più autentico di queste pagine è lo stupore”.

Riporto qui di seguito una selezione di aforismi tratti da Pensieri per una poetica della veste. La “veste”, che viene evocata più volte nel libro, può anche essere definita come l’altro, l’invisibile, l’indicibile. In uno dei capitoli di La voce inimitabile, Cesare Viviani scrive a proposito dell’indicibile: “L’indicibile in senso assoluto viene fatto coincidere con l’impensabile. L’unica operazione possibile sull’indicibile è momentanea. E’ quello di enunciarne l’indicibilità per poi ritirarsi e lasciarlo dove è sempre stato: all’inesprimibile, al silenzio (…) Molto facilmente queste parole alimentano il sogno di onnipotenza: allungare le mani sull’indicibile”.

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Cesare Viviani,  Pensieri per una poetica della veste (Crocetti editore, 1988)

La morte è visibile (il paesaggio, anche il più ridente, del giorno). La vita è invisibile.

La cosa è di uno. Non c’è la cosa di tutti.

L’unica equivalenza è quella affettiva.

Il linguaggio spinge a mettere in relazione le cose. La poesia spinge a separarle.

La ricerca è malefica (la scoperta è benefica).

La forma definita è propria degli oggetti e degli dei. Non è propria degli uomini.

La vanità è se la parola non è parola.

Il linguaggio ahimè vuole rappresentare tutte le cose. Invece il linguaggio è una cosa, accanto alle altre.

Solo il corpo non può andare a un tempo in direzioni contrarie.

Il dirsi superiori è la superiorità degli uomini.

Tutto questo percorso per arrivare a una semplice pietra.

Dopo aver attraversato gli spazi e gli eventi, la morte è nell’attraversare il proprio corpo.

Prima di appartenere agli uomini e agli dei, la gloria fu delle cose.

Una delle prima cose avute da piccoli, e subito lasciata per proseguire, è l’oggetto massimo della ricerca, il fine che ci aspetta alla fine.

C’è insegnamento quando si mescolano le cose reali e irreali.

E’ più regolare il godimento o il dovere? Il godimento.

Il male è fatto in nome del bene. Il bene fa male.

Quando il rumore dei propri passi diventa insopportabile, bisogna alzarsi in volo.

A pensarci bene, gli immortali sono i sassi.

Quando si dice di amare il prossimo, si parla di un luogo.

Alla fine scopri che il tuo vero grande amore è stata una porta.

Se si dovesse definire una “forma” poetica, sceglierei la tautologia.

Fa un certo effetto ricordare che con una cosa ha più rapporti una qualunque altra cosa che la descrizione più fedele che possiamo darne.

L’intelligenza non sta nel sapere: piuttosto è saltare senza cadere.