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Frasi e citazioni di Claude Lévi-Strauss

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Claude Lévi-Strauss (nato a Bruxelles il 28 novembre 1908 e morto a Parigi, 30 ottobre 2009) è tra i più importanti antropologi di tutto il Novecento. Scomparso alla venerabile età di 101 anni, è il principale teorico del strutturalismo applicato agli studi etnologici e antropologici.

Claude Lévi-Strauss ha studiato le tribù in Brasile e Nord America, concludendo che praticamente tutte le società condividevano potenti comunanze di comportamento e pensiero, spesso esprimendole nei miti.

Claude Lévi-Strauss era particolarmente affascinato dagli opposti, come bianco e nero, cotto e crudo, arrostito e bollito, razionale ed emotivo, che spesso servono come elementi organizzativi nelle società. Esplorò questi concetti binari per trovare verità fondamentali sull’umanità, notando, ad esempio, che alcuni gruppi di cannibali bollivano i loro amici, ma arrostivano i loro nemici.

Presento una raccolta di frasi e citazioni di Claude Lévi-Strauss. Tra i temi correlati Le frasi più belle e e celebri di Zygmunt Bauman e Frasi, citazioni e aforismi sull’antropologia.

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Frasi e citazioni di Claude Lévi-Strauss

Tutto ciò che osservo mi ferisce, eppure continuo a rimproverarmi di non osservare abbastanza.

L’antropologia è una disciplina il cui primo obiettivo, se non l’unico, è quello di analizzare e interpretare le differenze.

Il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui.

Lo scienziato non è l’uomo che fornisce le vere risposte; è quello che pone le vere domande.

Più la scienza progredisce, meglio comprende perché non può venire a capo dei problemi

L’uomo deve rendersi conto che occupa nel creato uno spazio infinitamente piccolo e che nessuna delle sue invenzioni estetiche può competere con un minerale, un insetto o un fiore. Un uccello, uno scarabeo o una farfalla meritano la stessa fervida attenzione di un quadro di Tiziano o del Tintoretto, ma noi abbiamo dimenticato come guardare.

Nulla, allo stato attuale della ricerca, permette di affermare la superiorità o l’inferiorità di una razza rispetto all’altra.

Nessuna società è profondamente buona e nessuna è assolutamente cattiva.

La musica è una macchina per sopprimere il tempo.

Io sono il luogo in cui qualcosa è accaduto.

Penso che una società non possa vivere senza un certo numero di credenze irrazionali.

Per capire meglio la realtà fate un passo indietro e osservatela con uno sguardo lontano. Capirete così che la diversità, in quanto tale, non può essere inferiore.

Tra gli indigeni della Nuova Guinea il vero scopo del matrimonio non è tanto quello di procurarsi una moglie, quanto quello di assicurarsi un cognato.

I nambikwara dormono in terra e nudi. Poiché le notti della stagione secca sono fredde, si scaldano stringendosi gli uni contro gli altri, o si avvicinano ai fuochi da campo che vanno spegnendosi, tanto che all’alba si svegliano avvoltolati nelle ceneri ancora tiepide del focolare.

«Abitudini di selvaggi», «da noi non si fa così», «non si dovrebbe permettere questo», ecc., sono altrettante reazioni grossolane che esprimono lo stesso fremito, la stessa repulsione, di fronte a modi di vivere, di pensare o di credere che ci sono estranei.

L’antichità confondeva tutto quello che non faceva parte della cultura greca (e poi greco-romana) sotto lo stesso nome di barbaro: la civiltà occidentale ha poi utilizzato il termine selvaggio nello stesso senso.

L’atteggiamento di pensiero nel cui nome si respingono i «selvaggi» (o tutti coloro che si sceglie di considerare come tali) fuori dell’umanità è proprio l’atteggiamento piú caratteristico che contraddistingue quei selvaggi medesimi.

A volte, una cultura si afferma come la sola vera e degna di essere seguita; ignora le altre, anzi le nega in quanto culture. La maggior parte dei popoli che noi chiamiamo primitivi designano se stessi con un nome che significa «i veri», «i buoni», «gli eccellenti», o addirittura semplicemente «gli uomini»; e riservano agli altri definizioni che negano loro la qualità umana, come «scimmie di terra» o «uova di pidocchio».

Verrà un giorno in cui l’idea che per nutrirsi gli uomini del passato allevavano e massacravano degli esseri viventi, mettendo in mostra nelle vetrine le loro carni dilaniate, ispirerà senza dubbio la stessa repulsione provata dai viaggiatori del XVII e XVIII secolo nei confronti dei pasti cannibalici dei selvaggi americani, africani, o dell’Oceania.

Un umanesimo ben orientato non comincia da sé stessi, ma pone il mondo prima della vita, la vita prima dell’uomo e il rispetto degli altri esseri prima dell’amor proprio.

Nella maggior parte dei popoli primitivi, è difficilissimo ottenere una giustificazione morale, o una spiegazione razionale, di una usanza o di un’istituzione: l’indigeno interrogato si contenta di rispondere che le cose sono sempre state così, che quello fu l’ordine degli dèi, o l’insegnamento degli antenati.

Sappiamo cos’è una cultura, ma non sappiamo cos’è una razza.

Ogni progresso dà una nuova speranza, sospesa alla soluzione di una nuova difficoltà.

Il mondo iniziò senza l’uomo, e completerà se stesso senza di lui.

Si ha bisogno di poco per vivere: poco spazio, poco nutrimento, poca gioia, pochi utensili e arnesi; è la vita in un fazzoletto. Viceversa, c’è anima ovunque.

Ho cominciato a capire gli aspetti tipici delle città americane: somiglianti sempre, per la leggerezza della costruzione, la cura dell’effetto, e il richiamo esercitato sul passante, a esposizioni universali diventate permanenti.

Essere umani significa, per ciascuno di noi, appartenere a una classe, a una società, a una nazione, a un continente e ad una civiltà.

L’ordine e l’armonia dell’Occidente esigono l’eliminazione di una massa enorme di sottoprodotti malefici di cui la terra è oggi infetta. Ciò che per prima cosa ci mostrate, o viaggi, è la nostra sozzura gettata sul volto dell’umanità.

L’antropologo rispetta la storia, pur non assegnandole il valore che le spetta. Infatti la ritiene uno studio complementare a se stesso: da una parte spiega il susseguirsi delle società umane nel tempo, dall’altra nello spazio.

Il linguaggio è una forma della ragione umana, con una sua logica interna della quale gli uomini non conoscono nulla.

La cucina di una società è il linguaggio nel quale essa traduce inconsciamente la sua struttura.

Ogni matrimonio è un incontro drammatico tra natura e cultura, tra alleanza e parentela.

La proibizione dell’incesto non è né di origine puramente culturale, né di origine puramente naturale; non è neppure una combinazione di elementi compositi, attinti in parte alla natura e in parte alla cultura. Essa costituisce il passo fondamentale grazie al quale, per il quale, e soprattutto nel quale, si compie il passaggio dalla natura alla cultura.

Sono pervaso sempre di più dal sentimento che il cosmo e il posto dell’uomo nell’universo oltrepassino, e sempre oltrepasseranno, la nostra comprensione. Mi capita di intendermi meglio con certi credenti che con certi razionalisti a oltranza: perlomeno i primi hanno il senso del mistero.

Si è detto a volte che la società occidentale è stata la sola ad aver prodotto degli etnografi e che questa era la sua grandezza, in difetto di altre superiorità che essi le contestano, l’unica che li obbliga ad un riconoscimento, poiché senza di essi gli etnologi non esisterebbero. Si potrebbe anche sostenere il contrario: se l’Occidente ha prodotto degli etnografi è perché un cocente rimorso doveva tormentarlo, obbligandolo a confrontare la sua immagine con quella delle società differenti, nella speranza di vedervi riflesse le sue stesse tare, o di averne un aiuto per spiegarsi come le proprie si fossero sviluppate.

Se in passato, a causa di pregiudizi razziali, sono stati commessi crimini orrendi, oggi è molto diffuso un antirazzismo semplicistico che nega più evidenti principi di buon senso, finendo paradossalmente per fornire delle nuove armi allo stesso razzismo.

Ogni storia è accompagnata da un numero indeterminato di anti-storie, ciascuna delle quali è complementare alle altre.

Vorrei aver vissuto nell’epoca del viaggio vero, quando si offriva in tutto il suo splendore uno spettacolo che non era ancora stato contaminato.