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Le frasi più belle di Gino Strada sulla guerra, la pace e l’umanità

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Gino Strada (Sesto San Giovanni 1948-2021) è stato un medico, attivista e filantropo italiano, fondatore, nel 1994, assieme alla moglie Teresa Sarti, dell’ONG italiana Emergency.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Gino Strada sulla guerra, la pace e l’umanità. Tra i temi correlati Le più belle frasi e poesie di Madre Teresa di Calcutta, Le più belle frasi di Mahatma Gandhi e Frasi, citazioni e aforismi sulla guerra.

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Le frasi più belle di Gino Strada sulla guerra, la pace e l’umanità

I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi.

Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra.

Se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia.

Quando alla fine si è governati da una banda dove una metà sono fascisti e l’altra metà sono coglioni non c’è una grande prospettiva per il Paese [riferendosi all’Italia].

Le vittime di una guerra, qualsiasi guerra, sono sempre i civili, che non hanno colpe. Ecco perché la guerra è sbagliata in sé.

Ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Che non sanno neanche perché gli arriva in testa una bomba.

Mine giocattolo, studiate per mutilare bambini. Ho dovuto crederci, ancora oggi ho difficoltà a capire.

La guerra non farà mai finire alcuna guerra, nel migliore dei casi sarà stata una guerra in più.

Io sono convinto che la guerra non sia mai un modo per risolvere i problemi ma sia un modo per ingrandirli.

Ho visto, ovunque, la stessa schifezza, il macello di esseri umani. Ho visto la brutalità e la violenza, il godimento nell’uccidere un nemico indifeso.

Il mondo dovrebbe essere così: chi ha bisogno va aiutato.

Se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi.

La scelta della pace per me è una scelta etica e politica. Si basa sui valori e sul buonsenso, sulla pratica, cioè sulle cose che ho visto nella mia vita.

La pace non è un valore di sinistra o di destra, è di tutti gli uomini.

La guerra piace a chi ha interessi economici, che se ne sta ben distante dalle guerre. Chi invece la conosce si fa un’idea molto presto.

Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri.

Le guerre appaiono inevitabili, lo appaiono sempre quando per anni non si è fatto nulla per evitarle.

La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza.

Resto convinto che per chi è dentro la classe, ha dieci anni e vuole studiare, ricevere un razzo in testa significhi restare vittima di un atto di terrorismo, chiunque ne sia l’artefice.

Una promessa è un impegno, è il mettersi ancora in corsa, è il non sedersi su quel che si è fatto. Dà nuove responsabilità, obbliga a cercare, a trovare nuove energie.

Alle nuove generazioni suggerisco di non essere disinteressati, di abbandonare l’egoismo: perché ne vale la pena e perché è giusto.
L’importante è capire fino in fondo che se ci sono persone che hanno bisogno di essere curate questo vada fatto.

È giusto soffrire di più o di meno in base alla disponibilità del nostro conto corrente? Io lo trovo disumano.

Passare il tempo a costruire arsenali anziché diffondere libri è deleterio, forse letale, per la nostra specie.

Promettere costa poco, si dice, se poi non si mantiene l’impegno. E non farlo? Costa ancor meno, praticamente niente, basta girarsi dall’altra parte.

Il terrorismo è la nuova forma della guerra, è il modo di fare la guerra degli ultimi sessant’anni: contro le popolazioni, prima ancora che tra eserciti o combattenti.

I migranti muoiono ogni giorno. Quando morirò vedrò il Paradiso pieno di barconi di africani, scialuppe di salvataggio, e una tempesta in atto. Sarò con i migranti, e i migranti saranno con me. Una visione celestiale e terrificante, e poi il buio totale di un naufragio spiritato.

Quest’idea imbecille d’una società violenta e rancorosa, che ti spinge a trovare chi sta peggio di te e a dargli la colpa dei tuoi guai. Mai uno di loro che punti il dito su quelli che stanno meglio, eh?

Credo che a nessun paese, nessun popolo – no? – piaccia essere occupato militarmente. Se domani mattina ci svegliassimo con mille militari qui nel centro di Milano, che arrestano, bombardano, sparano, torturano, deportano, uccidono chi vogliono, penso che non saremmo felici.

Un cecchino di Sarajevo si lascia intervistare in una stanza quasi buia. Mi sembra incredibile: è una donna. Una donna che spara a un bambino di sei anni? Perché?
“Tra venti anni ne avrebbe avuti ventisei”, è la risposta che l’interprete traduce.
Il freddo diventa più intenso, fa freddo dentro. L’intervista finisce lì, non c’è altra domanda possibile.

L’interesse di uno solo non può andare a discapito di tutti. Ecco perché non so se da questa epidemia ne siamo usciti davvero migliori: perché per qualcuno la vita di una persona non vale niente, oppure poco. Per me una vita, invece, vale tutto.

È trovandoci di fronte ogni giorno la sofferenza di altri esseri umani, che abbiamo iniziato a maturare l’idea di una comunità in cui i rapporti siano fondati sulla solidarietà e il rispetto. Una società che faccia a meno della guerra. Per sempre.

La guerra non si abolisce coi trattati, ma si abolisce stimolando la riflessione e la cultura di tutti.

Il dramma di oggi è che di fronte a qualsiasi problema si pensa solo ed esclusivamente in termini di «che risposta militare diamo», cioè «quanti uomini mandiamo, dove, chi li comanda». Il problema di per sé non lo si affronta mai.

La sanità italiana era tra le migliori ma adesso è in crisi per colpa della politica che ha inserito il profitto. Gli ospedali sono diventate delle aziende. Oggi il medico viene rimborsato a prestazione, che è una follia razionale, scientifica ed etica. Si mette il medico in condizioni di dover fare o di ambire a fare più prestazioni perché così guadagna e quindi si inventano nuove malattie e cure, oppure si fanno interventi chirurgici inutili. L’obiettivo non è più la salute, ma il fatturato.

In zone di guerra, non può valere il principio “prima il più grave”. Non ti puoi permettere di spendere tre ore a operare qualcuno con poche probabilità di sopravvivere. Consumi inutilmente energie e materiali, e, soprattutto, altre persone moriranno nel frattempo, mentre si sarebbero salvate se operate prima. E allora devi cercare di fare “il meglio per la maggioranza” di quei feriti.

Viviamo in un “villaggio globale” sconvolto dalle guerre, un pianeta, quello degli uomini, dove tra l’altro qualcuno ha seminato cento milioni di mine antiuomo. Decine di conflitti, milioni di morti. Con tutto il corollario di vergogne, vero arsenale della guerra: fame e malattie, miseria e odio, esecuzioni sommarie, vendette, attentati, stupri, pulizie etniche, torture, violenze. Terrorismo. E a scuola si studiano le battaglie, non la guerra. Né la pace.

Noi viviamo in una parte del mondo che ospita il 20 per cento della popolazione e consuma l’85 per cento della ricchezza, e siamo convinti che i diritti umani siano i diritti di questo 20 per cento di mantenere o aumentare le proprie ricchezze a danno degli altri.

Come si evita che i cosiddetti “mostri” – diciamo i dittatori – salgano al potere e poi diventino potentissimi? Io credo che la risposta sia molto semplice: si evita di costruirli. Una volta che sono stati costruiti, appoggiati, coperti, foraggiati, e che questi dittatori sono diventati molto forti, certo, a quel punto è difficile liberarsene con mezzi pacifici. L’occidente, in genere, non si preoccupa di questo. Crea mostri e poi si indigna per il fatto che ci sono.

Solo dei cervelli poco sviluppati, nel terzo millennio, possono pensare alla guerra come uno strumento accettabile per la risoluzione dei conflitti.

Credo che la guerra sia una cosa che rappresenta la più grande vergogna dell’umanità. E penso che il cervello umano debba svilupparsi al punto da rifiutare questo strumento sempre e comunque in quanto strumento disumano.