Skip to main content
AutoriFrasi Belle

Le frasi più belle di Sándor Márai

Annunci

Sándor Márai (Košice, 11 aprile 1900 – San Diego, 22 febbraio 1989), è stato uno scrittore ungherese naturalizzato statunitense, autore di importanti romanzi, tra cui “Le braci” pubblicato nel 1942 (e apparso in Italia nel 1998)

Presento una raccolta delle frasi più belle di Sándor Márai. Tra i temi correlati Frasi, citazioni e aforismi di Milan Kundera e Frasi, citazioni e aforismi di Robert Musil.

**

Le frasi più belle di Sándor Márai

**

Le braci (1942)

Non è vero che il destino si introduce alla cieca nella nostra vita: esso entra dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato, facendoci da parte per invitarlo ad entrare.

Esiste una cosa peggiore della morte e di qualsiasi sofferenza, la perdita della stima di sé.

Sai, ci sono due modi di guardare le cose: come se uno le stesse scoprendo per la prima volta, o come se desse loro l’addio.

Alle domande più importanti si finisce sempre per rispondere con l’intera esistenza. Non ha importanza quello che si dice nel frattempo, in quali termini e con quali argomenti ci si difende. Alla fine, alla fine di tutto, è con i fatti della propria vita che si risponde agli interrogativi che il mondo ci rivolge con tanta insistenza.

Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che ogni giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno… e non credi che non saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione?

A quanto pare, ci vuole un bel fegato per gettarsi nella vita così come capita, senza orari, senza tanti artifici… vivere così come viene, ora dopo ora, alla giornata, addirittura attimo per attimo.. E non aspettarsi niente. E non sperare niente. Stare semplicemente al mondo.

La loro amicizia era seria e silenziosa come tutti i grandi sentimenti destinati a durare una vita intera. E come tutti i grandi sentimenti anche questo conteneva una certa dose di pudore e di senso di colpa. Non ci si può appropriare impunemente di una persona, sottraendola a tutti gli altri.

Come le persone appartenenti allo stesso gruppo sanguigno sono le uniche che possano donare il loro sangue a chi è vittima di un incidente, così anche un’anima può soccorrerne un’altra solo se non è diversa da questa, se la sua concezione del mondo è la stessa, se tra loro esiste una parentela spirituale.

Si sacrifica volentieri agli dèi una parte di felicità, perché essi sono invidiosi, e se regalano a un comune mortale un anno di felicità, si può essere certi che prenderanno immediatamente nota di quel debito per poi esigerne la restituzione alla fine della vita, praticando tassi da usurai.

Tutte le relazioni umane sprofondano nelle paludi della vanità e dell’egoismo.

Quando esigiamo fedeltà, come possiamo volere che l’altra persona sia felice? E se non riesce a sentirsi felice nella prigionia della fedeltà, e continuiamo a tenervela rinchiusa, possiamo forse dire di amarla?

Possiamo comprendere l’essenziale solo partendo dai particolari, questa è l’esperienza che ho tratto sia dai libri che dalla vita. Bisogna conoscere tutti i particolari, perché non possiamo sapere quale sarà importante in seguito, quali parole metteranno in luce qualcosa.

Essere diversi da ciò che siamo, da tutto ciò che siamo, è il desiderio più nefasto che possa ardere in un cuore umano. Giacché l’unico modo per sopportare la vita è quello di rassegnarci a essere ciò che siamo ai nostri occhi e a quelli del mondo

Qualsiasi tipo di musica, anche la più volgare, lo toccava intimamente, come un’aggressione fisica. Impallidiva, e le sue labbra cominciavano a tremare. Gli trasmetteva emozioni alle quali gli altri restavano indifferenti.

Non mi piacciono questi drammi silenziosi che si protraggono per decenni, con nemici invisibili, carichi di una tensione spenta ed esangue. Se ci deve essere un dramma, che sia bello fragoroso, pieno di grida, di lotte, di morti, con tanto di applausi e fischi finali.

L’attimo in cui l’uomo è più colpevole non è necessariamente quello in cui solleva l’arma per uccidere qualcuno. La colpa viene prima, la colpa è nell’intenzione.

Adesso penserai che sono un’oca isterica. No, cara, solo una donna, e perciò sono allo stesso tempo pellerossa e detective professionista, santa e spia, sono tutto questo quando si tratta dell’uomo che amo.

Le persone dall’animo assiderato capiscono prima degli altri se qualcuno cerca un po’ di calore.

Sì, a volte i dettagli hanno grande importanza. In un certo senso fungono da adesivo, fissano la materia essenziale dei ricordi.

Ed è questo uno dei misteri della nostra vita. Quando due esseri uguali si incontrano, la si considera una fortuna, un dono della sorte. Ma gli incontri di questo genere sono disgraziatamente rari, come se la natura facesse di tutto, usando la forza e l’astuzia, per impedire che si formi una tale armonia – forse perché ha bisogno, per ricreare il mondo e rinnovare la vita, della tensione che si sviluppa tra individui che, pur vivendo secondo ritmi e tendenze discrepanti, si rincorrono eternamente.

Amori calcolati, a ore, che si svolgono in luoghi prestabiliti, senza alcuna spontaneità… è così triste e meschino. E dietro tutto cova un ignobile segreto che infetta la convivenza, come se da qualche parte in quella bella casa, magari sotto il canapè, ci fosse un cadavere in decomposizione.

Anche questo è un segno della vecchiaia. Quando ti rendi conto che un bicchiere non è altro che un bicchiere e che gli uomini, qualunque cosa facciano, sono solo delle creature mortali.

L’uomo che ha consegnato la sua anima e il suo destino alla solitudine, non crede in niente. Aspetta e basta. Aspetta e il giorno o l’ora in cui potrà discutere ancora una volta di tutto ciò che lo ha costretto alla solitudine con colui o coloro che lo hanno ridotto in quella condizione. Si prepara a tale momento per dieci o per quarant’anni, diciamo pure, per l’esattezza, per quarantun anni, così come ci si prepara a un duello.

**

La donna giusta (il volume riunisce “Az igazi”, 1941 e “Judit… és az utóhang”, 1980)

È il peggior dolore che si possa provare nella vita, amare qualcuno e non riuscire a viverci insieme.

La maggior parte delle persone non sa amare né lasciarsi amare, perché è vigliacca o superba, perché teme il fallimento. Si vergogna a concedersi a un’altra persona, e ancor più ad aprirsi davanti a lei, poiché teme di svelare il proprio segreto… Il triste segreto di ogni essere umano: un gran bisogno di tenerezza, senza la quale non si può esistere.

Improvvisamente ho capito che non c’è nessuna persona giusta. Non esiste né in terra né in cielo né da nessun’altra parte, puoi starne certa. Esistono soltanto le persone, e in ognuna c’è un pizzico di quella giusta, ma in nessuna c’è tutto quello che ci aspettiamo e speriamo. Nessuna racchiude in sé tutto questo, e non esiste quella certa figura, l’unica, la meravigliosa, la sola che potrà darci la felicità. Esistono soltanto delle persone.

A quanto pare, nella vita tutto accade secondo una specie di cronometro invisibile; non si può «decidere» nulla nemmeno un attimo prima, ma soltanto quando le cose e le situazioni si sono già decise da sole… Agire diversamente è soltanto una forzatura, è insensato, disumano, forse anche immorale… È la vita a decidere, in modo sorprendente e meraviglioso.

Quando si comincia a piangere, vuol dire che ormai si cerca di ingannare il prossimo. In quel momento, il corso degli eventi si è già concluso. Non credo alle lacrime. Il dolore è asciutto e muto.

Dietro ogni vero bacio si nasconde il desiderio segreto di annientarsi, quel senso estremo di felicità che non scende a patti con nulla, la consapevolezza che il vero modo di essere felici non è mai stato altro che svanire del tutto e lasciarsi completamente andare a un sentimento.

Amare significa semplicemente conoscere appieno la gioia e poi morire.

In ogni vero uomo c’è una certa ritrosia, come se egli volesse precludere una parte del suo essere, della sua anima, alla donna amata, come se le dicesse: «Ti concedo di arrivare fino a qui, mia cara, e non oltre. Ma qui, nella settima stanza, ci voglio restare da solo». Le donne stupide impazziscono di rabbia. Quelle intelligenti si intristiscono, si lasciano prendere dalla curiosità, ma alla fine se ne fanno una ragione.

Ci vuole anche un pizzico di superfluo nella vita, qualcosa di sgargiante e scintillante, un po’ di bellezza, sia pure da quattro soldi.

A volte le persone sono buone solo perché hanno delle inibizioni che le trattengono dal fare del male. Questo è il massimo a cui può arrivare un essere umano… C’è poi chi è buono perché è troppo vigliacco per essere cattivo.

Il carattere di un essere umano è composto per lo più di vanità: il resto è una mescolanza di desideri, generosità, paura della morte e senso dell’onore.

La vanità è l’unica malattia veramente incurabile del genere umano.

Un giorno anche noi diventiamo adulti, e scopriamo che la solitudine, quella vera, scelta consapevolmente, non è una punizione, e nemmeno una forma morbosa e risentita di isolamento, né un vezzo da eccentrici, bensì l’unico stato davvero degno di un essere umano. E a quel punto non è più tanto difficile da sopportare. È come poter vivere per sempre in un grande spazio e respirare aria pura.

Certe domande non hanno risposte scritte, sarà la vita a fornircele, talvolta in maniera sorprendente.

C’è una sorta di regia invisibile nella vita: quando la situazione richiede che si porti a compimento qualcosa, anche le circostanze, sì, persino il luogo e gli oggetti diventano complici, e le persone che vivono lì accanto sono inconsapevolmente conniventi.

Tutte le donne sono un po’ fattucchiere quando sono innamorate.

Nella vita ci sono momenti del genere, in cui si prova una sorta di vertigine e si vede tutto con assoluta lucidità: si riscoprono energie e potenzialità nascoste e si comprende perché si è stati troppo codardi o troppo deboli. E sono i momenti in cui la nostra vita cambia. Arrivano all’improvviso, come la morte, o una conversione.

Forse è davvero povera una vita che non sia stata spazzata via, almeno una volta, dal turbine di una crisi come questa, una vita il cui edificio non sia stato mai scosso da un terremoto, travolto da un tornado che fa volare le tegole dal tetto e, ululando, smuove per un attimo tutto ciò che la ragione e il carattere avevano tenuto in ordine.

Non è soltanto con la bocca che si tace o si parla di qualcosa, ma anche con l’anima.

La civiltà delle macchine produce in serie anche la solitudine dell’uomo.

E’ impossibile vivere senza la consapevolezza di essere necessari a qualcuno, senza la certezza che al mondo c’è una persona che ha assoluto bisogno di te.

Con il passare del tempo, anche se i desideri non muoiono svanisce l’ansia, l’avidità furiosa, si esauriscono la disperata eccitazione e la nausea che pervadono ogni desiderio e ogni appagamento. Ebbene sì, ci si stanca. Io, talvolta, sono quasi felice che la vecchiaia sia ormai alle porte. Certe volte non vedo l’ora che giungano le giornate piovose in cui andrò a sedermi accanto alla stufa, in compagnia di una bottiglia di vino rosso e di un vecchio libro che narra di antichi desideri e delusioni.

**

L’eredità di Ezster (1939)

Gli amori infelici non finiscono mai.

Nulla arriva mai in tempo, la vita non ci dà mai qualcosa nel momento in cui siamo preparati a riceverlo. Soffriamo a lungo a causa di questo disordine, di questi ritardi. Siamo convinti che qualcuno si prenda gioco di noi. Ma un bel giorno ci rendiamo conto che tutto era preordinato secondo un meccanismo perfetto…

Due persone non possono incontrarsi neanche un giorno prima di quando saranno mature per il loro incontro… Mature, ma non secondo le loro inclinazioni o preferenze, bensì nell’intimo, secondo i dettami di una specie di legge astronomica inoppugnabile, così come si incontrano i corpi celesti nell’immensità dello spazio e del tempo, con precisione matematica, nello stesso attimo, che è il loro attimo nella successione infinita dei secoli e delle distese spaziali. Io non credo negli incontri fortuiti.

Non basta amare qualcuno. Bisogna amare con coraggio. Bisogna amare in modo tale che nulla, né ladri, né influenze esterne, né leggi umane o divine possano interferire con questo sentimento.

Nella vita esiste una specie di regola invisibile per cui ciò che si è iniziato un giorno prima o poi lo si deve portare a termine». «Quel senso di allarme continuo» che è stato «l’unico vero significato della sua vita».

Mentiva come urla il vento, con una specie di forza primordiale, con allegria indomabile.

Il tempo consuma ogni cosa dentro di noi e brucia tutte le menzogne. Ciò che rimane è la realtà.

**

L’isola (1934)

La gente si accontenta della superficie, di quei segni convenzionali che può scambiarsi senza pericolo, dell’assaggio, e resta assetata per tutta la vita.

Ma che strani movimenti, i movimenti dell’amore! Per chi li osservi da fuori, che cos’altro può essere questo mordersi, abbrancarsi, afferrarsi per il collo, questo disperato battere con i pugni, con le unghie e con i denti sulla porta chiusa, questo rabbioso frugare in un corpo estraneo, che cos’altro può essere se non una grande scena di collera, una punizione, una resa dei conti?

**

La recita di Bolzano (1940)

L’amore dispone di due palcoscenici su cui si recita il grande duetto, e sono entrambi infiniti: il letto e il mondo.

Esistono soltanto due farmaci divini che possono aiutarci a sopportare il veleno della realtà senza che ne moriamo anzitempo: la ragione e l’indifferenza.

La vita sono un uomo e una donna che si incontrano perché sono fatti l’uno per l’altro, perché sono, l’uno per l’altro, ciò che la pioggia è per il mare: l’uno torna sempre a cadere nell’altro, si generano a vicenda, l’uno è la condizione dell’altro. Da tale pienezza nasce l’armonia, e in questo consiste la vita. una cosa rarissima fra gli esseri umani.

**

L’ultimo dono. Diari 1984-1989

Vivo completamente solo, dunque non mi annoio.

La via di ritorno dalla vita alla morte è oscura, brancolo dal nulla verso il nulla e lungo il percorso, ogni tanto, una parola, un concetto risplendono come lucciole nella buia foresta.

Il grande esame da superare nella vita non è la morte, bensì il morire. Ma la malattia e la morte hanno un che di osceno. Questo rovescio dell’esistenza corporea è al tempo stesso orrido e lubrico.

La vita è un fatto casuale, non possiede né un senso né uno scopo. La morte è la conseguenza necessaria di un fatto casuale e non possiede, a propria volta, né un senso né uno scopo.

Il grande fallimento nella vita, non consiste nello scoprire da ultimo che ci siamo sbagliati. Ancora più deprimente è accorgersi che non possiamo far altro che sbagliare.

La nascita non è un’esperienza, giacché è accidentale − si verifica e basta, senza alcuna intenzione. La morte è un’esperienza, perché si verifica anche andando contro le nostre intenzioni.

La sua mancanza? È una sorta di fame d’aria. Non soltanto le parole e oggetti che la ricordano, ma anche l’aria. Anche all’aria manca qualcosa.

Le tante menzogne che si raccontano sulla morte mi fanno venire la nausea. La vita eterna. Vita oltre la morte. Giudizio, sfere, paradiso e inferno. Sono sempre menzogne piagnucolose, insulse, ripugnanti. La realtà è oscena e sogghignante, è la morte.

Ottantacinque anni fa venni alla luce su questo pianeta. In un giorno simile, il mortale pensa alla morte in maniera diversa dagli ottantacinque anni precedenti. L’uomo è sempre cosciente della morte, la considera un naturale compimento del difficile e incomprensibile corso dell’esistenza, tuttavia si limita ad «averne coscienza», l’accetta. Arriva in fine il tempo in cui l’uomo acconsente a morire. Non è una sensazione tragica. Piuttosto un senso di sollievo, come quando, dopo aver lungamente riflettuto, si comprende qualcosa di incomprensibile.

L’inconscio è una fossa profonda. La fossa comune, in cui un pazzo fruga, pur non sapendo di che cosa va in cerca.

Dio, se esiste, tace. Penso molto a Dio. Come sarà, sempre che esista? In nessun caso simile a come ce lo mostrano le religioni.

Non esiste un “cattivo matrimonio”. Ogni matrimonio è uguale agli altri, né buono né cattivo: è un matrimonio.

Il destino comune di ogni monumento è che i cani finiscono per pisciare sul piedistallo.

Ormai la solitudine intorno a me è fitta come la nebbia invernale, posso toccarla con mano. L’odore di morte si sprigiona ormai anche dai capi di abbigliamento.

**

Le confessioni di un borghese (1934-1935)

Arriva il giorno in cui è l’anima a mettersi in viaggio, e allora il mondo si trasforma in un elemento di disturbo. Senza un progetto ben preciso, impreparati, senza averne l’intenzione, partiamo per una spedizione in confronto alla quale un viaggio in India ci sembrerà una banale gita domenicale.

Nella vita esistono periodi in cui il soffio di Eros alita su di noi, e noi ci aggiriamo in mezzo agli altri come esseri eletti che niente e nessuno può ferire o insozzare.

Sentirsi spinti a conoscere qualcuno fino a penetrare tutti i suoi segreti, con tutte le conseguenze che ne deriveranno: ecco quello che si è soliti chiamare, con un termine fiacco e generico, amore. La conoscenza, quando è totale, non è mai un idillio.

La prima cosa che dovetti imparare fu che gli uomini, senza un motivo particolare, anzi, senza nessuno scopo, infieriscono gli uni sugli altri ogni volta che possono, e che ciò deriva dalla loro natura, e quindi è inutile dolersene.

Arriviamo a comprendere fino in fondo gli esseri umani ai quali siamo uniti da un vincolo indissolubile soltanto nell’attimo della loro morte.

La solitudine è l’elemento vitale dello scrittore.

**

Terra, Terra!… (1972)

I popoli non sono disposti al rimorso, che è un problema solo dell’individuo.

Ogni poeta è un mistico, altrimenti non è un poeta, solo un fabbricante di versi.

Ma nella Luce ci si può solo immergere, come nell’oceano: l’uomo non vi può vivere stabilmente, perché perde i sensi. Solo nella penombra è possibile vivere – vivere, cioè progettare e poi agire.

Non sono un poeta; nel mio sistema nervoso e nella mia coscienza manca quell’energia condensatrice che è la poesia, la quale con una sola parola, per mezzo di un comunicare magico, qualche volta demoniaco, riesce a catalizzare gli elementi della passione e della ragione come il nucleo dell’atomo con i protoni e i neutroni…

Come nella vita reale, anche in letteratura vi sono personalità che muoiono lentamente, e anche dopo rimane comunque qualcosa della loro essenza, che si sprigiona dai loro libri come ai defunti continuano a crescere i capelli e le unghie. Perciò è viva la personalità di Tolstoj, perciò è vivo Proust…

Lo scrittore, che tra miseria e distruzione – che in guerra e in pace sono la condizione umana – si giustifica e assicura di «sentire sinceramente» quel che scrive, dimentica la regola secondo cui non esiste letteratura «sincera». Nella letteratura, come nella vita, solo chi tace è «sincero»: nell’attimo in cui qualcuno parla a un pubblico non è più «sincero», ma scrittore, o attore, perciò uomo che civetta.

**

La sorella (1946)

Forse è proprio questo il grande male che schiaccia l’umanità: non il dolore, ma la paura che le impedisce di essere felice.

È questo l’unico terreno sul quale l’uomo può misurarsi con Dio, ed essere in qualche modo alla sua altezza: quando crea dal nulla, come Lui.

Il viaggio è rinnovamento, irresponsabilità, felice estasi, incontro con le immagini nebulose della giovinezza ormai dileguatasi.

Il fato può scagliarsi contro un solo uomo con la stessa cieca e inesorabile ferocia con la quale si abbatte sulla sorte di interi popoli.

Quando si prende in mano la penna per fissare il ricordo di esperienze private si vuole sempre parlare ad altri uomini, anche quando si sceglie una forma di comunicazione pudica come il diario; sì, la letteratura ci insegna che i diari più famosi furono redatti perché il pubblico li leggesse.

**

Il gabbiano (1943)

Si è sempre in cammino verso la persona alla quale un giorno si darà un bacio.

Non sono forse già stati insieme, loro due, in quella spaventosa e indifferente combinazione che è la vita, un incontrarsi di eventi e possibilità?

Una persona può annientarne un’altra rifiutandosi di lasciarla andare, ma senza concederle nulla; legandola a sé, ma al contempo impedendole di avvicinarsi troppo, evitando di stringere con lei un vero legame. Chi viene separato e isolato in tal modo finisce per soccombere. Perché resta solo, ma non è neanche del tutto solo, vive una specie di vincolo, ma chi lo tiene prigioniero non se ne prende cura.

Chiude la finestra. Rimane in piedi, disorientato, nella stanza buia; non si è mai sentito solo come in quel momento. Ma al tempo stesso sente che una mano, quella che dirige il volo dei gabbiani e i passi degli uomini, gli si è posata sulla spalla. Attraversa come un cieco la stanza buia – eppure gli sembra che qualcuno lo stia guidando.

**

Divorzio a Buda (1936)

La vita è un dovere che siamo tenuti ad adempiere, certo un dovere gravoso e complesso, per il quale a volte è necessario sopportare dei sacrifici.

Chi è in grado di fotografare, di fissare, di toccare con mano l’istante in cui qualcosa si spezza tra due persone? Quando è successo? Di notte, mentre dormivamo? Oggi a mezzogiorno, mentre pranzavamo? Poco fa, quando sono venuto nell’ambulatorio? Oppure già da molto tempo, solo che non ce ne siamo accorti? E abbiamo continuato a vivere, a parlare, a baciarci, a dormire insieme, a cercare la mano, lo sguardo l’uno dell’altro, come pupazzi a molla ai quali è stata data la carica: malgrado si sia rotta una molla, il meccanismo funziona ancora per un po’ e gira cigolando.

Prima o poi si è costretti ad abbandonare ogni essere umano al proprio destino…Non c’è niente di più difficile che cercare di aiutare qualcuno. Senti solo che una persona alla quale tieni molto, che ti è cara, va verso la propria rovina, agisce contro i propri interessi, disperata o solo infelice, si tormenta, non si regge più in piedi, non ce la fa più, sta per crollare…e tu accorri, vorresti aiutarla, e di colpo ti rendi conto che non è possibile.

Come in una partita a scacchi, quando, a un certo punto, possiamo muovere soltanto in questa o quella casella. Una mossa, non c’è che quest’unica possibilità, la sola alternativa è abbandonare la partita; una mossa, la vita non concede di più, l’avversario, questo invisibile avversario, non dice «scacco matto», è possibile vivere a lungo così, senza speranza, con la chance di muovere appena qualche mossa, una alla volta.