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Le frasi più belle di Amélie Nothomb

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Amélie Nothomb (Etterbeek, 9 luglio 1966), è una scrittrice belga.

Amélie Nothomb dedica 4 ore al giorno alla scrittura e pubblica, per scelta personale, un libro all’anno, alla fine di agosto. I suoi libri vengono tradotti e pubblicati dalle Edizioni Voland di Roma.

A proposito della sua scrittura Amélie Nothomb dice: “Definirei il mio stile ‘paranoico’ perché quando mi volgo al mio lato lirico, quello autentico in cui credo, avverto uno stridore che prelude a suggerimenti crudeli che non mi appartengono, ma sono sempre in agguato”.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Amélie Nothomb, tratte dai suoi romanzi. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Banana Yoshimoto e Frasi, citazioni e aforismi di Haruki Murakami.

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Le frasi più belle di Amélie Nothomb

Antichrista (Antéchrista, 2003)

La mediocrità è l’indifferenza al bene e al male.

Finché esisteranno finestre, l’essere umano più umile della terra avrà la sua parte di libertà.

Una delle gioie della mia vita di adolescente consisteva nella lettura: mi sdraiavo sul mio letto e diventavo il testo. Se il testo era bello, mi trasformavo in lui. Se era mediocre, trascorrevo comunque delle ore meravigliose a godere delle cose che non mi piacevano e a sorridere delle sue occasioni mancate.

Chi crede che leggere sia una fuga è all’opposto della verità: leggere è trovarsi di fronte il reale nella sua massima concentrazione, il che, stranamente, è meno spaventoso che avere a che fare con le sue eterne diluizioni.

La lettura non è un piacere sostitutivo. Vista dall’esterno la mia esistenza era scheletrica; vista dall’interno ispirava quello che ispirano gli appartamenti il cui unico mobilio è una biblioteca sontuosamente stracolma di libri: l’ammirazione gelosa per chi non si sovraccarica del superfluo e trabocca del necessario.

Avevo dell’amicizia una visione sublime: se non era alla Oreste e Pilade, Achille e Patroclo, Montaigne e La Boétie, perché tu sei proprio tu, e io sono proprio io, allora non la volevo. Se lasciava spazio alla minima bassezza, alla minima rivalità, all’ombra di un’ invidia, all’ombra di un’ombra, la respingevo a pedate.

Avevo del grande amore un’idea tale che,se un giorno fosse capitato a me, non avrei potuto immaginare alcuna separazione. Cosa tollerare tra sé e l’amato se non la lama di una spada?

Quando una camera ha una finestra, si ha la propria porzione di cielo. Cos’altro desiderare?

Avevo sedici anni. Non possedevo nulla, né beni materiali, né conforto spirituale. Non avevo amici, non avevo amori, non avevo vissuto ancora niente. Non avevo idee, non ero neanche sicura di avere un’anima. Tutto quello che avevo era il mio corpo.

Ero sempre stata sola, e non mi sarebbe dispiaciuto se fosse stata una mia scelta. Ma non lo era mai stata. Sognavo l’integrazione, anche solo per poi concedermi il lusso della disintegrazione.

Bisogna sempre seguire il flusso della vita, non bisogna opporle resistenza. Se soffri, è perché la rifiuti. Abbassa la guardia. Quando la accetterai non soffrirai più.

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Igiene dell’assassino (Hygiène de l’assassin, 1992)

Gli scrittori sono osceni; se non lo fossero, sarebbero ragionieri, conducenti di tram, centralinisti, sarebbero rispettabili.

Come vuole che uno scrittore sia pudico? È il mestiere più impudico del mondo: attraverso lo stile, le idee, la storia, le ricerche, gli scrittori parlano sempre di se stessi, e con le parole.

C’è gente così sofisticata da leggere senza leggere. Come uomini-rana, attraversano i libri senza prendere una goccia d’acqua.

La scrittura comincia là dove si ferma la parola, ed è un grande mistero il passaggio dall’indicibile. La parola e lo scritto si danno il cambio e non combaciano mai.

Quante volte ho domandato a persone intelligenti: ‘Questo libro vi ha cambiato?’ E mi hanno guardato con l’aria di dire: ‘Perchè avrebbe dovuto cambiarmi?’

Si guardi intorno e guardi se stessa: il mondo pullula di assassini, cioè di persone che si permettono di dimenticare coloro che dicevano di amare. Dimenticare qualcuno: ha pensato che cosa significa?

Io non insulto mai, giovanotto, io diagnostico.

Le cose da non dire non sono necessariamente le cose sporche, al contrario. Bisogna sempre raccontare le sporcizie che uno ha dentro: è sano, è allegro, è tonico. No, le cose da non dire sono di un altro ordine, e non si aspetti che glielo spieghi, perché sono proprio fra le cose da non dire.

Se vuole conoscere la feccia dei sentimenti umani, osservi i sentimenti che nutrono le donne per le altre donne: rabbrividirebbe d’orrore davanti a tanta ipocrisia, gelosia, cattiveria, bassezza. Non vedrà mai due donne battersi sanamente a suon di pugni, né scambiarsi una bella scarica di insulti: dalle loro parti, è il trionfo dei colpi bassi, delle frasette immonde che fanno più male di un diretto alla mascella.

Le donne sono vittime particolarmente perniciose perché sono prima di tutto vittime di se stesse, delle altre donne.

La razza umana è così fatta che esseri sani di mente sarebbero pronti a sacrificare la loro giovinezza, il loro corpo, i loro amori, i loro amici, la loro felicità e molte altre cose ancora sull’altare di un fantasma chiamato eternità.

No, mi creda, i libri scritti per pura bontà sono rarissimi. Sono opere che si creano in abiezione e in solitudine, ben sapendo che dopo averle scagliate in faccia al mondo si sarà ancora più soli e più abietti. È normale, la principale caratteristica della gentilezza disinteressata è di essere irriconoscibile, inconoscibile, invisibile, insospettabile

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Metafisica dei tubi (Métaphysique des tubes, 2000)

La vita è ciò che vedi: membrana, viscere, un buco senza fondo che esige di essere riempito. La vita è questo tubo, flessibile, che ingoia e rimane vuoto.

Mi capita di pensare che l’unica nostra specificità individuale risieda in questo: dimmi cosa ti disgusta e ti dirò chi sei. Le nostre personalità non servono a niente, le nostre inclinazioni sono una più banale dell’altra. Solo le nostre repulsioni ci dicono chi siamo veramente.

Gli occhi degli esseri viventi possiedono la più straordinaria delle proprietà: lo sguardo. Nulla è più eccezionale dello sguardo. Quando parliamo delle orecchie delle creature non diciamo che hanno un ‘ascoltardo’, oppure, delle loro narici, che hanno un ‘sentardo’ o un ‘annusardo’

Cos’è lo sguardo? È qualcosa di inesprimibile. Nessuna parola esprime, neanche lontanamente, la sua strana essenza. Eppure lo sguardo esiste. Poche sono le realtà che hanno un tale livello di esistenza.
Che differenza c’è fra occhi che possiedono uno sguardo e occhi che ne sono sprovvisti? Questa differenza ha un nome: si chiama vita. La vita inizia laddove inizia lo sguardo.

Lo sguardo è una scelta. Chi guarda decide di soffermarsi su una determinata cosa e di escludere dunque all’attenzione il resto del proprio campo visivo. In questo senso lo sguardo, che è l’essenza della vita, è prima di tutto un rifiuto.

Vivere vuol dire rifiutare. Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell’orifizio di un lavandino.

Al momento della nascita i neonati strillano. Questo grido di dolore è già una rivolta, e questa rivolta è già un rifiuto. Per questo motivo la vita ha inizio il giorno della nascita e non prima, nonostante ciò che sostengono alcuni.

Il piacere è una meraviglia che mi insegna che io sono io. Io sono la sede del piacere. Io sono il piacere: ogni volta che ci sarà il piacere, ci sarò io. Non esiste piacere senza di me, non esisto io senza piacere!

Quando piove ininterrottamente, l’ideale rimane sempre andare a nuotare. Il rimedio contro l’acqua è tanta acqua.

Nei salotti si incontrano persone che si vantano, a voce alta e convinta, di essersi private per venticinque anni di questa o quella delizia. Si incontrano anche grandissimi idioti che si gloriano di non ascoltare mai musica, di non aprire mai un libro o di non andare mai al cinema. Ci sono anche quelli che sperano di suscitare ammirazione per la loro assoluta castità. Dopotutto è giusto che se ne vantino: non avranno altre soddisfazioni nella vita.

La morte era il soffitto. Quando si conosce il soffitto meglio di se stessi, questo si chiama morte. Il soffitto è ciò che impedisce agli occhi di salire e al pensiero di elevarsi. Chi dice soffitto dice tomba: il soffitto è il coperchio del cervello. Quando arriva la morte, un coperchio gigante si posa sulla vostra pentola cranica.

Avevo appena scoperto l’orribile notizia che ogni essere umano scopre un giorno o l’altro: quello che ami, tu lo perderai. “Quanto ti è stato dato, ti verrà ripreso”: è così che formulai il disastro che sarebbe diventato il ritornello della mia infanzia, della mia adolescenza e di tutte le successive peripezie.

Parlare era un atto di creazione ma anche di distruzione. Era meglio starci molto attenti, con questa invenzione.

Senza saperlo stavo assistendo alla rivelazione di una delle leggi più sorprendenti dell’universo: ciò che non avanza regredisce. C’è la crescita e poi il declino; in mezzo, non c’è niente. L’apogeo? Non esiste. È un’illusione. Perciò l’estate non esisteva. C’era una lunga primavera, una spettacolare crescita delle linfe e dei desideri ma, finita questa, iniziava subito la caduta.

I tubi sono straordinari miscugli di pieno e di vuoto, sono materia cava, una membrana di esistenza che ricopre un fascio di inesistenza. Il tubo flessibile è la versione molle del tubo. Eppure, la mollezza di cui è dotato non lo rende meno enigmatico.

Dire le cose ad alta voce è diverso: si attribuisce un valore eccezionale alla parola pronunciata. Si ha la sensazione che la parola si commuova, che viva la cosa come un segno di riconoscimento, si senta ricompensata o celebrata.

Tornai nella mia camera per giocare al gioco più bello del mondo: la trottola. Avevo una trottola di plastica che valeva quanto tutte le meraviglie dell’universo. La facevo girare e la fissavo per ore. Quella rotazione perpetua mi dava un’aria molto seria.

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Cosmetica del nemico (Cosmétique de l’ennemi, 2001)

Più che i problemi metafisici, sono le contrarietà senza significato a rivelare l’assurdità dell’esistenza.

Si vede subito quando uno legge. Chi legge, chi legge veramente, è altrove. Lei invece sta qua.

Non si deve mai rifare quello che è stato perfetto. Si rischia la delusione.

Al mondo non c’è niente di più incomprensibile dei volti, o meglio, di certi volti: un insieme di tratti e di sguardi che d’improvviso diventano la sola realtà, l’enigma più importante dell’universo, che si guarda con sete e con fame, come se vi fosse inciso un messaggio supremo.

– Il rischio è la vita stessa. Non si può rischiare che la propria vita. E se non la si rischia, non si vive.
– Ma qui se rischio, muoio!
– Muori ancora di più se non rischi.

Crede che le persona malate di senso di colpa abbiano davvero bisogno di un motivo serio? Quando si è destinati a diventare colpevoli, non è necessario avere qualcosa da rimproverarsi. Il senso di colpa si aprirà un varco con qualsiasi mezzo.

– Allora continua a credere che Dio esista!
– Sì, perché continuo a insultarlo.
– Perché lo insulta?
– Per costringerlo a reagire. Ma non funziona. Resta amorfo, senza dignità di fronte alle mie offese. Perfino gli uomini sono meno inerti di lui. Dio è un inetto. Lo vede? L’ho appena insultato e lui continua a tacere.

Credo nel nemico perché, tutti i giorni e tutte le notti, lo incontro sul mio cammino. Il nemico è quello che dall’interno distrugge tutto ciò che vale. È quello che ti mostra il disfacimento insito in ogni realtà. È quello che ti rivela la tua bassezza e quella dei tuoi amici. È quello che, in un giorno perfetto, troverà un’ottima ragione per torturarti. È quello che ti ispirerà il disgusto per te stesso. È quello che, quando scorgi il viso celeste di una sconosciuto, ti rivelerà la morte contenuta in tanta bellezza.

È tipico del cervello umano concentrarsi sui dettagli per non dovere affrontare l’essenziale.

Questa mania di dare del pazzo a quelli che non si comprendono! Che pigrizia mentale!

La cosmetica è la scienza dell’ordine universale, la morale suprema che determina il mondo.

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Stupore e tremori (Stupeur et tremblements, 1999)

Non c’è niente di più vergognoso del sudore. Se mangi a quattro palmenti un bel piatto di fettuccine, se ti abbandoni alla rabbia del sesso, se passi l’inverno a dormicchiare vicino al camino, suderai. E nessuno avrà più dubbi sulla tua volgarità. Tra il suicidio e la traspirazione non esitare. Versare il proprio sangue è ammirevole quanto è immondo versare il proprio sudore. Se ti darai la morte, non suderai mai più e la tua angoscia sarà finita per sempre.

Tanto il Natale mi deprime quanto la Pasqua mi riempie di gioia. Un Dio che si fa bambino è avvilente. Un poveraccio che si fa Dio è tutt’altra cosa.

Restare in vita è un coraggioso atto di resistenza al tempo stesso disinteressato e sublime.

Non tutte le giapponesi sono belle, ma quando una è bella, le altre devono reggersi forte.
Ogni bellezza è struggente, ma la bellezza nipponica è ancora più struggente. Prima di tutto perchè quella carnagione lattea, quegli occhi soavi, quelle inimitabili ali del naso, quelle labbra dai contorni così marcati, quella dolcezza complicata dei tratti bastano a eclissare i volti meglio riusciti.
Poi perchè le sue maniere la stilizzano, facendo di lei un’opera d’arte inaccessibile all’umano intendimento.

Da piccola volevo diventare Dio. Molto presto compresi che era chiedere troppo e versai un po’ di acqua benedetta nel mio vino da messa: sarei stata Gesù. Presi rapidamente coscienza del mio eccesso di ambizione e accettai di ‘fare’ la martire, una volta diventata grande. Adulta, mi decisi a essere meno megalomane e a lavorare come interprete in un’azienda giapponese. Sfortunatamente, era troppo per me e dovetti scendere di un gradino per diventare ragioniera. Ma non c’erano stati freni alla mia folgorante caduta sociale. Mi venne dunque assegnato il posto di nullafacente. Purtroppo – avrei dovuto sospettarlo – era ancora troppo per me. Ottenni così l’incarico estremo: guardiana dei cessi.

Sabotaggio: uno dei crimini nipponici più gravi, tanto odioso che si usa la parola francese, perché bisogna essere stranieri per concepire una bassezza simile.

Il suo viso di giapponese ben educata restò immobile e inespressivo, e dovetti esaminarlo al sismografo per scoprire la leggera contrazione delle mascelle provocata dalla mia risposta: godeva.

I soldi, alla Yumimoto, superavano l’umano intendimento. A partire da un certo numero di zeri, gli importi uscivano dal regno dei numeri per entrare in quello dell’arte astratta.

È tipico degli esseri umani che esercitano un mestiere penoso fabbricarsi quello che Nietzsche definisce “sopramondo”, un paradiso celeste o terrestre nel quale si sforzano di credere per consolarsi della loro ripugnante condizione. Il loro eden mentale è tanto bello quanto più il loro lavoro è vile. Credimi: non esiste nulla al di fuori dei bagni del quarantaquattresimo piano. Tutto è qui e ora.

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Diario di una rondine (Journal d’Hirondelle, 2006)

In che consiste la vita all’interno di questa frazione di secondo in cui hai il raro privilegio di non avere identità?
In questo: hai paura.
Non c’è libertà più grande di questa breve amnesia del risveglio.

Poi riparte il tran tran. A ciascuno il suo: caffè-sigaretta, tè-toast o cane-guinzaglio, il percorso di tutti è organizzato in modo che si abbia meno paura possibile.
In realtà, passiamo il nostro tempo a lottare contro il terrore della vita. Per sfuggirgli, inventiamo definizioni: mi chiamo tizio, sgobbo per conto di caio, il mio lavoro consiste nel fare questo e quello.

C’è gente abbastanza sfortunata da trovare l’amore della sua vita, lo scrittore della sua vita, il filosofo della sua vita, ecc. È ovvio che diventeranno dei rincoglioniti.

Una bellezza sconvolgente il giorno dopo sconvolge meno. È vero anche il contrario.

Tutto questo conferma la mia metafisica: il corpo non è cattivo, l’anima sì.

Il corpo è il sangue: è puro. L’anima è il cervello: niente altro che grasso. È il grasso del cervello ad aver inventato il male.

Nessun fiore fiorisce quanto la peonia. Confronto a lei, gli altri fiori sembrano imprecare a denti stretti.

La musica si sente molto meno bene a occhi chiusi. Gli occhi sono le narici delle orecchie

Mi fa orrore la musica di sottofondo, innanzitutto perché non esiste cosa più volgare, e poi perché le melodie più belle possono entrare in testa con tale insistenza da trasformarsi in canzonette.
Non esiste l’amore di sottofondo, la letteratura di sottofondo, il pensiero di sottofondo: esiste il rumore di fondo, che è una cosa orribile, un veleno

L’odorato ha di meraviglioso che non implica alcun possesso. Si può essere straziati di piacere, per la strada, grazie a un profumo indossato da una persona non identificata. È il senso ideale, molto più efficace dell’orecchio sempre tappato, molto più discerto dell’occhio che si comporta da padrone, molto più raffinato del gusto che gode solo quando consuma.

Non c’è esercizio più radicale della volontà di potenza. Assumi il potere assoluto su un essere del quale non sai un bel niente. E come un tiranno che si rispetti, non provi alcun senso di colpa.

Ciascuno uccide in conformità alla musica che ascolta: in Arancia Meccanica l’omicidio raggiunge l’estasi della Nona, quella gioia quasi opprimente; io invece uccidevo con l’efficacia ipnotica dei Radiohead.

Difficile liberarsi da qualcosa che uno ha scambiato per una liberazione.

La percezione delle mie sensazioni è così acuta che non è di questo mondo.

Alcune bellezze saltano agli occhi e altre sono geroglifici: ci si mette tempo a decifrare il loro splendore ma, quando ormai è evidente, è più bello della bellezza stessa.

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Le catilinarie (Les Catilinaires, 1995)

Non sappiamo niente di noi.Ci crediamo abituati a essere noi stessi. E’ il contrario. Più gli anni passano e meno capiamo chi sia la persona nel nome della quale agiamo e parliamo.

Essere infelici in giugno è sconveniente quanto essere felici ascoltando Schubert.

Mi ero reso colpevole di una forma particolare di debolezza: avevo rinunciato al mio ideale di felicità e di dignità. In parole povere, accettavo che mi rompessero le scatole. E lo accettavo per niente, in nome di niente.

Capiì che la notte aveva su di me un influsso enorme. I miei pensieri notturni immaginavano sempre il peggio e non lasciavano mai spazio a possibilità come il miglioramento, la speranza o anche l’inoffensiva indifferenza. Nelle mie insonnie, tutto era tragico e tutto era colpa mia!

Il buon senso degli altri non è mai servito a nessuno. Quando arriva il ciclone – la guerra, l’ingiustizia, l’amore, la malattia, il vicino – si è sempre soli, soli, si è appena nati e si è orfani.

Il signor Bernardin era tanto più vuoto perché era grasso: visto che era grasso, aveva più spazio per contenere il suo vuoto. Così vanno le cose, nell’universo: le fragoline di bosco, le lucertole e gli aforismi sono densi ed evocano la pienezza, mentre le zucche giganti, i soufflé al formaggio e i discorsi d’inaugurazione sono gonfi in proporzione alla loro vacuità.

Non c’è niente che un essere umano faccia una sola volta. Se un essere umano fa una cosa, un giorno, vuol dire che è nella sua natura. Ognuno di noi passa il tempo a riprodurre le stesse azioni. Il suicidio è solo un caso particolare. Gli assassini tornano ad uccidere, gli innamorati si riinnamorano.

Appena la bontà si preoccupa dell’ammirazione, non è più bontà.

La bontà mal praticata non è bontà.

Come l’oro, il bene non si trova mai allo stato puro in natura: è normale quindi, che non faccia effetto. Ha l’odiosa abitudine di non fare nulla: preferisce dare mostra di sè. Il male, invece,è simile a un gas: non è facile da vedere, ma è individuabile dall’odore. Il più delle volte è stagnante, distribuito in falde soffocanti, lo si crede inoffensivo, all’inizio per via del suo aspetto-e poi, eccolo all’opera, ci si rende conto del terreno che ha guadagnato, del lavoro che ha svolto – e ci si ritrova al tappeto perché, in quel momento, è già troppo tardi.

“Proprietà del gas: espansibilità, elasticità, compressibilità, pesantezza”. Si direbbe proprio una descrizione del male.

Se gli zotici si vergognassero delle loro maniere, smetterebbero di essere zotici.

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I nomi epiceni (Les Prénoms épicènes, 2018)

La cosa davvero terribile non è essere infelici, ma che la nostra infelicità non abbia nessun senso.

– Al di là della sua assurdità, la cosa che mi lascia sconcertata della tua strategia di vendetta è la durata. Come hai potuto mantenere un obiettivo così delirante per quasi vent’anni?
– Perché il tempo non aveva valore per me. Esiste un pesce degli abissi chiamato celacanto: quando non ha più mezzi per sopravvivere, programma la sua morte. Entra in stato comatoso finché non si ristabiliscono le condizioni adatte per la sua sopravvivenza. Il tempo per lui non esiste.

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Né di Eva né di Adamo (Ni d’Ève ni d’Adam, 2007)

Ci si innamora di persone che non si sopportano, di persone che rappresentano un pericolo insostenibile… Nell’amore, io vedo un trucco del mio istinto per non assassinare l’altro.

Dicono che fuggire non sia un gesto molto nobile. Peccato, è così piacevole.

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Sabotaggio d’amore (Le Sabotage amoureux, 1993)

Avevo letto solo due libri: la Bibbia e i racconti delle Mille e una notte. Quelle cattive letture mi avevano inoculato un sentimentalismo mediorientale di cui mi vergognavo già all’epoca. Quei due libri bisognerebbe censurarli.

Le teorie servono a irritare i benpensanti, a sedurre gli esteti e a far ridere gli altri. L’essenza delle verità perturbanti è di sfuggire all’analisi.

Ma la vera bellezza deve lasciare insoddisfatti: deve lasciare all’anima una parte del suo desiderio.

Non potevo sapere che io e lei appartenevamo a due specie diverse. Elena era di quelle che amano di più quando sono trattati male. Per me era il contrario: più mi sentivo amata, più amavo.

Che una cosa incantevole, felpata, dolce, ondeggiante, leggera quanto la neve si possa trasformare così presto nel suo contrario – un ammasso grigio, vischioso, denso, pesante, ruvido – è una porcata da cui non riesco a riprendermi.

Ho sempre saputo che l’età adulta non contava: dalla pubertà in poi l’esistenza è solo un epilogo.

Piangeva con arte consumata: appena un po’ in modo che non fosse antiestetico, e con gli occhi aperti, in modo da non occultare il suo sguardo magnifico e da mettere in evidenza la lenta genesi di ogni singola lacrima.

L’Iliade dà a volte l’illusione di essere la giustapposizione di più rivalità elette: ogni eroe trova nel campo avverso il suo nemico designato, mitico, quello che lo tallonerà finché non l’abbia distrutto, e viceversa. Ma questa non è la guerra: è l’amore, con tutto l’orgoglio e l’individualismo che presuppone.

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Barbablù (Barbe bleue, 2012)

Guardi: mi sono innamorato di lei. Lei è la mia nona coinquilina. Lei non sostituisce le otto donne che l’hanno preceduta. Io continuo ad amarle. Ogni volta, l’amore è qualcosa di nuovo. Ci vorrebbe un verbo nuovo ogni volta. Eppure, il verbo ‘amare’ è appropriato, perché c’è una tensione comune a tutti gli amori, e quel verbo è l’unico che riesce ad esprimerla.

Si impose di lasciarlo nel modo più brusco: quello che avevano condiviso era troppo forte per condurre ad un epilogo possibile.

Ciascuno regalò all’altro qualcosa di sconosciuto.

Innamorarsi è il fenomeno più misterioso dell’universo. Chi si innamora a prima vista vive la versione meno inesplicabile del miracolo: se prima non amava, è perché ignorava l’esistenza dell’altro. Il colpo di fulmine a scoppio ritardato è la più gigantesca sfida alla ragione.

– Ammiro il fatto che lei mangi tanto e resti così magra.
– Si chiama giovinezza, ricorda?
– Sì. Ci si sente indistruttibili e all’improvviso, basta un niente, e si capisce subito che è finita.

Diffido dalle persone riservate. Sono le stesse che, cinque minuti dopo, ti raccontano i minimi dettagli della loro vita privata.

Una sola raccomandazione: non prenda champagne rosé.
– Ovvio. Che assurdità preferire la leziosaggine del rosa al misticismo dell’oro!
– L’inventore dello champagne rosé ha ottenuto il contrario di quello che cercavano gli alchimisti: ha trasformato l’oro in granatina.

Ebbene, prenda tutte le caratteristiche di Chisciotte, le moltiplichi per 15 ed otterrà il Cristo.

– Tre gialli ci si avvicinano molto: il giallo banana, il giallo uovo e il giallo ranuncolo.
– Li ha mescolati?
– È l’illusione degli ignoranti credere che mescolare tre approssimazioni darà l’ideale. Le miscele di colori alla fine producono sempre orribili intrugli. Niente è più divino della purezza di una tinta. Per lei, ho inventato l’ottantasettesimo giallo, quello della sua fodera

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Acido solforico (Acide sulfurique, 2005)

Come qualunque fallito, disprezzava chi eccelleva dove lei non era riuscita.

Odiare gli uomini? Non aveva senso. L’umanità era un brulicare disparato, un supermercato che vendeva tutto e il contrario di tutto. Odiare l’umanità era come odiare un’enciclopedia universale: non c’era antidoto a quell’esacrazione.

Tu mi hai dato qualcosa di meglio che se mi avessi dato tutto! E quello che mi hai dato, nessuno l’ha mai dato a nessuno!

Sa bene che un programma televisivo spesso è l’unico argomento di conversazione, tra le persone. Per questo tutti guardano le stesse cose: per non rimanere isolati e poter condividere qualcosa.

Ci sono persone con un nome che non le rappresenta affatto. Incontri una ragazza con una faccia da Aurore e scopri che, da vent’anni, i genitori e i parenti la chiamano Bernadette. Eppure, una simile sbavatura non contraddice questa verità inflessibile: è sempre più bello avere un nome. Abitare delle sillabe che formano un tutto è una delle questioni incommensurabili della vita.

E poi, si è sempre più belli quando si viene definiti da un termine, quando si ha una parola tutta per sé. Il linguaggio ha più a che fare con l’estetica che con la pratica. Se volendo parlare di una rosa non si disponesse di alcun vocabolo, se ogni volta si dovesse dire “la cosa che sboccia a primavera e che ha un buon profumo”, l’elemento in questione sarebbe molto meno bello.

Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo.

Il nome è la chiave della persona. È lo scatto delicato della sua serratura, quando si vuole aprire la porta. È la musica metallica che rende possibile il dono.

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Mercurio (Mercure, 1998)

Essere brutti è rassicurante: non ci sono sfide da raccogliere, basta abbandonarsi alla propria sfortuna, farci i gargarismi, è così confortevole. La bellezza invece è una promessa: bisogna poterla mantenere, bisogna essere all’altezza. È difficile.

La letteratura ha un potere che va ben oltre la liberazione: ha il potere di salvare. Io sono stata davvero salvata: senza i libri sarei morta da un pezzo.

Perché è impossibile fare del bene a qualcuno senza fargli del male? Perché è impossibile amare qualcuno senza distruggerlo?

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Biografia della fame (Biographie de la faim, 2004)

Ma esiste una fame che è solo di cibo? Esiste una fame del ventre che non sia indizio di una fame più generalizzata? Per fame, intendo quel buco spaventoso di tutto l’essere, quel vuoto che attanaglia, quell’aspirazione non tanto all’utopica pienezza quanto alla semplice realtà: là dove non c’è niente, imploro che vi sia qualcosa.

Nel West americano, una tacca nel calcio di un’arma da fuoco significava un morto: l’albo d’oro di un fucile si leggeva dal numero delle tacche. Se esiste per le parole qualcosa di simile, indubbiamente la parola “no” è quella che ha più cadaveri al suo attivo.

Ti dirò un gran segreto, ti aspettavo da tanto di quel tempo, infinitamente più lungo della mia vita, tanti millenni per arrivare fino a te, che le tue mani mi prendano il viso, finalmente so perché respiro, anche se in questo istante il respiro si è fermato, ti dirò un gran segreto, è più facile morire che vivere, e per questo vivrò per te, amore mio.

E’ nei film di guerra che assistiamo ai più bei baci cinematografici.

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La nostalgia felice (La nostalgie hereuse, 2013)

Ritrovarsi è un fenomeno così complesso che andrebbe affrontato soltanto dopo un lungo apprendistato, oppure bisognerebbe semplicemente proibirlo.

L’imbarazzo è uno strano difetto del centro di gravità: può provarlo solo una persona con un nucleo che è rimasto fluttuante. Le persone solidamente centrate non capiscono di cosa si tratti. L’imbarazzo presuppone un’ipertrofia della percezione dell’altro, da cui deriva l’educazione delle persone imbarazzate, che vivono solo in funzione degli altri. Il paradosso dell’imbarazzo è che crea un malessere a partire dalla deferenza che l’altro ispira.

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Causa di forza maggiore (Le Fait du prince, 2008)

Non ho nulla contro la noia, ma annoiarsi ed essere anche costretti a manifestare interesse, che piaga!