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Frasi BellePoesie

Poesie al femminile – 20 poesie scritte da donne

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In occasione della Festa della Donna, presento una raccolta di 20 poesie scritte da celebri poetesse del passato e dei nostri giorni.

Saffo, Alda Merini, Wislawa Szymborska, Sylvia Plath, Emily Dickinson, ma anche autrici contemporanee come Rupi Kaur, Mariangela Gualtieri o Patrizia Valduga… Quante poetesse ci hanno regalato poesie meravigliose? Festeggiamo la festa della donna con questi versi scritti da autrice femminili. Tra i temi correlati si veda Poesie d’amore di tutti i tempi, Le 75 più belle e romantiche.

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Poesie al femminile – 20 poesie scritte da donne

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Alda Merini, Accarezzami amore

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.

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Erica Jong, Ero stufa d’esser donna

Ero stufa d’esser donna,
stufa del dolore,
dell’irrilevante dettaglio del sesso,
la mia concavità
inutilmente affamata
e più vuota ogni volta che era piena,
e riempita infine
del suo stesso vuoto,
cercando il giardino della solitudine
anziché gli uomini.

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Emily Dickinson, Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi

Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi
Non avrò vissuto invano
Se potrò alleviare il Dolore di una Vita
O lenire una Pena
O aiutare un Pettirosso caduto
A rientrare nel suo nido
Non avrò vissuto invano.

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Wislawa Szymborska, Un amore felice

Un amore felice. È normale?
è serio? è utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri
che non vedono il mondo?

Innalzati l’uno verso l’altro senza alcun merito,
i primi qualunque tra un milione, ma convinti
che doveva andare così – in premio di che? Di nulla;

la luce giunge da nessun luogo –
perché proprio su questi, e non su altri?
Ciò offende la giustizia? Sì.
Ciò offende i principi accumulati con cura?
Butta giù la morale dal piedistallo? Sì, infrange e butta giù.

Guardate i due felici:
se almeno dissimulassero un po’,
si fingessero depressi, confortando così gli amici!
Sentite come ridono – è un insulto.
In che lingua parlano – comprensibile all’apparenza.
E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,
quei bizzarri doveri reciproci che s’inventano –
sembra un complotto contro l’umanità!

È difficile immaginare dove si finirebbe
se il loro esempio fosse imitabile.
Su cosa potrebbero contare religioni, poesie,
di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe,
chi vorrebbe restare più nel cerchio?

Un amore felice. Ma è necessario?
Il tatto e la ragione impongono di tacerne
come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita.
Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,
capita, in fondo, di rado.

Chi non conosce l’amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.
Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.

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Rupi Kaur, Non chiedermi perché non sono andata via

Non chiedermi perché non sono andata via
lui ha reso il mio mondo così piccolo
che non riuscivo a vedere l’uscita

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Saffo, Dicono alcuni che sulla terra nera

Dicono alcuni che sulla terra nera
la cosa più bella sia un esercito di
cavalieri; altri dicono di fanti; altri dicono di
navi. Per me, invece, è ciò che si ama.

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Sylvia Plath, Io sono verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.

Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto –
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

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Marina Cvetaeva, alla povera mia fragilità

Alla povera mia fragilità
tu guardi senza dire una parola.
Tu sei di marmo, ma io canto,
tu – statua, ma io – volo.

So bene che una dolce primavera
agli occhi dell’Eterno – è un niente.
Ma sono un uccello, non te la prendere
se è leggera la legge che mi governa.

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Patrizia Cavalli, Così schiava

Così schiava. Che roba!
Così barbaramente schiava. E dai!
Così ridicolmente schiava. Ma insomma!
Che cosa sono io?
Meccanica, legata, ubbidiente,
in schiavitù biologica e credente. Basta,
scivolo nel sonno, qui comincia
il mio libero arbitrio, qui tocca a me
decidere che cosa mi accadrà,
come sarò, quali parole dire
nel sogno che mi assegno.

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Patrizia Valduga, Donna bambina

Donna bambina ma di troppe brame
o donna di dolori e di buriane,
sempre presa da trippe e budellame,
non so uscire dal buio stamane,

dal cavo della mia notte catrame,
tra geli duri e colpi di caldane,
e sollevarmi e via con voglie grame
fingendo quieti, cose lievi e piane,

per i giorni di guerra e bulicame
e per predar le prede piene e vane,
e a vedere come senza esche o trame

poco lega l’amoroso legame…
Oh cuore che mi caschi! Che rimane?
un annientato niente. E ho anche fame.

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Mariangela Gualtieri, Bambina mia

Bambina mia,
Per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno, se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.
E invece ti lascio baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno.
Ira nelle periferie della specie.
E al centro,
ira.
Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perché è facile farlo.
Noi siamo solo confusi, credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Sentiamo ancora. Siamo ancora capaci
di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.
Tocca a te, ora,
a te tocca la lavatura di queste croste
delle cortecce vive.
C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di più.
C’è splendore. Non avere paura.
Ciao faccia bella,
gioia più grande.
L’amore è il tuo destino.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro. Nient’altro.

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Chandra Livia Candiani, Dunque c’è la luce

Dunque c’è la luce
e ogni foglia è attaccata al ramo
con esatto amore
e ogni foglia in orario
lascia il ramo
con audace resa
e ogni uscire dalla soglia
del corpo è ricevuto
con unanime benvenuto
da quella scienza della gioia
che proprio ora proprio qui
riempie il foglio di ghirigori
per dirti che dunque
la luce c’è.

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Margherita Guidacci, Non voglio

Tutti i vostri strumenti hanno nomi bizzarri
e difficili, ma io vedo chiaro
e so che in fondo sono solamente
metri e gessetti con cui misurate
e segnate – segnate e misurate
senza stancarvi.

Sfilate spilli di tra le labbra, come una sarta:
me li appuntate sull’anima
e dite: “Qui faremo un bell’orlo.
Dopo starai tanto meglio.”

Io non voglio che mi tagliate un pezzo d’anima!
Se ne ho troppa per entrare nel vostro mondo,
ebbene, non voglio entrarci.

Sono una poetessa: una farfalla, un essere
delicato, con le ali.
Se le strappate, mi torcerò sulla terra,
ma non per questo potrò diventare
una lieta e disciplinata formica.

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Antonia Pozzi, Desiderio di cose leggere

Giuncheto lieve biondo
come un campo di spighe
presso il lago celeste

e le case di un’isola lontana
color di vela
pronte a salpare –

Desiderio di cose leggere
nel cuore che pesa
come pietra
dentro una barca –

Ma giungerà una sera
a queste rive
l’anima liberata:
senza piegare i giunchi
senza muovere l’acqua o l’aria
salperà – con le case
dell’isola lontana,
per un’alta scogliera
di stelle

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Gabriela Mistral, La donna forte

Ricordo il tuo viso, fissato nei miei giorni,
donna con gonna azzurra e con fronte abbronzata;
quando nella mia infanzia, in terra mia d’ambrosia,
ti vidi aprire un solco nero in un ardente aprile.

Nella fonda taverna, l’impura coppa alzava,
chi un figlio appiccicò al tuo petto di giglio;
sotto questo ricordo, che t’era bruciatura,
cadeva dalla mano, serena, la semente.

Io ti vidi in gennaio segare il grano al figlio,
e in te, senza capire, trovai quegli occhi fissi,
ugualmente ingranditi da meraviglia e da pianto.

E ancora bacerei il fango dei tuoi piedi,
perché tra cento donne non ho visto il tuo volto,
e l’ombra tua nei solchi,
seguo ancora nel mio canto.

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Maria Luisa Spaziani, L’indifferenza

L’indifferenza è inferno senza fiamme,
ricordalo scegliendo fra mille tinte
il tuo fatale grigio.

Se il mondo è senza senso
tua solo è la colpa:
aspetta la tua impronta
questa palla di cera.

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Alejandra Pizarnik, La notte

Della notte so poco
ma di me la notte sembra sapere,
e più ancora, mi assiste come se mi amasse,
mi ammanta di stelle la coscienza.

Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è nulla
e nulla le nostre congetture
e nulla gli esseri che la vivono.
Forse le parole sono l’unica cosa che esiste
nel vuoto enorme dei secoli
che ci graffiano l’anima coi ricordi.

Ma la notte conosce la miseria
che succhia il sangue e le idee.
Scaglia l’odio, la notte, sui nostri sguardi
che sa pieni di interessi, di incontri mancati.

Ma accade che la notte, ne senta il pianto nelle ossa.
Delira la sua lacrima immensa
e grida che qualcosa è partito per sempre.

Un giorno torneremo a esistere.

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Misuzu Kaneko, Il fioraio

Il fioraio
è andato in città a vendere i fiori
e li ha venduti tutti.

Povero e solitario fioraio.
I fiori che curava sono andati via tutti.

Il fioraio
adesso è solo nella sua casetta
mentre il sole tramonta.

Il fioraio
sogna la felicità
per i fiori che ha venduto.

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Ada Negri, La ciocca bianca

De’ tuoi bianchi capelli, sì leggeri
alla carezza e pur sì folti, in uno
scrigno una ciocca serbo. Erano i miei
scuri come la notte, allor che al capo
tuo la recisi. Ed oggi, te cercando
in quella ciocca, sola cosa viva
che di te mi rimanga, io mi domando
se recisa non l’ho dalle mie tempie.
E se mi guardo entro lo specchio, e in esso
mi smarrisco, non me, ma te ravviso,
o Madre: tua questa marmorea fronte
piena di tempo, e immersa in una luce
ch’è già ormai d’altra terra e d’altro cielo

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Nazik al-Mala’ika, Il convitato assente

Già trascorsa la sera
volge la luna al tramonto
ed eccoci a contare
le ore di un’altra notte, guardando la luna
scivolare nell’abisso
e con lei l’allegria
senza che tu sia venuto
perso con le mie speranze,
fissando la tua sedia vuota
in compagnia della tristezza
dopo aver chiesto invocato
in silenzio la tua venuta.
Mai avrei immaginato
dopo tutti questi anni
la tua ombra ancora
in grado di sovrastare
ogni pensiero ogni parola,
ogni passo ogni sguardo,
né potevo sapere che tu
saresti stato più forte
di ogni altra presenza
e che l’unico assente
fra tutti i convitati
eclissasse ogni altro
in un mare di nostalgia.
Certo se tu fossi venutoci saremmo intrattenuti
a conversare con gli amici
finché fossero partiti
e allora anche tu forse
saresti parso come gli altri, ma la sera è già passata
e il mio sguardo gridando
interrogava ogni sedia vuota
cercando fra gli astanti
sino alla fine della sera
l’unico che non è venuto.
Che tu arrivi un giorno
ormai non lo desidero: dai miei ricordi all’istante
svanirebbero il profumo
e i colori di quest’assenza, rotta l’ala alla fantasia
languirebbero le mie canzoni.
Stringendo le dita
intorno ai frantumi
dell’ingenua mia speranza
ho scoperto di amarti
nelle sembianze del sogno, e se anche tu fossi qui
adesso in carne ed ossa
io seguiterei a sognare
quell’invitato assente.

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Fadwa Tuqan, Mi basta

Mi basta morire sulla mia terra
essere sepolta in essa
sciogliermi e svanire nel suo suolo
e poi germogliare come un fiore
colto con tenerezza da un bimbo del mio paese.
Mi basta rimanere
nell’abbraccio del mio paese
per stargli vicino, stretta, come una manciata
di polvere
ramoscello di prato
un fiore