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Le confessioni di un italiano, le frasi più celebri di Ippolito Nievo

Ippolito Nievo - Aforisticamente

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Ippolito Nievo (Padova 1831 – mar Tirreno, 1861) è stato uno scrittore e patriota italiano.

L’opera più celebre di Ippolito Nievo è “Le confessioni d’un italiano”. Nievo non pubblicò il libro, sia perché non aveva trovato un editore disponibile, sia perché troppo impegnato nelle vicende garibaldine. Il romanzo verrà pubblicato nel 1867, dopo la morte dell’autore, con alcuni interventi correttori e con il titolo “Le confessioni di un ottuagenario”.

Presento una raccolta di frasi celebri tratte da Confessioni di un Italiano. Tra i temi correlati si veda Le frasi più celebri e importanti de I Promessi sposi e Frasi, citazioni e aforismi di Giovanni Verga. Sul sito della Fondazione Ippolito e Stanislao Nievo è possibile trovare altra documentazione sull’autore.

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Le confessioni di un italiano, le frasi più celebri di Ippolito Nievo

La ragione si fa adulta e vecchia; il cuore resta sempre ragazzo.

Vivendo bene, si muore meglio; desiderando nulla, si possiede tutto.

Dopo la luce le tenebre, dopo la speranza oblio, dopo il tutto il nulla; ma fra nulla e tutto, fra oblio e speranza, fra tenebre e luce quanta vicenda di cose, quanto fragore di tempeste, e sguiscio di fulmini!

Dove tuona un fatto, siatene certi, ha lampeggiato un’idea.

La patria, figliuol mio è la religione del cittadino, le leggi sono il suo credo. Guai a chi le tocca! Convien difendere colla parola, colla penna, coll’esempio, col sangue l’inviolabilità de’ suoi decreti, retaggio sapiente di venti, di trenta generazioni!

Quanto sei bella, quanto sei grande, o patria mia, in ogni tua parte!… A cercarti cogli occhi, materia inanimata, sulle spiagge portuose dei mari, nel verde interminabile delle pianure, nell’ondeggiare fresco e boscoso dei colli, tra le creste azzurrine degli Appennini e le candidissime dell’Alpi, sei dappertutto un sorriso, una fatalità, un incanto!

Badate ai fanciulli, amici miei, se vi sta a cuore di averne degli uomini. Un grano di buona esperienza a nove anni, val più assai che un corso di morale a venti.

Tremate, ma vincete: questo è il comando che può intimarsi anche ai pusillanimi; tremare è del corpo; vincere è dell’anima che incurva il corpo sotto la verga onnipotente della volontà. Tremate, ma vincete. Dopo due vittorie non tremerete più.

Tale il destino degli uomini, tale il destino delle cose: sotto un’apparenza di giovialità e di salute si nasconde sovente l’aridità dell’anima e la morte del cuore.

Le donne superiori a noi! Sì, fratellini miei; consentite questa strana sentenza in bocca d’un vecchio che ne ha vedute molte. Sono superiori a noi nella costanza dei sacrifizi, nella fede, nella rassegnazione; muoiono meglio di noi: ci son superiori insomma nella cosa più importante, nella scienza pratica della vita.

Memoria, memoria, che sei tu mai! Tormento, ristoro e tirannia nostra, tu divori i nostri giorni ora per ora, minuto per minuto e ce li rendi poi rinchiusi in un punto, come in un simbolo dell’eternità! Tutto ci togli, tutto ci ridoni; tutto distruggi, tutto conservi; parli di morte ai vivi e di vita ai sepolti!

Non v’ha orgoglio che superi l’orgoglio degli umili.

Che il tempo non si misurasse, come pare, dai moti del pendolo, ma dal numero delle sensazioni? Potrebbe essere; e potrebbe esser del pari che una tal questione si riducesse a un gioco di parole. Io certo vissi alle volte nel sogno di un’ora lunghissimi anni.

Si ha sempre torto a incaparsi di restar savi e di adoperare secondo le regole di saviezza, allorché tutti gli altri son pazzi ed operano a seconda della loro pazzia.

Tutte le grandi gioie si somigliano nei loro effetti, a differenza dei grandi dolori che hanno una scala di manifestazioni molto variata.

La vita dell’universo nella solitudine è lo spettacolo più sublime, più indescrivibile che ferisca l’occhio dell’uomo. È una vita che si sente, e sembra comunicare a noi il sentimento d’una esistenza più vasta, più completa dell’umano. Allora non siamo più i critici e i legislatori, ma gli occhi, gli orecchi, il pensiero del mondo. L’intelligenza non è più un tutto, ma una parte. L’uomo non pretende più di comprendere e di dominare l’universo, ma sente, palpita, respira con esso.

Siate uomini se volete esser cittadini; credete alla virtù vostra, se ne avete; non all’altrui che vi può mancare, non all’indulgenza o alla giustizia d’un vincitore, che non ha più freno di paure e di leggi.

Coi nuovi ordinamenti che ci incastreranno, ognuno che ha meriti dovrebbe soverchiare chi non ne ha. Questo in via di astrazione. Ma nel concreto colle vostre abitudini coi vostri costumi credi tu che il più ricco ed il più furbo non abbia ad esser giudicato il più meritevole?

Credo all’entusiasmo delle anime che irrompendo quandocchesia nella vita sociale anticiperanno di qualche millennio il trionfo della scienza, come il matematico calcolatore è prevenuto nelle sue scoperte dalle audaci ipotesi del poeta!

Nominate Roma; è la pietra di paragone che scernerà l’ottone dall’oro. Roma è la lupa che ci nutre delle sue mammelle; e chi non bevve di quel latte, non se ne intende.

Napoli è rimasto per me un certo paese magico e misterioso dove le vicende del mondo non camminano ma galoppano, non s’ingranano ma s’accavallano, e dove il sole sfrutta in un giorno quello che nelle altre regioni tarda un mese a fiorire.

Venezia non era più che una città e voleva essere un popolo. I popoli soli nella storia moderna vivono, combattono, e se cadono, cadono forti e onorati, perché certi di risorgere.

Lo confesso colla vergogna sul volto; era proprio viltà. Tutti sapevano ove si precipitava e ognuno faceva le viste di non saperlo per esser liberato dall’incommodo di disperarsene.

Volevano tosarsi persino le unghie per non dare in isbaglio qualche graffiatura a chi si apprestava a soffocarli. Se questa non fu mansuetudine meravigliosa anzi unica al mondo, io sfido i pecori inventarne una migliore.

Vi sono diritti che sol meritati possono chiamarsi tali; la libertà non si domanda ma si vuole: a chi la domanda vilmente è giusto rispondere cogli sputi.

Perdonami di averti amato alla mia maniera; di aver sacrificato te ad un mio ghiribizzo strano e inconcepibile, di non aver cercato nella tua vita altro che un’occasione di appagare le mie strane fantasie!… Tu non potevi capirmi, tu dovevi odiarmi, e invece mi hai sopportato!

Se avessi dinanzi a me l’eternità, e dovessi passarli in continui stenti neppur consolata dalla tua presenza, e tutto per risparmiarti una lagrima un sospiro solo, non esiterei un momento. Mi rassegnerei giubilando, e contenta solo nel pensiero che tutti i miei giorni tutti i miei affanni sarebbero consacrati al tuo bene. Tu solo, Carlo, non hai ripudiato l’anima mia. Dall’amor tuo solo così generoso e costante presi il coraggio di guardare dentro di me e dire: “Non son poi tanto spregevole se un tal cuore continua ad amarmi”.

I benefici non obbligano tanto quanto il modo di porgerli.

I calunniatori sono anche di solito vigliacchi.

L’amore è un’erba spontanea, non una pianta in giardino.

La gioventù è il paradiso della vita; ed i vecchi amano l’allegria che è la gioventù eterna dell’animo.

La pace della vecchiaia è un placido golfo che apre a poco a poco il varco all’oceano immenso infinito, e infinitamente calmo dell’eternità.

Io sono entrato più che mezzo nel gran regno delle ombre; il resto vi entrerà fra poco.

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Frasi e citazioni di Ippolito Nievo tratte da altre opere

Uno de’ più grandiosi fenomeni che la Storia ci appresenti, sono le emigrazioni; questi movimenti provvidenziali di popoli che sovente risospinti dall’urto di altre nazioni, talora cacciati da avversari religiosi o politici, talaltra trascinati da istinti quasi fatali, in onta a temporanei travolgimenti, cooperano da ultimo all’equabile diffusione della civiltà.

Ma io temo di non essere fatto per incasermarmi nella redazione d’un giornale e così andrò a rischio di restar sempre un franc chasseur o uno straccivendolo della letteratura. Venderò cenci, ma miei.

La popolazione pare una turba di spettri; sembra che camminino in punta dei piedi come per non svegliare gli echi delle case deserte; sembra che i loro occhi girino meravigliati come un fanciullo allevato in una spelonca che vegga sole per la prima volta.

Le nazioni sono composizioni d’uomini; risorgono le nazioni quando risorge uno per uno a virtù ed a civiltà, a concordia di voleri la maggioranza degli uomini che le compongono.

Sarò sempre fantastico, buio, tenebroso, bilioso. Ho ormai trent’anni e ho sempre fatto la guerra, per distrarmi da un mondo che non amo. E così ho lasciato a casa un grande romanzo ancora manoscritto. Vorrei vederlo stampato, e non posso occuparmene perché ho questi sudici conti da curare. Se fossi ambizioso, se avessi sete di piaceri… se fossi almeno cattivo… come Bixio. Niente. Mi conservo ragazzo, vivo alla giornata, amo il moto per muovermi, l’aria per respirarla. Morirò per morire, e tutto sarà finito.
(passo citato da Umberto Eco nel libro “Il cimitero di Praga”)