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Frasi Belle

Le frasi più belle di Dacia Maraini

Dacia Maraini - Aforisticamente

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Dacia Maraini (Fiesole, 13 novembre 1936) è una delle più importanti scrittrici italiane, autrice di narrativa, poesia, teatro e saggistica e vincitrice di prestigiosi premi letterari tra cui il Premio Strega.

Presento una raccolta delle frasi più belle di Dacia Maraini. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi di Elsa Morante, Frasi, citazioni e aforismi di Pier Paolo Pasolini e Frasi, citazioni e aforismi di Alberto Moravia.

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Le frasi più belle di Dacia Maraini

È più facile che un cammello entri nella cruna di un ago piuttosto che una donna abbia la forza di essere se stessa, nella sua carne e nei suoi pensieri.
(Donne mie)

La donna non deve cercare di assomigliare all’uomo se no perde la sua femminilità, diventa volgare, smodata.
(Donna in guerra)

Lo stupro di un uomo da parte di una donna è inconcepibile: non solo per ragioni meccaniche, ma perché della sessualità femminile non fa parte il piacere dell’aggressione.
(La bionda, la bruna e l’asino)

Il tempo delle abitudini appare eterno, ma nel ricordo ha la durata di un attimo.
(La seduzione dell’altrove)

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Dentro le parole. Aforismi e pensieri, 2005

In una carezza, in un abbraccio, in una stretta di mano a volte c’è più sensualità che nel vero e proprio atto d’amore.

Ho amato molte volte di amore piccolo. Poche volte di amore grande.

E’ dolce consolare. Forse più dolce che essere consolati.

Femminismo per me non significa altro che stare storicamente dalla parte dei perdenti, ovvero delle donne.

E’ l’idea della perfezione che tormenta, ferisce, guasta i rapporti che ogni donna ha con il proprio corpo.

La prostituzione è una malattia della sessualità maschile.

Una carezza adulta diventa una rapina sul corpo delicato di una bambina.

C’è un “perché” nascosto in tutte le cose che conduce ad un altro “perché”, il quale suggerisce un piccolissimo imprevisto “perché”, da cui scaturisce probabilmente un altro, nuovissimo e appena nato “perché”.

Dopo millenni di odi e di guerre per lo meno dovremmo avere imparato questo: che il dolore non ha bandiera.

Molti sorridono per conquistare. Il loro sorriso è lupesco.

L’amore è una cinciallegra che vola e non riesci a fermarla, nemmeno a metterle il sale sulla coda.

L’allegria è divina. La tristezza umana.

Quando vedo una bestia che soffre divento lei, perfino una formica, la vedo dibattersi, cercare scampo, mi viene un crampo allo stomaco.

Preferisco pensare alla scrittura come ad una testimonianza delicata, un gesto di affetto nei riguardi di una memoria che se ne va e muore anzitempo. Una esperienza che ti fa cambiare l’angolo dello sguardo, un arricchimento di prospettive. Accompagnata forse da un infantile desiderio di seduzione. Ma fuori dei canoni, dentro le allegre invenzioni di una mente inquieta.

Uno scrittore è prima di tutto un lettore.

Sapere scrivere vuol dire sapere pensare, sapere guardare il mondo.

Lo stile è il ponte tra scrittore e lettore.

A volte ci si sfama anche con gli occhi.

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La lunga vita di Marianna Ucrìa, 1990

Lo sguardo alle volte può farsi carne, unire due persone più di un abbraccio.

Alle volte è l’amore degli altri che ci innamora: vediamo una persona solo quando essa chiede i nostri occhi.

Il piacere consuma, dilata, sgretola…

Il principio della corruzione non sta proprio in questo dare che seduce chi riceve?

Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa.

Il mondo poteva in fondo apparirle come un bello spettacolo purché non le chiedessero di partecipare.

L’ipocrisia è la madre della tolleranza… o ne sarà la figlia? non lo so? comunque sono parenti strette.

La fretta è dei giovani che non conoscono le delizie dell’attesa, la volontà di un prolungamento che avvolge la resa di odori profondi e prelibati.

Non è questa una aberrazione della memoria che ama solo ciò che perde? Proprio perché lo perde e ci fa languire di nostalgia per quegli stessi luoghi e quelle stesse persone che prima ci annoiavano profondamente? Non è sciocco tutto questo, non è prevedibile e volgare?

Le parole, dice lo scrittore, vengono raccolte dagli occhi come grappoli di una vigna sospesa, vengono spremuti dal pensiero che gira come una ruota di mulino e poi, in forma liquida si spargono e scorrono felici per le vene. E questa la divina vendemmia della letteratura?

Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l’ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre ripetuto dell’amore in rappresentazione, non è amore anche questo?

Sono sempre le stesse donne dall’intelligenza lasciata a impigrire nei cortili delle delicate teste acconciate con arte parigina. Di madre in figlia, di figlia in nipote, sempre intente a girare intorno ai guai che portano i figli, i mariti, gli amanti, i servi, gli amici, e a inventare nuove astuzie per non farsene schiacciare.

La mano che dipinge ha istinti ladroneschi, ruba al cielo per regalare alla memoria degli uomini, finge l’eternità e di questa finzione si bea, quasi avesse creato un suo ordine più stabile e intimamente più vero.

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Bagheria, 1993

E’ orribile trovarsi adulti, ormai usciti da quel paradiso dei sensi e degli odori, e capire di aver conservato quella felicità solo in qualche fotografia. Un singulto nel ritrovare nelle narici quegli odori di letti materni e sapere che sono persi per sempre.

Conoscevo troppo bene le arroganze e le crudeltà della Mafia che sono state proprio le grandi famiglie aristocratiche siciliane a nutrire e a far prosperare perché facessero giustizia per conto loro presso i contadini… Io non ne volevo sapere di loro. Mi erano estranei, sconosciuti. Li avevo ripudiati per sempre già da quando avevo nove anni ed ero tornata dal Giappone affamata, poverissima, con la cugina morte ancora acquattata nel fondo degli occhi

L’ho amato molto questo mio padre, più di quanto sia lecito amare un padre, con uno struggimento doloroso, come anticipando in cuor mio la distanza che poi ci avrebbe separati, prevedendo la sua vecchiaia che mi era già intollerabile da allora, immaginando la sua morte di cui mai mi sarei consolata.

E’ sempre limitativo e stupido cacciare le persone dentro una categoria, che sia una classe o un sesso. Non fare i conti con l’imprevedibile è da citrulli. E citrulla è l’idea di un mondo di uguali senza scarti, storie personali, particolari vicende e tracce di viaggi interiori senza meta e senza finalità decise in partenza.

Parlare della Sicilia significa aprire una porta rimasta sprangata. Una porta che avevo talmente bene mimetizzata con rampicanti e intrighi di foglie da dimenticare che ci fosse mai stata. Un muro, uno spessore chiuso, impenetrabile.

Capivo che la poesia non era molto diversa da quei rompicapi di geometria che la prima volta mi lasciavano la bocca amara. Invece poi, nello scoprirne i meccanismi nascosti, ero presa da una euforia senza nome.
Era la divisione inaspettata dello spazio, le regole che questa divisione si dava, il suo sottrarsi e moltiplicarsi sotto gli occhi stupiti, dentro misure che combaciavano perfettamente.

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Voci, 1994

Sono avida di voci, che siano leggere o pesanti, scure o chiare, le amo per la loro straordinaria capacità di farsi corpo. Mi innamoro di una voce, io prima che di una persona.

Le voci sono corpi in moto e hanno ciascuna l’ambiguità e la complessità degli organismi viventi; belli o brutti, deboli o forti che siano, sono percorse da vene lunghissime di un azzurro che mette tenerezza, seminate di costellazioni di nei come un cielo notturno ed è difficile metterle a tacere come si fa con le parole cartacee di un libro.

L’odio contro le donne non l’hanno inventato loro, l’hanno respirato a scuola, nei libri, in chiesa, nei campi sportivi… E se la loro malattia prende la forma dell’aggressione contro le donne, è una malattia che fa la spia alle idee di un’epoca.

Cosa c’è nella morbidezza di un corpo femminile che provoca il furore di una mano maschile?

Non è meglio farsi cremare come fanno gli indiani? Una lettiga trasportata a braccia dai parenti, il morto stretto dentro le fasce candide, una pira di legni profumati, una rapida fiammata, il crepitio dei rami, il fumo che sale a volute schiumose verso il cielo, in un quarto d’ora è tutto finito. Due mani pietose raccolgono le ceneri e le spargono nel Gange.

Sembra che in questo periodo il mondo si affacci alla mia intelligenza solo in forma di indovinelli, di rebus.

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Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza, 2013

Il sesso mi sembra sgangherato e prevedibile. L’amore un sogno irraggiungibile.

Una donna, anche se giovane, può innamorarsi a tal punto di una idea da sacrificare tutti i suoi beni e il suo futuro?

La libertà non è soltanto arbitrio, la libertà non è rifiuto delle regole o chissà quale altra diavoleria. Esiste anche la libertà della curiosità, della scoperta, della conoscenza, dello scambio, del vagabondaggio.

È la scelta che rende preziosa la povertà. E vale solo perché voluta e non imposta. Una povertà prescritta può essere terribile e detestabile. Ma la povertà stabilita con un atto di impegno può dare una grande autonomia. Non dipendere da nessuno, nemmeno dal proprio corpo, è un atto di libertà.

Possedere… vuol dire dipendere da qualcosa e da qualcuno.

Ieri come oggi, avere coraggio significa per una donna pensare e scegliere con la propria testa, anche attraverso un silenzio nutrito di idee.

La volontà divina va vissuta, bevuta, ricevuta con tutto se stessi, in una generosa consegna di sé che solo l’amore può fare nascere nel cuore umano.

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La bambina e il sognatore, 2015

La storia, ogni storia, nasce quando ci sono un corpo e una mente che si preparano all’ascolto.

Il sospetto a volte mette delle trappole sul cammino del ragionamento.

I sogni sono stracci di nuvole, scomposti e inconsistenti. Sono la mia consolazione e il mio tormento. Mi fanno sentire vivo, capisci? Vivo come non sono mai stato.

La cosa più difficile del mondo è capire con la propria testa quello che sotto il nostro naso.

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Storie di cani per una bambina, 1996

È una viltà senza nome abbandonare un cane per strada. È come se un genitore lasciasse in mezzo a un marciapiede un figlio piccolo. E per giunta bisogna dire che il figlio a volte “capita” senza averlo voluto, ma un cane non capita mai per caso. C’è un atto di volontà nel mettersi in casa un animale domestico che implica una responsabilità purtroppo non sentita da tutti.

Era paziente come solo gli animali sanno esserlo. Felicemente indulgente verso coloro che noi ci ostiniamo a chiamare i padroni e che loro invece vedono come madri e padri. Sono sicura che il guinzaglio per loro è un cordone ombelicale, non un legame costrittivo e schiavistico.

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Dolce per sé, 1997

Gli innamorati si credono una folla anche quando sono uno più uno.

Il futuro si apre davanti a lei come un fiore precoce che ha sentito il primo raggio di sole, ma potrebbe rimanere congelato sul ramo. Perché la primavera non è ancora arrivata e quel raggio di sole l’ha ingannata.

Noi appariamo agli altri con una sola immagine, limitativa e parziale. Mentre nel nostro corpo le varie età convivono senza ordine, la bambina con l’anziana, il giovinetto con l’uomo maturo. Siamo una folla, come diceva Pessoa, e un solo nome ci sta stretto.

Anche noi che ci preoccupiamo per un gatto dalla zampa spezzata o per un cane abbandonato, poi facciamo finta di non sapere come vengono uccisi i vitelli per fornirci di bistecche: in fila di prima mattina al mattatoio, uno dietro l’altro, aspettando il turno per sottoporsi al crudele chiodo pneumatico che spacca loro il cranio in un secondo.

Certe volte, sai, l’amore diventa una malattia crudelissima proprio nel momento in cui senti la sua fine. Nel momento in cui sai che incombe la separazione. Allora puoi essere preso da una furia disperata, per cui ti aggrappi al corpo conosciuto e saresti capace di distruggerlo pur di non perderlo. Sono quelli i momenti in cui la gelosia si fa più rabbiosa e il dolore rimbomba sotto le volte della mente.

La bellezza non è qualcosa per cui si gareggia: ciascuno ha qualcosa di bello da scoprire; l’attenzione è la chiave della scoperta.

Non basta essere bravi, bisogna essere geniali.

In ogni donna fa capolino una bambina che cocciutamente vuole rimanere tale.

Non bisogna innamorarsi delle donne belle… perché ci si perde sempre: si credono chissà chi, sono concupite dagli amici e finiscono sempre per tradirti. Meglio dedicarsi alle donne brutte perché ti saranno sempre riconoscenti di averle scelte, perché non avrai rivali e perché non rischierai di innamorarti “veramente”.

La ricerca non è soltanto funzionale a ciò che si sta cercando; la ricerca contiene in se stessa la ricompensa della sua fatica.

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La grande festa, 2011

Solo la poesia può medicare e calmare come un elisir di pace e rassicurare l’intelligenza contratta e resa asfittica dalla paura.

Nei campi di sterminio era la poesia a tenere vicine le teste mangiate dai pidocchi, nelle baracche gelide, dimentiche delle piaghe, della dissenteria, della fame che lacerava lo stomaco. Chi conosceva una poesia a memoria, la ripeteva lentamente a voce alta e gli altri ascoltavano in cerchio, silenziosi, incantati.

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La nave per Kobe. Diari giapponesi di mia madre

I morti tendono a fuggire da noi. Diventano sempre più giovani mentre noi diventiamo sempre più vecchi.

Si sogna per svegliarsi. Si agogna la notte per riprendere a sognare.

Nel linguaggio dei doni, il regalo significa che si vuole acquietare, rabbonire, sedare un dio corrucciato che potrebbe annichilirci.

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Amata scrittura, 2000

Una prosa costellata di punti fermi è una prosa tendenzialmente autoritaria, mentre una prosa cosparsa di virgole è più morbida, democratica e riflessiva.

Il ritmo è essenziale in ogni progetto di scrittura.

Chi legge un libro, in qualche modo lo riscrive.

Chi legge molto non si fa ingannare come i novellini dalle facili pubblicità, dalle mode, dalle trappole per i gonzi. Chi legge molto impara a distinguere la buona dalla cattiva letteratura, i libri profondi da quelli che non lo sono.

I libri vanno conosciuti fisicamente, si devono toccare, annusare, tenere addosso.

Preferisco pensare alla scrittura come ad una testimonianza delicata, un gesto di affetto nei riguardi di una memoria che se ne va e muore anzitempo. Una esperienza che ti fa cambiare l’angolo dello sguardo, un arricchimento di prospettiva. Accompagnata forse da un infantile desiderio di seduzione.

Il principio fondamentale del leggere sta nell’assumersi il rischio della conoscenza e il lettore è colui che si avventura al di là dei confini, dei muri delle verità rivelate, in nome della libertà di ricerca, della libertà intellettuale.

Il lettore lo si raggiunge attraverso i sensi, non attraverso le enunciazioni.

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Interviste

Viviamo in un Paese abbastanza curioso perché soffre di una specie di schizofrenia, perché ha teoricamente una grandissima ammirazione e considerazione per la scrittura però una pratica molto pigra nei riguardi della lettura.

Sogno molto. Tutti sogniamo. Il sogno è un allarme come la febbre, che non ti dice la malattia ma solo che c’è qualcosa che non va.

Mi piace innamorarmi. È uno stato che mi dà calore, leggerezza.

Ho avuto pessimi insegnanti. Ma la mia vita è stata complessa. Ho vissuto in Giappone, parlavo il giapponese quasi meglio dell’italiano. Poi con la mia famiglia tornai in Sicilia. Però alcuni bravi insegnanti li ho avuti. Io odiavo la matematica, ma un professore mi ha fatto scoprire la sua bellezza e la musicalità della materia. E sono proprio questi bravi insegnanti che influiranno nella vita degli studenti per sempre.

Ho molta simpatia per gli animali e mi viene difficile pensare di mangiarli. Le mucche sono creature meravigliose che non riesco a pensare squartate. Poi credo che gli animali abbiano sentimenti come noi ed è orribile che vengano trattati solo come oggetti da macello.

Un minimo di rispetto verso chi sta su questa terra da prima di noi e insieme a noi è doveroso. Uno spazio di terra e acqua lo dobbiamo pretendere per tutte le creature viventi.

L’informazione dovrebbe essere ricerca, dubbio, un interrogarsi e discutere sui grandi problemi che ci riguardano. Mentre spesso si cade nel sensazionale e nel patetico. Si cerca di colpire allo stomaco lo spettatore anziché farlo ragionare.

La «famiglia naturale»? Non esiste, perché la natura è violenza, caos e incesto.

Il Papa sostiene, con ostinato candore, che si deve difendere la famiglia naturale. Ma cosa intende per natura, viene da chiedere. Ogni normativa sociale, se guardiamo bene, va contro natura. Nel mondo naturale il più grosso mangia il più piccolo, il più robusto schiavizza il più debole, le madri si accoppiano con i figli, i padri con le figlie, i fratelli con le sorelle. In natura non esiste morale

Non c’è niente di peggio del fanatismo religioso. Le guerre più feroci, i delitti più crudeli, i massacri più spietati sono stati fatti nella storia in nome di un Dio tirannico e affamato di potere. Ignari della parola di Cristo o di Budda o di Maometto che non hanno parlato di scannare, sgozzare, bruciare vive le persone.

Rifiutando il concetto di schiavitù umana si arriva, per onestà intellettuale, ad ammettere anche l’ingiustizia della schiavitù nei riguardi degli animali.